Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

da PREMESSEALL'ABITAZIONE Andrea Zanzotto ~he ci si possa trovare fermi, come presi in una tela di ~ ragno dalla piccolezza della propria casa, è un fatto fin troppo comune. Stolto è protestare per quello che è situazione della maggior parte del genere umano. Abitare tra quattro muri male intonacati e trasudanti muffa, pagando l'affitto a un padrone qualunque, a uno squallido piccolo proprietario, a una squallida società anonima, a uno squallido potere statale, deve capitare, ed è ingiusto soffrirne, soprattutto se si pensa agli alloggi di cui fruiscono i tre quarti degli uomini. Il mio padrone è un pensionato ed è riuscito a comperare, appena in tempo, questa villetta, questa casa minima di un paesetto che non ha centro ma ha saputo costruirsi attorno una sgangherata periferia. Appena in tempo prima dell'ondata inflazionistica i tre milioni che il mio padrone aveva risparmiati lavorando all'estero e in patria si sono coagulati in queste mura che a dieci anni di età già mostrano obbligatori segni di fatiscenza: la mia continua lotta contro le formiche mi fa pensare che qui sotto ce ne siano a nebulose, tutto un enorme formicaio nelle fondamenta. Me le trovo, chiazze che brulicano, ora in camera ora in salotto, rosse nere e volanti. E inutile è anche la lotta contro il grigiore vellutato della muffa che sta sul sofffitto e sulla parete nord della cucina. Il mio padrone non è mai nemmeno venuto a vedere questa casa; è stato ben consigliato e ne è contento, non ci dà la minima noia. E anch'io dovrei essere più duttile e rassegnato; sono io, in fondo, che ho saturato di fastidio l'atmosfera di questa casa; è la mia insofferenza, è forse la mia allergia che mi trasforma in veleno inespresso, in reazione tumescente e mal contenuta: qualche cosa di brutto come le nuvole che da stagioni incombono pressoché ininterrottamente su queste montagne e colline. Le proteste e il dispetto non hanno ragionevole senso né direzione, troppo facilmente oggi ci si lascia istaminizzare. Ma pure questo fermento dell'allergia, della stessa caparbia forza che pur dopo anni e anni di vaccini sottocutanei mi porta danno dalla primavera all'autunno nel suo non voler accettare il verde (e che dopo tutto me lo fa godere meglio quando esso marcisce nella pioggia, perché polvere e pollini non s'alzano), mi permette talvolta, in difetto di altre strutture, di dire "io" senza mezzi termini, senza dubbi, con uno spessore ineguagliabile. Un io cane, come d'acciaio, e insieme sostanzioso come pece; sfilacciatissimo ma resistentissimo e feltrato così da ammortizzare ogni attrito. .-:Il e io fossi stato padrone di casa certamente mi sarei 1:111111 fatto odiare, l'attuale mio padrone invece si fa amare; non mi disturba pensando che i suoi tre milioni sono al sicuro, anche se tutta la costruzione copre sessanta metri quadrati più un fiato di cortile, una cosa da gran città. Qui non si è mai trovato un discreto appartamento d'affitto; tutti pensano a farsi l'abitazione propria, non c'è industria ediBibliotecaGino Bianco lizia; e sono riusciti a tirare su, in tal modo, una città giardino con tutto lo scomodo delle città giardino e in più i loro capannoni in mezzo, così da poter respirare poliesteri in polvere a tutte le ore. E ci sono le seghe volgenti agli ultrasuoni, sembra che ci arrivino (così almeno non le si udrebbe) e non ci arrivano mai che basti; seghe a segare filamenti nervosi, neuroni, a tutte le ore: sotto c'è il laboratorio e sopra l'appartamento, gentile, col tetto a farfalla, farfalla posata su una inflorescenza di suoni, così la moglie gode anch'essa col marito industrializzato, senza posa, accudendo alle faccende domestiche. Le povere signorine Vallini, bibliotecarie a Bologna, che hanno una villa verso i campi, ereditata dal padre professore universitario, una villa fatta per ozi prettamente umanistici, con epigrafe latina "neminis haec humilis decoratur nomine villa - nummis ex numeris numine dante mea", non si sarebbero mai aspettate che qualcuno andasse a costruire davanti a loro un capannone-mobili, proprio sull'orlo della gola del Soligo, un piccolo cafìon profondo una cinquantina di metri e largo una ventina, con un margine in declivio di quarantacinque gradi largo sei o sette metri; ebbene proprio su quel declivio a quaranticinque, per pagar poco il terreno, avevano piazzato delle seghe. Le signorine Vallini, ancora dieci anni fa, erano state le prime ad affrontare qui la prima nevrosi industriale campagnola, dopo lunghe, tenacissime proteste. Deprecavano che i tedeschi non avessero bruciato la villa, dapprincipio, e avevano fatto volare carte a destra e a sinistra e mosso onorevoli, poi avevano ceduto, come per degustazione dell'erba che fa "consorto in mar degli altri dèi", in una lenta metamorfosi grazie alla quale avevano finito per ammettere, insieme agli artefici del capannone, che quelle seghe s'integravano appieno all'ambiente. E in questi dieci anni si è andati avanti così nell'amplificazione industriale con seminagione di seghe fatta come dal vento; c'è nella privata iniziativa, al di fuori di ogni programmazione - sempre coartante - una diresti quasi mirabile e divina facoltà creatrice e attizzatrice delle umane energie: da ciò venivano il benessere, il miele, e quei problemi - come il fabbricare case - ai quali personalmente avrei voluto sottrarmi. Non sono io un vendi o un fabbrica piastrelle, o armadi, o tapparelle, o gabbie per le bottiglie di vino, o sottovino al destrosio; quelli si fanno, superato il primo stadio, i loro castelli, grandi e grandemente vetruti, vogliono i pavimenti di onice del Pakistan, a ottantamila lire al metro quadrato. Aggiungo però che da queste parti non si offre in generale di quello che fu chiamato "catrame"; chi non ha non si cruccia gran che dell'altrui opinione; ognuno sta nelle sue, si parla poco; ognuno, forse, s'infischia di ognuno, ma forse lo rispetta per quel che vi si intravede di rispettabile, abbia pure le figlie ancora in Svizzera. Si deve riconoscere che non è solo per diffidenza o indifferenza nativa che la gente parla ed emula poco: c'è tutto questo ma c'è anche un durare di convenzioni per cui certe cose contano e meritano, anche nel vuoto di denaro. E io poi non ce l'ho affatto con quelli che hanno messo

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