Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

D I piccolo caffè dove l'avvocato li aveva invitati era, come egli aveva detto, più vecchia che nuova Siviglia. C'erano le macchine espresso, come in tutti i caffè di Siviglia, e i barili di vino e di sherry, e così le file di bottiglie colorate sugli scaffali in fondo. Le solite cartine per le zollette di zucchero imbrattavano il pavimento. Ma l'atmosfera del posto era più simpatica che in tutti gli altri caffè dove Stigman e sua moglie erano stati. Sulla destra del bar, sul fondo del locale, c'era una piccola vendita di alimentari. Prosciutti coperti di una muffa grigia invecchiavano appesi a un tubo vicino al soffitto, e accanto a essi un assortimento di salsicce affumicate ugualmente invecchiate. Sul piccolo banco si vedevano catini di ceci, lenticchie, riso, una bella fetta marrone di gelatina di cotogne, e una giara di olive. Un giovanetto con un panino fresco in mano aspettava davanti al banco mentre la proprietaria tagliava fette rossicce di chorizo come ripieno. Tre o quattro uomini stavano appoggiati al bancone del caffè, e uno di essi scuoteva in silenzio un bussolotto di dadi. C'erano soltanto tre tavolini, nel locale; a uno di questi, un vecchio con gli occhiali, un bicchiere alto di vino bianco davanti e un fascio di biglietti della lotteria davanti a sé, era intento a riempire un qualche modulo. Sulla parete dietro il barista pendeva una lavagna con gli aperitivi del giorno scritti in gesso. "Sì, mi piace proprio", rispose la moglie di Stigman alla domanda dell'avvocato. "Ha tutto il fascino di un posto che è stato vissuto a lungo". L'avvocato assentì. "Fin da quando ero giovane, e ancora molto prima". Il cameriere portò i tre cognac che avevano ordinato. "Salud", disse Ortega, e levò il bicchiere. Stigman e sua moglie levarono il loro, e bevvero. Ortega posò il suo bicchiere. "Sa, sefìor Stigman, apprezzo molto i suoi sentimenti", disse. Piegò appena la testa verso la corona, che Stigman aveva messo su una sedia sotto il tavolino. "Anzi, se lo desidera, l'accompagno di nuovo alla Avenida del Cid. Vuole lasciarla là?" "Oh no", disse Stigman bruscamente. "Il mio gesto l'ho già fatto, per quel che valeva". "Ha trovato il punto che voleva? Voglio dire, è convinto che la localizzazione sia proprio esatta?" Il volto di Ortega si aggrottò e s'incupì. "Oh, sì. Diciamo, mezzo metro più mezzo metro meno". L'avvocato scosse la testa. "Lei mi incuriosisce enormemente". "Perché?" "Che uno possa essere - esito a usare la parola - così ingenuo. Non so che altra parola usare". "Ero deciso a fare il mio gesto, e l'ho fatto". "Certo". Il volto dell'uomo, con il suo continuo annodarsi e snodarsi, doveva essere qualcosa di terribile da trovarsi di fronte da un banco dei testimoni. "Sefìor Stigman", continuò, "ho delle vecchie mappe, sulla parete del mio studio. No, non sono mappe: sono vecchie vedute di Siviglia. BibliotecaGino Bianco STORIE/ROTH Ha mai visto vedute del genere?" "Ho visto delle riproduzioni". "lo ne ho tre. In due di esse si vede un certo punto importante della città, fuori delle mura. Dove adesso c'è il Cid - più o meno". Stigman ascoltava, appoggiato all'indietro. "Non c'è più". "No, non c'è più", concesse Stigman. "Ed è il quemadero, dove i criminali venivano bruciati vivi". ' "È lì che ho deposto la corona". "Così avevo arguito". Nella pausa che seguì, si udiva soltanto il secco sbattere dei dadi nel bussolotto, e lo scricchiolio della penna dell'uomo che faceva i suoi conti al tavolino accanto. La porta del caffè si aprì, e tre clienti eleganti entrarono - spagnoli dalle facce placide. Ordinarono café con teche e si guardarono intorno. Cominciò un ronzio di conversazione. Un suono sibilante venne dalla macchina espresso. "È lì che ho deposto la corona", ripeté Stigman. "Ha arguito correttamente. Ma lei sa perché ho deposto la corona?" . "Sì. Perché questo era lo stesso quemadero dove venivano bruciati gli eretici trovati colpevoli dalla Santa Inquisizione - tra gli altri, conversos ricaduti nell'errore, quei cattolici che in segreto restavano attaccati alla loro fede giudaica". ''Erano uomini e donne che furono uccisi perché non volevano rinnegare la loro fede", disse Stigman. "Erano martiri. Li ho onorati perché meritavano di essere onorati, per la loro eroica fermezza nell'ora della prova. Li ho onorati perché nessuno in Spagna li onora". "Capisco", disse Ortega. "Non sono offeso, se è questo che la preoccupa. Tutto ciò è parte del retaggio spagnolo, insieme alla sua plurisecolare grandezza". "Mi fa piacere sentirglielo dire", disse Stigman. "Mi fa piacere che non si sia offeso. È un tributo ben povero, quello che ho recato - e tuttavia, anche così, sembra aver avuto delle conseguenze''. La rapida occhiata furtiva di Ortega poteva essere stato un sorriso. "Tra le altre, quella che, così, io ho avuto il piacere di conoscere lei e la sua incantevole moglie". "Grazie. È stato un piacere anche per noi". Di nuovo vi fu una pausa, questa volta di imbarazzo. "Sefìor Ortega", disse infine Stigman, "a me sembra strano che una persona della sua posizione, pur con quelle vedute di Siviglia che lei ha alla parete, debba essersi fissato così di primo acchito sul quemadero - debba avere individuato quel luogo immediatamente. Nessun altro si è reso conto di che cosa si trattava: né la folla intorno a noi stamattina, né l'agente, né l'ispettore". Esitò. "Lei dice che questo è parte del retaggio spagnolo. Perché allora tutti lo ignorano a eccezione di lei?" "Possono esserci state delle ragioni personali. Una qualche idiosincrasia". 27

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