particolari problemi. Nessuno ti teneva. E venni qui, dove ero già stato varie estati quando non andavo in oriente o in Nord Africa. Me ne andai come tanti. Una volta mi chiedevo perché il nostro maledetto governo avesse deciso di gasare i giovani e non i vecchi. Perché? Credo che la risposta sia facile. I vecchi sono persone solo in apparenza. In effetti, salvo un po' di matti, rari perché muoiono prima, sono concrezioni di diritti acquisiti. Sono vedove o vedovi, reduci di guerra, ex-partigiani, ex-combattenti della decima mas, anziani Fiat, ex-impiegati dello stato, membri del Rotary, ex-ufficiali, pentiti della camorra o delle Br. Se li avessero toccati avrebbero avuto contro tremila associazioni, oltre ai diretti interessati. Inoltre tutti diventeranno vecchi, o lo sperano. Vogliono essere sicuri del loro futuro. Invece nessuno diventerà più giovane. Senza contare che i vecchi, alla fin fine, muoiono abbastanza in fretta, mentre i giovani rischiano di restare sul groppo allo stato magari per altri cinquant'anni. LAFINEDELLOSHUTTLE Maria Schiavo La crisi delle attuali forme di spettacolo, del teatro in particolare (dove è il corpo vivo ad agire ed occasionalmente, protetto dalla finzione del palcoscenico, a morire), è un vecchio discorso. Certamente. Ma quando si contemplano le forme ecumeniche, planetarie che hanno assunto il disastro e la morte in diretta su quel piccolo ma solo apparentemente innocuo schermo che abita le nostre case, si ha l'impressione che rimanga ancora qualcosa da dire. Il cinema è stato, soprattutto agli inizi, movimento, meraviglia di figure in moviBibliotecaGino Bianco UT ~ttt mento ed è ancora oggi un'arte che usa come suo strumento espressivo l'analogon dei corpi, la loro immagine, o ombra che dir si voglia. Ma nelle sue sottili differenze dal linguaggio cinematografico, lo spettacolo che ci offre il piccolo schermo, quest'occhio sul mondo che si pone come un prolungamento incredibilmente potenziato del nostro, non è forse solo quello che è stato finora così ben descritto. Non c'è solo la trasformazione del mondo in assoluto spettacolo, attraverso quello sguardo, la sincronicità sempre più agghiacciante tra quanto vediamo e quanto accade lontano da noi. L'impressione più forte è che una nuova forma di sacrificio si compia sotto i nostri occhi divenuti da poco così potenti e per questo ancora confusamente affascinati e turbati. Dalla crisi delle antiche forme di spettacolo sembra nascere uno strano teatro religioso dove la morte viene celebrata nello stesso momento in cui è ripresa mentre accade. Un tempo, finché la pena capitale fece parte di indiscusse regole sociali, c'era l'uso "pedagogico" di far assistere alla morte dei condannati, nei modi più liberi e spudorati che lo sguardo e la voce umana sono capaci di assumere. Ma si trattava di colpevoli. Delinquenti di cui la folla celebrava trionfalmente la condanna. Nelle morti in diretta di oggi non c'è colpevole, non c'è condannato a morte. Non assistiamo più a questo tipo di morte che la coscienza moderna sembra esecrare. Assistiamo, invece, ad una strana forma di sacrificio. Perché, non c'è dubbio che i corpi che vediamo cadere in diretta sotto i nostri occhi sono i corpi di un sacrificio che si compie collettivamente, nei modi trasognati ed esemplari che sono propri della rappresentazione. Davanti a noi cadono dei corpi su cui si abbatte la morte. Ma essa non è punizione di chi cade, che anzi viene descritto come una vittima innocente (come del resto vuole ogni sacrificio), la colpa viene spostata su un errore tecnico, un mancato soccorso, una mancata previsione. DISCUSSIONE/SCHIAVO Terribili catastrofi scorrono davanti ai nostri occhi come nell'antico teatro greco, e noi ne siamo il nuovo coro, ora squillante ora grave, nella varietà degli stili giornalistici delle diverse Nazioni, ora anonimo e silenzioso, dentro le nostre case, ambiguamente partecipi e distanti. Ma che cosa dice questo coro se si porge più attentamente l'orecchio? Talvolta piange, si dispera, altre volte rimprovera più virilmente l'eccesso di onnipotenza, di arroganza. Allude, senza mai nominarlo, al fantasma di Prometeo che rubando il fuoco agli dèi si è per sempre attirato la loro ira. Ma in fondo in fondo quel coro di voci monotone e false nel tono di circostanza, piange (e nemmeno poi tanto) sulla Necessità di ciò che avviene, e così facendo la celebra, la esalta. Perché dietro tutte quelle parole non c'è né desiderio né progetto che faccia sperare che le cose possano mai andare diversamente. Il sacrificio alla presenza di tutti è ormai ripetuto con impressionante regolarità. Non mancano, ahimé, le occasioni. E la forma rituale di questi avvenimenti, le modalità, lo stile della rappresentazione si fanno sempre più audaci per le capacità che l'occhio potentissimo ha acquistato nel fissare a lungo l'orrore (come l'aquila l'astro solare). Forse solo agli inizi il cinema potè suggerire qualcosa di lontanamente simile al sapore di rito sacro che circonda queste immagini di morte. Forse quando si dovette pensare che l'immagine fosse l'anima dell'oggetto captato. Ma qui è ben diverso. Sul piccolo schermo, non più il corpo, l'oggetto sono implicati, hanno interesse. Ma solo l'avvenimento che è quello del loro sacrificio. La televisione ha trasformato l'av- _venimentocatastrofico nel luogo del teatro sacro moderno. Ma in questo sacrificio nessun simbolismo cristiano di tipo salvifico sembra entrare, come fosse divenuto vecchio ed incapace di rappresentare, anche là dove lo si vorrebbe mantenere, la nuova 13
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