Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

DUERACCONTI Henry Roth PETEYE YOTSEE MARIO D'era un pontile che si spingeva nello Harlem River dalle parti della 130• Strada, qualche isolato a nord della fermata del New York Centra! e New Haven; il traliccio della ferrovia attraversava il fiume a poca distanza da dove nuotavamo. Verso ovest c'era il ponte girevole della Madison Avenue, e al di là del fiume gli scali merci e un grande deposito di legname. Sotto di noi, l'enorme benna della gru di una compagnia carbonifera batteva monotona giù nella stiva d'un barcone, e ne usciva lasciando cadere pezzi di carbone. Rimorchiatori passavano rollando, a volte solitari, oppure con delle chiatte a rimorchio, il paglietto di prua come dei baffi marroni sopra la schiuma. Noi entravamo in acqua ad alta marea; allora l'acqua semQ.ravapiù pulita e copriva le distese di melma. Sedevamo sul pontile scheggiato che scottava e ci infilavamo il costume - brachette, le chiamavamo - e poi giù a tuffo. Avevo imparato a nuotare appena quell'estate e ero già considerato un buon nuotatore, benché non fossi nessuno in confronto a Petey e Yotsee e Mario, che erano del-mio isolato. Loro avevano una speciale, perfetta bracciata alla marinara che schiaffeggiava l'acqua con una sorta di rigido scatto del polso, e tenevano il petto fuori dell'acqua. Questo, io ancora non l'avevo padroneggiato. Un giorno, nuotando, mi avventurai in mezzo al fiume. Aveva un aspetto invitante. Non so se fosse l'inversione della marea a tirarmi più lontano di quanto mi rendessi conto, o se fossi io a lasciarmi attrarre lontano, ma quando mi voltai, mi accorsi che ero a una distanza considerevole dal pontile; e mi accorsi anche che ero stanco. E poi avvenne l'inevitabile imprevisto: un rimorchiatore di passaggio mi mandò sopra la testa un'onda di scia che mi lasciò boccheggiante, senza fiato. Tentai di riprendere a respirare regolarmente e di muovere quelle braccia di piombo; ma se guadagnavo sul pontile, non si vedeva: sembrava che anch'esso si muovesse, allontanandosi da me. E ora il contraccolpo dell'onda originaria mi schiaffeggiò, e cominciai davvero a andare a fondo. La consapevolezza divenne un alternarsi di barlumi di luce su un pontile logorato dalla intemperie, e barlumi sempre un po' più lunghi di acqua verde pallido. Udii il grido levarsi dal pontile: "Ehi, Ciccio sta affogando!". Vennero diguazzando verso di me, tutti e tre - Petey e Yotsee e Mario. "Non è niente", ansimai quando mi raggiunsero. Sentivo delle mani sorreggermi mentre arrancavo. Udivo le loro risate. Mi rimorchiarono verso il pontile, nuotando sul dorso e sbellicandosi dalle risa. Poi mi dettero una spinta finale verso i piloni melmosi, e mi arrampicai su per la scaletta improvvisata. Mi misi a sedere sul pontile, ansando, mentre anche loro risalivano. "Accidenti, mi sa che stavo affogando", dissi. "Mi sa anche a me", disse Petey. "Macché affogando. Stavi solo andando a prendere BibliotecaGino Bianco qualcosa giù in fondo", disse Yotsee. "Non stava affogando", disse Mario. "Cercava solo di arrivare sul fondo e correre come un matto verso riva!". E sopraffatti dall'allegria, si buttarono giù dal pontile con delle gran panciate. r:, uando arrivai a casa, raccontai a mia madre e a mia ~sorella quello che era successo. "Dio sia ringraziato!", disse mia madre. "Benedetti siano quei bambini non ebrei che ti hanno salvato! Che l'Onnipotente conceda loro quella gioia che essi concedono a me!" "Sei uno stupido a allontanarti tanto", disse mia sorella. "Non lo sapevo, che mi ero allontanato tanto", protestai. "Perché non ti sei guardato indietro?" "Lo so io cosa fare", disse mia madre. "Gli cuocio un dolce''. "Che cosa?" "Gli cuocio un dolce. Ora. Bello grosso". Stava già sgombrando il mastello coperto per far posto alla sua ciotola per l'impasto. "Via, mamma", dissi io. "Non è quello che ... ". Non riuscivo a esprimerlo. "Non gli fare dolci". "Perché no?" "Via, i tuoi sono dolci ebraici". "E quali sarebbero i dolci non ebraici?" "Oh, lo sai. Come quelli nei negozi. Ward's. Non Plus Ultra. Regina d'Oro. Come quelli". "Va', va"', disse lei. "Gliene cuocio uno alla cannella, noce moscata e chiodi di garofano". "Ma è ebraico". "Non fare lo scemo". D osse loro un dolce alla cannella. Era goffrato di noci, reso scuro dal miele candito, e pieno di uvetta - il nostro tipico dolce alla cannella delle feste. "Be"', disse lei, esibendolo quando si fu raffreddato. "Come si fa a vergognarsi di una cosa così? Glielo dai o no?" "Via, mamma, loro dolci così non li capiscono". "Sono giù in strada?". "Sì". '' Allora vieni con me". Infilò con cura il dolce in un sacchetto di carta, e la seguii riluttante giù per le scale e fuori per strada. "Dove sono?". "Laggiù. Là c'è Petey - con la palla a muro. Là c'è Yotsee. Mario è vicino alla cantina. Quei tre". "Vieni". Le andai dietro mentre attraversava la strada. I tre ragazzi ciondolavano davanti al negozio di dolciumi, appena a est della cantonata. "Tu, Petey. Tu, Mario", ed essi levarono i duri visi magri.

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