FEBBRAIO 1986/NUMERO 13 LIRE5.000 rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni DUELETTERDEI ELSAMORANTE ZANZOTT/OTRIFONO/VH.ROTH/ NAKAJIMA CARVER/ CROSS/ PINON/ HARTLING INTERVENSTUI ROSENZWE/IGAREND/TMASI
<( _J _J ii o o _J <( BibliotecaGino Bianco GIORGIOARlVIAl\ij
Direttore Goffredo Fofi Gruppo redazionale Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Luca Clerici, Pino Corrias, Stefano De Matteis, Bruno Falcetto, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacchè, Filippo La Porta, Claudio Lolli, Maria Maderna, Danilo Manera, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Gianandrea Piccioli, Claudio Piersanti, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Walter Siti, Paola Splendore, Giorgio van Straten, Gianni Volpi. Direzione editoriale Lia•Sacerdote Progetto Grafico Andrea Rauch/Graphiti Ricerche fotografiche Fulvia Farassino Hanno inoltre collaborato a questo numero: Giancarlo Ascari, Marcella Bassi, Paola Candiani, Vittorio Capecchi, Bruno Cartosio, Camilla Cederna, Paola Costa, Silvio Guarnieri, Pilin Hutter, Laura Lepetit, Gad Lerner, Mario Materassi, Grazia Neri, Maria Teresa Orsi, Adriano Sofri, Mariolina Vatta, il Consolato del Messico a Milano, la direzione della rivista "Rassegna Sovietica", le librerie Milano Libri e Feltrinelli di via Manzoni (Milano). Éditore Media Edizioni (staff editoriale: Edoardo Fleischner, Lia Sacerdote) Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Telefono 02/6690931-6691132 Pubblicità Media Edizioni Abbonamenti Paola Barchi Composizione e montaggi Monica Ariazzi Distribuzione nelle edicole ··Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Giulio Carcano·, 32 - Milano Telefono Q2/8438141-2-3 •: Distribu~1Ònenelle librerie POE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (MI) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni Iscrizione al tribunale di Milano in data 5.2.1983 numero 55 Direttore responsabile Severino Cesari Sped. Abb. Post. Gruppo IV/700/o Numero 13 - lire 5.000 Abbonamento annuale a sei numeri: ITALIA: L. 30.000 da versare sul c/c p. n. 25871203 intestato a "Linea d'Ombra" o a mezzo ass. banc. intestato a Media Edizioni. EUROPA: L. 50.000 - ALTRI PAESI: L. 60.000 a mezzo ass. banc. intestato a Media Edizioni. I manoscritti non vengono restituiti. Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. BibliotecaGino Bianco LINDE'AOMBRA anno IV febbraio 1986 numero 13 Sommario APERTURA 5 Elsa Morante STORIE 15 21 40 65 69 75 77 80 Raymond Carver Henry Roth Andrea Zanzotto Jurij Trifonov Atsushi Nakajima Nelida Pifion Daniele Gorret Leopoldo Meneghe/li POESIA 39 Andrea Zanzotto BOTTEGA 29 33 72 Henry Roth Amanda Cross Peter Hiirtling DISCUSSIONE 7 8 11 13 46 50 53 57 60 63 Goffredo Fofi Piergiorgio Giacchè Francesco Ciafaloni Maria Schiavo Gianfranco Bettin Fabrizio Rondolino Cesare Pianciola Edoarda Masi Alfonso Berardinelli Paola Splendore Due lettere Di che parliamo quando parliamo d'amore Petey e Yoisee e Mario - L'agrimensore Premesse all'abitazione Cielo grigio, alberi maestri e cavallo sauro Il posseduto La sacra famiglia Fotografie L'uomo della memoria Due poesie Identificarsi. .. a cura di Mario Materassi Il "giallo" della signora Cross a cura di Maria Nadotti Il ricordo dell'ambiguità a cura di Maria Teresa Mandalari Ricordo di Juan Rulfo Forza ragazzi L'odore dei limoni. Una "modesta proposta" La fine dello Shuttle Elsa e il drago della notte Rosenzweig, la filosofia come racconto La politica ridefinita di Hannah Arendt Popolo, nazione, impero. Contributo a un dibattito Il libro di Edoarda Masi e i guai della sinistra Ancora sul "libro da nascondere" SCHEDE . 85 STORIE - Sam Shepard (M. Caramella), Nadine Gordimer (/. Vivan), Alessandro Portelli (M. Sinibaldi). SAGGI - Gianni Turchetta (M. Barenghi), Peter Brooks (B. Falcetto), "Rothiana" (R. H. Cohen). VARIA - "Enciclopedia della Letteratura" Garzanti (M. Barenghi). La copertina di questo numero è di Daniele Scàndola 95 Libri da leggere 96 Gli autori di questo numero
DUELETTERE Elsa Morante Roma, sabato 18 ott. '69 Caro Goffredo 1) il vecchio Milarepa (purtroppo oggi troppo "chiacchierato"; ma "consumato" mai!) a un suo scolaro che gli chiedeva: chefare, dunque, andare fra gli uomini, o meditare in solitudine? (Marta o Maria) - ha risposto: È inutile andare fra loro finché non si è capito (ciechi che guidano altri ciechi), e perciò sarà meglio meditare da soli finché non si sia capito qualche cosa, e quando si ha qualcosa da dargli, andare fra loro. Naturalmente, può succedere che, meditando, si arrivino a capire solo i propri limiti: per esempio, che si è bravi solo a giocare al pallone. Ma anche questo è utile a capirsi: allora si tornerà fra gli uomini senz'altra pretesa che di distrarli la domenica col gioco del pallone. Oppure anche si potrà meditare meditare meditare e non capirci mai niente. E questo, ormai, è il mio caso. Ci sono infine quei felici che attraverso la meditazione arrivano a capire sia pure un grammo o un chilo di verità. Sono gli angeli (cw-yEÀVi = colui che porta la notizia) e ti auguro con amore di essere uno di loro. MORALE: però la meditazione è un intervallo necessario. Il guaio di P.P.P. per esempio è che non si ritira mai a meditare un po'. Si capisce che la convivenza con se stessi (soli con se stessi) è la più terribile (specie per Narciso). Ma ... 2) ''Dacci oggi il nostro pane di domani''. Se il pane va preso alla lettera (di questo vorrei riparlare con te un giorno) io preferisco: "a ogni giorno basta la sua cura. Guardate gli uccelli del cielo ... " ecc. Marx invece, da bravo Ebreo, preferiva secondo il Vangelo degli Ebrei: senza, lui, prevedere che domani il pane sarà diventato un pane di plastica. 3) Tu mi dici di scrivere. Invece in questi giorni io sto rileggendo (o leggendo nel caso di mie vergognose lacune) i miei cari AUTORI anarchici (a proposito, non riesco a trovare una riga di testo di Kropotkin. Sai dove lo hanno riposto? ne esiste ancora qualche copia?). E vedo che secondo Bakunin: "a ciascuno secondo il suo lavoro". Io sono già arrivata all'età della pensione. (Invece, purtroppo non mi va. Il mio sogno sarebbe, come si dice, di morire sulla breccia. Magari semplicemente investita da qualche macchina; e a quel punto là, che sia una 500 o una Rolls Royce non farà nessuna differenza, nemmeno ironica. Veramente in quel punto avrò perdonato a tutti. Del resto il guidatore della 500 o della Vespa magari, o anche l'appiedato magari, sono corresponsabili delle Rolls Royce, dal momento che le desiderano. La lotta di classe è l'equivoco principale, un'altra droga. Il punto sarebbe di far capire a tutti che una Rolls Royce conta una merda, e che il bello è altrove. "Odiare i ricchi" significa già essere ricchi non meno di loro). * * * 1) Fine della parentesi: E. M., ritira tutto quello che hai scritto più sopra (all' l)! CHI TI DICE che Marta forse non fosse lei nel vero? Andrai fra gli uomini comunque (COMUNQUE), anche senza aver capito! il meno che potrebbe BibliotecaGino Bianco capitare, sarebbe, per esempio, trovare un tale in panne, e aiutarlo a riavviare il motore! sempre meglio questo, che stare nella cella a rimuginare elucubrare gestare senza capirci mai niente di niente! MORALE (interessata): Insomma Goffredo li farai o no quei tuoi 40 giorni di deserto a Gubbio? dove finalmente ti veniamo a trovare!! in macchina! e parliamo di Cristo e di Bakunin, e di Marx e del Beato Angelico! e stavolta vorrei io esserci insieme a rifare l'I King per te. (Il mio ultimo I K. diceva che al posto del cielo mi ritorna la terra). Baci La NONNA Roma, 21 dicembre 1971 Caro Goffredo con questa mia lettera ti mando i miei auguri di Natale e Anno Nuovo, e ti racconto, per l'occasione, un fatto vero (vero almeno in parte, e fino a un certo punto). Avvenne più di 50 anni fa, nel periodo delle feste (credo fossero proprio le feste natalizie). In un collegio di preti (o frati) una diecina di ragazzetti erano costretti, per motivi di famiglia, a passare le feste dentro. Il pranzo della festa principale (giorno di Natale) fu - relativamente - lauto. La lista era: Fettuccine - Abbacchio con patate - 1 pera. Alla fine viene portata in tavola una magnifica torta (zuppa inglese) del diametro di almeno 45 cm. Si alza il Priore e dice: "Figlioli, in questo santo giorno vi invito a pensare a tanti poveri bambini che non hanno nemmeno il pane: e nel pensiero di questi poverelli vi propongo di offrire un fioretto a Gesù. A ciascuno dei presenti qui raccolti a questa tavola tocca, o toccherebbe, una fetta della torta che qui vedete. Ebbene, ecco la mia proposta: rinunciare alla propria fetta di torta, offrendola come fioretto a Gesù. Tutti i bambini buoni che sono d'accordo su questo fioretto, adesso si alzeranno da tavola. Va bene?" Tutti quanti rispondono compunti: Sì, padre. E si alzano. Tutti quanti meno uno, un certo Egidio che non risponde e non si alza. A trattenerlo sulla sedia è una sensazione strana: gli sembra che quel fioretto puzzi. "Egidio! Hai sentito? E perché tu non ti alzi? Tutti i bambini buoni si sono alzati. E tu?" Egidio si fa rosso, e non trova che questa risposta: "Io sono cattivo." "Ah!" fa il Priore amareggiato. E sia pure controvoglia, è costretto a tagliare una fetta della torta e a metterla nel piatto di Egidio. Il quale rimane solo a tavola con la sua fetta di zuppa inglese. Il peggio è che, fra tutti i dolci, proprio la zuppa inglese non gli piace. Ne mangia un pezzetto, ma non gli va. In quel momento vede, dietro la vetrata del refettorio, un cagnaccio di nessuno che fissa il suo piatto con ingordigia. Tanto per finirla, gli dà il resto della sua torta. Il cane l'ha divorata in un lampo. Exit Egidio. Rientra il Priore. E guarda quella torta non più intera, cioè mancante di una fetta, che gli urta doppia-
6 APERTURA/MORANTE mente i nervi. Primo motivo: perché essa è il simbolo materiale che nel suo bravo gregge ci si trova una pecorella smarrita, un individualista anzi un aristocratico e, diciamolo pure, un reazionario: EGIDIO! E secondo motivo: per ragioni politiche, giacché, come spesso succede, dietro a questo fioretto collettivo ci si nascondeva anche una politica; cioè: il Priore si riprometteva di offrire quella torta, rinunciata dai ragazzi, alla potentissima grassissima e ghiottissima Badessa di un convento del circondario, la quale giustamente gliene avrebbe reso merito ... Ma adesso che la torta non è più intera, mancando di uno spicchio, decentemente non si può offrirgliela più. E quanto a lui stesso, per colmo di rabbia, lui soffre di diabete ... anzi, alle altre sue rabbie, si aggiunge pure un po' di invidia per Egidio che col suo stomacuccio fresco, ha gustato il sapore dello zucchero ... In poche parole: quella torta gli è diventata odiosa al punto che quasi quasi la butterebbe nel cesso! In quel momento, il caso vuole che passi di là un piccolo spazzacamino del convento (1), che viene in questo giorno a riscuotere i propri crediti (il Priore è di solito un tardo pagatore) i quali ammontano in tutto (lavoro di tutto l'inverno) a L. 2,45 (si tratta di 50 anni fa). Seccato, il Priore gli molla, all'uso solito, un acconto di L. 0,50 dicendo: Ripassa quest'altr'anno per il resto. In quel momento, gli ricasca sotto gli occhi la maledetta torta, e per liberarsene, la mette fra le braccia del piccolo spazzacamino: "To', portatela via, e togliti subito dai piedi". Lo spazzacamino scappa via, e se la va a mangiare coi suoi compagnucci spazzacamini. Fine. ? MORALE: ? Le vie del signore sono infinite oppure ? Tutte le strade portano a Roma. Non so. La storia, a ogni modo è (fino a un certo punto) vera. Non ti ho raccontato una balla. Avvenne più di 50 anni fa (esattamente, se non mi sbaglio, 53 o 54 anni fa). (1) N.B. (al posto dello spazzacamino, forse c'era il garzone del lattaio - o altro sotto-proletario minorenne). Ancora tanti auguri affettuosi da Elsa Nota. Queste lettere, le più significative e le meno personali tra quelle ricevute da Elsa Morante, si riferiscono a discussioni affrontate in incontri molto intensi di quegli anni assai pieni. Non credo necessitino di molte spiegazioni, ma ricordo che Milarepa era "chiacchierato" in quanto la Cavani stava facendo un film su di lui (molto prima che uscisse l'edizione Adelphi della sua opera, era stata Elsa a farlo conoscere alla Cavani come ad altri amici) e che "Dacci oggi il nostro pane di domani" è un versetto che avevo trovato nei Vangeli apocrifi e che avevo citato a Elsa in una mia lettera. (Gof/redo Fofi) BibliotecaGino Bianco carzallt GLI ELEFANTISONO DI BUONAMEMORIA e vi ricordano i romanzi che non si devono dimenticare. Novità: William Faulkner • Santuario Carlo Emilio Gadda • L'Adalgisa Truman Capote • Un Natale e altri racconti Mario Soldati • Le due città Aldo Palazzeschi • Roma Giorgio Bassani • Gli occhiali d'oro ;,,,"';"""'e Paul Scott • Il giorno dello scorpione . imminente Libri usciti: Italo Calvino • Il visconte dimezzato Italo Calvino • Il barone rampante Italo Calvino • Il cavaliere inesistente Jorg~ Aruado • Dona Flore i suoi due manti Paul Scott • La gemma della corona Michael Crichton • Congo Ferdinando Camon • Un altare per la madre Giovanni Testori • Il ponte della Ghisolfa Giovanni Arpinq • La suora giovane
RICORDOIJUANRULFO Goffredo Fofi Dopo Boli, Calvino e Elsa Morante, scomparsi nella seconda metà dello scorso anno, l'inizio dell'86 ci ha portato la notizia della morte di un altro scrittore da noi molto amato, il messicano Juan Rulfo (Jalisco 1918 - Città del Messico 1986), di cui "Linea d'ombra" aveva pubblicato un racconto breve e folgorante in uno dei suoi primi numeri. Chi scrive aveva avuto l'onore e la gioia di conoscerlo, appena due anni addietro, a Città del Messico, e ha ora il rimpianto di non averlo conosciuto meglio, tanto Rulfo gli era parso uomo di rare civiltà e misura, profondità e serietà, appena corrette da un humor sottile e affettuoso. Con lui ho parlato a lungo, in un piccolo bar sovrastante una piccola libreria, dei suoi libri ma più ancora del Messico e della sua letteratura, dell'Italia e della sua letteratura.(Mi stupì e divertì una sua affermazione: che un buon film che spiegava efficacemente il disordine che è stato della rivoluzione messicana, uno dei pochi che ne "dava !"'idea", fosse Giù la testa di Sergio - che Rulfo pronunciava Serghio - Leone). E mi dispiace di non avere, per timidezza, portato un registratore per raccogliere le sue osservazioni, le sue idee, visto che rare sono le interviste con lui e ancor più rari i suoi scritti. Uomo di molti avventurosi mestieri, conoscitore profondo del Messico, l!vorava ali' Istituto Indigenista, e della stona e della cultura degli strati popolari del suo paese era un conoscitore straordinario. Una delle domande che avrei voluto fargli e non gli ho fatto riguardava Faulkner, chea me pare - e credo sia opinione diffusa · un suo punto di partenza fondamentale, come per tanti altri scrittori latino- ~ericani, da Onetti a Marquez. Un'altra il su · d' · ' , o g1~ 1z10sui film messicani di Bunuel. C è da ni:npiangere, in Italia, la quasi inesistenz~. di latino-americanisti almeno ag- :uernti e attivi quanto i lusitanisti. Persi P~resso al fantasma delle letteratura borghesiana o magari marquesiana essi non anno ' saputo far molto per aiutare la cono- ~enza, la comprensione e la giusta valuta- :n; della grande letteratura di quei paesi, -Seritton_un buon lavoro accademico (su _, on come Rulfo o Carpentier Argue- "'as o v , .delle d' arga_sLlo~a: si contano sulla punta O d ita gh studi mteressanti mentre ab- n an · ' é O sciocchezze sulle due mode citate) con un'azione - nei media e nell'editoria r la Promozione di traduzioni del nuovo ·ot va Gino Bianco Juan Ru/fo, Incontro musicale. davvero significati. Per fermarsi al Messico, scrittori importanti come Revueltas, o i viventi Poniatowska e Pacheco, attendono ancora che li si diffonda. La conoscenza di Rulfo è stata ostacolata da tutto questo, come anche dalle pessime traduzioni dei suoi due libri, Pedro Pàramo presso Feltrinelli e La morte al Messico (titolo banale e riduttivo per l'originale "Pianura in fiamme") presso Mondadori. Per fortuna, Einaudi ha riacquistato i diritti sulle due opere, affidandone la versione a una traduttrice valente, Francisca Perujo, e Pedro Pàramo è già disponibile in una buona edizione; anche se Einaudi non mi pare abbiamo molto fatto per pubblicizzarla. In morte di Rulfo, ci è capitato infine di leggere sulla stampa una sola nota seria, quella di Severino Cesari sul "Manifesto". Rulfo ha pubblicato solo due libri, quelli ricordati: il primo, la raccolta di racconti El I/ano en llamas (1953); il secondo, Pedro Pàramo (1955), un breve romanzo. (Un terDISCUSSIONE/FOFI zo piccolo libro di copioni per film sperimentali o documentari è stato tradotto dagli Editori Riuniti col titolo Il gallo d'oro nella collana dei David. Un secondo romanzo, El hijo del desaliento, sul disorientamento degli inurbati, Rulfo non ha mai voluto darlo alle stampe.) Sono bastati per farlo scoprire dai maggiori scrittori e critici del subcontinente e considerare un grande, e per farlo stimare in Messico come il maggiore dei messicani. Radicati nella realtà del paese, addirittura "regionalista" (Rulfo li ha ambientati nello stato in cui è nato, Jalisco); non privi di riferimenti storici (la "guerra cristera" della fine degli anni venti, tra stato e cattolici, di cui Rulfo bambino assistè a cruenti episodi); e tra loro assai simili per "aura" e tensione - sono due capolavori che di molto oltrepassano questi dati ambientali, pur esaltandoli essenziati, per la complessità e misura dei loro veri temi e del loro linguaggio. I primi: la violenza e la morte, la memo7
8 DISCUSSIONE/GIACCHÈ ria e la colpa, che direi centrali alla cultura occidentale e non solo alla messicana (e la colpa nelle sue piu ampie sfaccettature di rimorso e rancore, odio di sé e degli altri, rovesciamento delle cause e degli effetti, frustrazione e dolore, vendetta e autopunizione). Il secondo: di una limpidezza grave, nella quale ha peso, letteralmente, soprattutto il silenzio, ciò che c'è tra le frasi, e che le rende di una densità compresa e sospesa sull'orlo del panico e dell'angoscia. Los murmullos era il primitivo titolo di Pedro Pàramo che - nella storia di un figlio spinto dalla madre alla ricerca del padre, di un padre che vive di un'idolatrata passione irrealizzata per una donna "angelicata", e che di troppi delitti si è macchiato - ci introduce a una purgatoriale dimensione di morte, dove, appunto, è il mormorio dei morti, mescolati ai vivi, indistinguibili dai vivi, a raggiungerci. La ricerca di Juan Preciado è frustrante, poiché del padre scopre sconvolto i misfatti, e poiché anch'egli, ce ne accorgiamo a romanzo avanzato, appartiene già al mondo dei morti, sempre contiguo e coinvolto, coinvolgente. I racconti sono un ampliamento di questo discorso, ramificati e vari, ma retti dallo stesso senso di fatalità e di tragedia. Di essi, sono entrati in tutte le antologie, sono davvero "da antologia", Di/es que no me maten!, No oyes ladrar los perros, Macario, Talpa e tanti altri. Ma quando si dice fatalità e tragedia non si intende cupezza: la scrittura, il fraseggio di Rulfo sono anzi lievi, e comunicano piuttosto la sensazione di una nostalgia acuta, temperata da un'ironia sotterranea dell'autore come dei personaggi, con qualcosa di musicale, spesso di aereo. L'arte di Rulfo è imparagonabile e unica proprio per questo; e straziante per quel fondo di commozione fortemente rattenuta, nascosta, sulle vite perdute, sui destini obbligati, sulle potenzialità non potute esprimere dai suoi personaggi: i contadini del Messico povero, ma anche altri e altrove. E il silenzio di Rulfo - che lo ha infine consegnato a una dimensione mitica e unica nella letteratura di lingua spagnola - è stato forse anche un'adesione a quel discorso, a quelle vite. -~r ~ ....... BibliotecaGino Bianco FORZARAGAZZI PiergiorgioGiacchè Tra l'approdo felice dell'Achille Lauro e l'avvento veloce del Natale, va ricordata quella che è stata la parentesi tiepida di un autunno freddo: il fenomeno "emergente" - e smisuratamente avvistato - dei "ragazzi dell'ottantacique". Non sappiamo ancora se si tratti proprio di "loro", ma dobbiamo dire che, in tal caso, li aspettavamo tutti da tempo. Dopo i tanti brevi e falsi allarmi dei punk e dei guerrieri della notte, dei break-dancer's e dei cattolico-popolari, dei timberland/-boys, dei paninari, degli arciambientalisti e delle neofemministe, riecco un movimento e per di più studentesco: saranno "loro", finalmente? "Loro", cioè l'agognato ricambio, la palingenesi e il riscatto di genitori putativi o reali, che si affacciano dal privato della loro capanna con la casacca d'arancio stinto e la bandiera logora, ma l'aspetto infantile e però impolverato dei sempreverdi condannati al limbo dell'anziana giovinezza e dell'eterna presunzione. Proprio come parenti anche noi li abbiamo osservati in quei primi e timidi e grandi cortei, li abbiamo spiati nelle numerose interviste dei telegiornali flash, li abbiamo indovinati nei solerti e sapienti commenti dei giornalisti di prestigio e di bocca buona. Non siamo ancora in grado di parlare di loro; tanto meno di parlare "con" loro (sempre che si tratti di "loro" ... ). Ma non possiamo trattenerci dallo sbirciare la loro "immagine"; e non soltanto perché li sappiamo piacevolmente allenati alla cultura dell'immaginario e al mercato dell'abbigliamento, ma soprattutto perché ci ha sfiorato una sensazione sgradevole. Forse un sospetto. Ci è sembrato che i "ragazzi dell'85" siano stati in qualche modo anticipati: almeno proprio la loro immagine o quella stessa spiacevole denominazione è nata prima che facessero in tempo a far passare un loro qualunque slogan, a socializzare una loro qualsiasi autodefinizione. Sarà per questo che - malgrado si appartenga a una di quelle generazioni che sono state "strumentalizzate", come si vorrebbe evitare adesso ... - non ce la sentiamo di invidiarli. Chissà che per scongiurare una strumentalizzazione a posteriori, non si sia operata una manipolazione a priori? Allora siamo più semplici e diciamolo che l'assenza di bramosa partecipazione o la presenza di astioso distacco, sta proprio in quel nomignolo collettivo che è stato loro appioppato. È dal tempo degli sventurati "ragazzi del '99" che, fra l'altro, quel modo di battezzare non porta fortuna. Né mai, come in etichette come queste, gli elementi concorrono a definire, quanto piuttosto a delimitare: l'anno d.o.c. è stampato per garantire un malaugurato prolungamento nel tempo, la denominazione "ragazzi" per scongiurare un ancora più deprecabile sconfinamento dallo spazio affettuoso dove li si vuole collocati. Forse è tutto qui il segreto di questa anticipata manipolazione. Prima ancora che comparissero sulla scena sociale erano già amorosamente incoraggiati a farsi avanti, precocemente addestrati a farsi vedere: allevati lontani dalle paure e chiusure domestiche, dalle incomprensioni autoritarie, dalle ristrettezze moralistiche, nei permissivismi complici di genitori tanto coetanei quanto impazienti di diventarlo per davvero ... Per questo - prima ancora della frettolosa e attenta manovra dei mass media - una incolpevole strategia sociale e familiare li aveva già destinati a un soprannome affettuoso: appena hanno deciso di mostrarsi, d'incanto e d'accordo tutti li hanno visti così, come "i loro ragazzi". Sorvolando sul recente precedente patriottico dei "nostri ragazzi nel Libano", la scelta del nome esprime comunque un particolare !ipo di interessamento e di protezione. Ragazzo vuol dire più di "ometto", nasce presto eppure si prolunga oltre il militare, perfino attraversa tutte le età con l' effetto o la necessità di una sferzata di energia; ragazzo è il cognome protocameratesco delle avventure a fumetti di tutte le epoche, dove spazia dal surrogato di antiquate interiezioni ("forza ragazzi!" sta per "orsù") al rafforzativo di una aggettivazione positi-
va che sempre più diviene pleonastica ("ragazzi" basta a significare "bravi ragazzi, bei ragazzi", ecc.). Al plurale - come si è visto - "ragazzi" è un collettivo di facile e vasto uso eppure vitaminico al massimo, di salubre interclassismo appena venato di nostalgico e retrò; comunque non è "giovani" che è sostantivo tradizionalmente affascinante, ma è imprendibile e perfino periglioso, e soprattutto non è "studenti", come avrebbe potuto essere, parola oramai rovinata dalla ribellione e passata dalla brillantezza luciferina all'opacità decadente e grottesca della scuola tutta intera. Al plurale e al singolare, come anche al femminile, "ragazzi" è il succedaneo moderno dei piccoli uomini e delle piccole donne della letteratura migliore, quella delle avventure sane, della crescita e della solidarietà sentimentale con i genitori e i loro sacrifici. Infine in negativo, gli errori dei ragazzi sono innocue chiassosità, le lotte dei ragazzi sanguinano solo al naso, o invece, se feriscono alla fronte, sono immacolate e gracili come il biondo gratuito eroe dei ragazzi, appunto, della via Pal. Nonostante si possa proseguire con altri precedenti illustri, si ha però la certezza di dover cercare altre illustrazioni, che più certamente stanno all'origine spontanea e concorde della scelta del nome. Se infatti si sfoglia nel giusto si vedrà altresì che smette decisamente di incuriosirci, anche se non cessa di infastidirci. Sono in effetti le scenette o i sorrisi della pubblicità casalinga, soprattutto alimentare, che fanno da base culturale diffusa e sottintesa alla scelta e alla voglia che, nell'anno di grazia millenovecentottantacinque, ha la gente di riscoprire i "ragazzi". E la gente non può non entusiasmarsi davanti alla genuinità e alla comunione che vive in questa parola: "ragazzi" proprio come "nutella" è il minimo comun denominatore di tutte le generazioni televisive che si abbracciano, si spalmano paté di tonno, aspirano fragranze di brodo, pasteggiano disinvolti nel rimodernato desco, sentimentalmente ritrovati attorno al salutare cuore del mais. Ecco perché ragazzi sono tutti, e ci rimangono fino a Pertini, fino a novant'anni. .. Più che una scelta è un obbligo conveniente, che costa appena un impegno epidermico e che dà il vantaggio di una corrispondenza immediata (e permette di concorrere al sorteggio di un miracoloso effetto di rimbalzo). Così il Generale che li chiama a sé, può sentirsi ragazzo grande fra ragazzi inesperti, così il Giornalista che ne parla non può sottrarsi alla tentazione o alla confusione di sentirsi rappresentato in BibliotecaGino Bianco quel nome. "Ragazzi" è un nome dall'ampia possibilità di Partecipazione, dalla vasta necessità di Decentramento: è il distintivo più egalitario che sia sopravvissuto, forse per la sua insostenibile leggerezza rispetto al greve uniformismo di "compagni" o al sanguigno misticismo di "fratelli". "Ragazzi" sa un po' di casermaggio, ma è rispettoso delle distanze. Non viola l'anonimato eppure lo abolisce, tutela la privacy eppure la penetra, allude all'età, al sesso, al censo e insieme li trascende: è l'epiteto più comune e democratico che esista! Infine da parte dei diretti depositari di questo marchio ("ragazzi") non c'è la gelosia e l'avarizia di una volta, di quando ci si affrettava a liquidare i "matusa" smascherandoli dietro gli abiti vivaci e dentro le balere minorili. I ragazzi non sono più.possessivi con il loro nome, come non vogliono essere esclusivi con gli altri attributi della loro identità. Sembrano anzi soddisfatti della dilatazione e abuso dei propri segni, ansiosi di far parte di un continente sociale globalmente giovane: hanno un buon rapporto con i ragazzi più vecchi o vecchissimi, chiamano da tempo per nome i propri geniDISCUSSIONE/GIACCHÈ tori e talvolta i nonni, vivono in confidenza e in armonico e paritario disinteresse con tutta l'altra umanità, tanto che sono avvezzi a mescolarsi in santa pace al mare difforme della generalizzata ragazzeria di tutte le età, nei fast-food e nelle discoteche, fra le boutiques e i computers, senza mai azzardare una derisione, una presunzione, una sgabata distinziòne ... : che cari ragazzi! Sembrano dunque lontane e superate per sempre le prepotenti e impotenti discriminazioni, che una volta contrapponevano le giovani generazioni emergenti a quelle che le avevano nutrite e avevano fatto da guida. Quelle odiose emarginazioni a cui si dovevano sentire indegnamente sottoposti i detestati adulti, ''borghesi, ipocriti, conformisti, integrati, conservatori, capitalisti, fascisti, eccetera", feriti con insistenza da appunti che si arrampicavano assurdamente sui dettagli della loro innocente normalità: che senso aveva attaccare il "buon senso", o agitare le piccole guerre fra lunghi e corti capelli, fra magliette e cravatte, fra urlatori e melodici, e decine e decine di sottintese ed esplosive liti che parea dovessero separare in eterno i ragazzi in blue-jeans dagli uomini in lebole? I ragazzi di oggi finalmente vivono e lasciano vivere e, specialmente, vestono e lasciano vestire come si vuole, a perdersi fra le infinite gamme che il mercato offre a loro come a tutti gli altri (ragazzi). Sarebbe pazzesco pretendere "di più", e nondimeno cercare "altro" o parlare "contro", come istigavano le strumentalizzazioni di un tempo. Adesso i ragazzi vogliono semplicemente "il meglio", ed hanno ragione. Anzi hanno tutte le ragioni e quindi tutti i consensi. Chi non vuole il meglio? Dai progressisti ai conservatori fino ai neonati miglioristi, tutti logicamente ... (e ci sembra appena di intuire che "guai a chi non lo vuole!", ma si tratta certamente ancora di una evocazione irriflessa di antiche malignità, provocata dall'inerzia colpevole di ingiuste abitudini e di forzate frustrazioni...). I "ragazzi dell'85", invece, fanno la loro parte e, senza buttarla in politica, la stanno cantando chiara la loro lista di rivendicazioni cristalline. Non ci scandalizza la sapida elementarità delle loro richieste: non sono affatto nuove ma, a dispetto delle cattive memorie, sono le stesse del fatidico '68, che non trascurava banchi, aule, edilizia e affini in quelle assemblee gremite anche di democristiani e di piccoli laici - dai volti tutti sinistri-, che ogni giorno dichiaravano la loro lontananza dalla politica partitica, proprio 9
10 DISCUSSIONE/GIACCHÈ come avviene ora. Non ci spaventa l'assenza di analisi, teorie, ideologie nuove o usate, anche se crediamo che senza alcune necessarie e vitali profondità non si sostanzia e non sussiste nemmeno un movimento di cacciatori e raccoglitori del paleolitico: se son "rose" fioriranno, né ci si può lamentare che del "pane" non sentano grande bisogno. La preoccupazione vera è un'altra (e conviene segnalarla nel caso che si tratti ve.. ramente di "loro"): sta nell'incantato accordo da cui sono accompagnati e a cui sembrano ispirarsi e addomesticarsi. Il concorso esterno di troppi soci sostenitori ci inquieta inspiegabilmente; diventa più comprensibile però quando pare corrispondente al contributo di consapevole concordia che il movimento fa mostra di offrire. Può darsi che non siamo assuefatti all'invertitismo di una pace sociale che si antepone storicamente alla dialettica di un conflitto. Può darsi invece che continuiamo a conoscere soltanto l'immagine di un movimento, anche quando ci spingiamo a supporre che un eccesso di rispettosa concordia sia l'elemento costitutivo delle dinamiche interne del movimento stesso (e si anteponga al processo della sua unità): informazioni e dichiarazioni diverse e contrarie non raggiungono i toni medi di una normale aggressività. Non si sente aleggiare la tensione di un confronto, non si coglie la tendenza frettolosa verso la sintesi e tantomeno l'errore della divisione e del litigio. Che tanta pacificazione sia figlia del pacifismo non ci convince: piuttosto è parente dell'armonia poliforme del supermercato (si sarebbe concluso in altri tempi e in altri movimenti...). Forse l'atteggiamento di salute e non di malattia - che la sbrigativa diagnosi ha evidenziato e che ci sbigottisce - è dovuto a una prolungata educazione al consenso, vissuto come unica condizione conosciuta; forse ancora, discende dall'interiorizzazione inconsapevole delle tante scosse elettriche cui il pavloviano controllo ha fin qui sottoposto le precedenti generazioni di cavie; forse invece dalla quantità di vaccini e anticorpi somministrati fino ali' 85, per scongiurare il ripetersi di tutte le forme estremistiche delle malattie infantili appena trascorse. Ma voler capire è presto (e, se poi non si tratta di "loro", anche inutile): per ora ci basta registrare, con tutta l'umiltà e la superficialità di chi dispone soltanto delle fotografie. Allora come non rilevare che i cortei dei "ragazzi" sembrano correnti che non interdicono il sostanziale moto ondoso BibliotecaGino Bianco del consenso e forse nemmeno increspano di tanto lo stagno? Come non annotare l'attaccamento alla ragionevolezza che fa il paio con l'ostinata limitatezza degli obiettivi? Come non osservare che al caparbio interesse per il ripristino dei funzionamenti, non corrisponde la denuncia della sparizione delle funzioni, dal momento che "a che serve la scuola?" o "esiste la scuola?" sono ormai diventate domande di religione? Di contro le immagini e le chiacchiere, e speriamo soltanto quelle, trasmettono compiaciuti ragazzi assenti e cordiali che animano una sorta di movimento di condomini, che si muovono in una logica da consigli di circoscrizione; come fosse avvenuto l'assestamento definitivo di una cultura tutta sinistra e di una società tutta di ceto medio che, addomesticata, ha imparato a riprodursi in cattività. Come se ai giovani non fosse rimasta altra scelta di una direzione di impegno egoistica, modello presentatore televisivo, ovvero di una altruistica, sul modello difficile e ambito dell'assessore volonteroso e responsabile (e conviene far tacere quel residuo fastidioso di involontaria abitudine all'analisi radicale, che ci porterebbe a divinare il compimento di una razionalizzazione socio-culturale, la presenza di una situazione politica di "regime", la conferma irreversibile del più vasto fantasma del "sistema", vecchio e indimenticato moloch! ... ). "In questo quadro" - dovrebbe concludersi il volantino - "i ragazzi dell'85 cosa sono? da che parte stanno?" (ovvero in stile vetero/PCI, "a chi giovano?"). Continuamo a non saperlo e non abbiamo fretta. Come nemmeno sappiamo se insisteranno ancora e arriveranno a conquistare un altro calendario e un altro numero sull'etichetta. Mentre li riceviamo distorti e filtrati da giornali e televisioni di cui restiamo tradizionalmente diffidenti (come solo i ~t --. tr~?IF;~ --- . ~- -~ /"' ~- --::::::- ~ .--- ~~ · .. primi "integrati" sanno essere "apocalittici"), non possiamo toglierci dalla testa la loro variopinta ma virtuosa pubblicità, la loro conveniente giudiziosità e soprattutto il coro generale delle formali benedizioni, degli applausi di incoraggiamento, degli ammiccamenti benevoli e solidali che accompagnano le gite scolastiche dei loro cortei. Forse non saranno soffocati da un abbraccio, ma è certo che si sentiranno frastornati da ta.nta partecipata bonomia. Come faranno a riconoscere il "nemico", nell'uniformità propizia e sollecitante che li circonda? Nei soliti altri tempi, i soliti altri giovani si sarebbero v1stI perduti senza il "nemico": e dunque sono stati facilitati da una abnorme quantità di segnali decisamente ostili. Oggi il movimento vive il paradosso opposto, quello fornito dall'ininterrotto panorama di sorrisi orientali che lo circondano. Vuoi vedere che attorno a loro sono diventati tutti "cinesi"? Vuoi vedere che a quest'esercito di baldi pionieri corrisponde il contesto conciliato e pacioccone di una conquistata "realtà sovietica"? Forse i precedenti ragazzi, con i loro movimenti tempestosi, hanno vinto senza saperlo? Talvolta è questo che dimostrano, anche se non lo pensano, quando guardano con conforto e approvazione i loro docili e filiali ritratti. Quando ci si specchiano come per rimettersi in bella o almeno per rimettersi in pace dopo i troppi giovanili errori e qualche imprevisto orrore. Quando si vorrebbe che, se non 1'85, magari 1'86 fosse preso sul serio alla lettera, a realizzare un capovolgimento definitivo di un 68 ancora indiiesto e indigerito. E facile che sia questo il motivo segreto di tanta tifoseria. Quanti nelle intenzioni avrebbero voluto essere tranquilli, seri, benvoluti come loro, hanno questo miracolo da chiedere all'ultima crociata dei ragazzi. E ci sembra che un piccolo aiuto, un ultimo sacrificio si chieda anche a chi non riesce a identificarsi in questa speranza: a quelli che malauguratamente restano contaminati da precedenti epoche di follia, che non riescono a disprezzare in memoria le proteste efferate del "tutto e subito", ai malati di nostalgia, agli spiritualmente insoddisfatti, agli scontenti irriducibili, ai devianti incontrovertibili ... Che facciano loro la parte dei "nemici" dei "ragazzi", che si lascino ancora una volta indicare e recipire come il cattivo esempio, la corrotta strumentalizzazione, lo sciagurato estremismo, il tragico fallimento! Che cos'hanno in fin dei conti da perdere recitando un'ultima sconfitta, stavolta a fin di bene?
L'ODORDEEILIMONI. UNA"MODESTAPROPOSTA" FrancescoCiafaloni Ora sembra normale. Anche qui dove abito ora, hanno preso atto della realtà. I fatti sono fatti e cambiano il mondo e anche le idee di chi è contrario a quei fatti. I primi commenti erano stati vigorosi. Si erano scaldati molto, qui, e avevano parlato di omicidi di massa, di fascismo. Qui come in altri paesi, ma più che in altri paesi; e per questo qui ero rimasto e qui vivo. Anche se non è stato facile. Per la lingua. Per la gente. E perché anche in questi che, appunto, sono i paesi dell'assistenza, uno straniero fa bene prima o poi a trovarsi un lavoro. Ora però il clima è cambiato. Della "soluzione" non parlano più tanto. Qualche articolo di esecrazione per ragioni morali, qualche sottolineatura della ferocia dei latini. Ma la soluzione si è diffusa, non è più un fenomeno solo italiano. La disoccupazione è caduta: le cifre sono lì. Lo stato assistenziale è finalmente defunto. Perciò, anche qui, non mancano gli apprezzamenti per la creatività politica degli italiani, per la loro vitalità, per la capacità di trovare soluzioni nuove a problemi antichi. Non sono loro che hanno inventato le partecipazioni statali, il cattolicesimo democratico, il socialismo gerarchico e nazionale? E ora, ecco la soluzione, che va certo benissimo per l'Italia, ma che ha potenzialità addirittura rivoluzionarie per i paesi in via di sviluppo, in cui anzi il diverso rapporto tra materia prima e consumatori potenziali cambia la natura stessa della soluzione. Non più un ripiego, imitato se si vuole da progetti già pensati altrove, ma una vera via maestra verso il futuro. Un sistema produttivo senza limiti, aperto all'esportazione, demograficamente stabile, ecologicamente bilanciato, socialmente organico, ordinato, rispettoso. Anche qui, alla frontiera, ai limiti del baluardo che si oppone alla soluzione non ci si nasconde che poi, a ben vedere, non è tanto la soluzione materiale che conta nei paesi avanzati, che potevano farcela comunque, anche alla vecchia maniera, dando i sussidi alla gente, o assumendo nei servizi sociali come quel mollaccione di Olof Palme. Anzi si dice che, dopo un inizio grintoso, quando sono scappato io un po' per ingenuità e un po' per disgusto, insieme a tanti altri, il governo la soluzione non l'abbia mica applicata tanto. Ci sono molti BibliotecaGino Bianco modi per scapolarsela, per farsi sostituire, per farsi passare per occupato, per entrare in uno degli ordini laici, per farsi assumere, per farsi esonerare, per farsi dichiarare malato - questa materia prima degli ospedali e perciò eterno, trapiantabile ad libitum, misurabile, iniettabile, trasfondibile, rianimabile, intubabile, iperventilabile, tagliabile e ricucibile, defibrillabile e immettibile nel polmone d'acciaio, irradiabile, tomografabile ed ecografabile, per il costo complessivo di un miliardo al giorno, fino a centoventi anni. La soluzione materiale, è roba da negri. Ai quali, si dice, le multinazionali bianche stanno facendo un lavoro niente male. Quella che conta è la soluzione politica. Finiti i tempi in cui, alla peggio, ti licenziavano. E uno se ne stava lì, col sussidio se si erano degnati di battezzarti cassintegrato, a mangiare a sbafo, o senza sussidio, ad arrangiarsi e a non pagare le tasse. Ora le cose si mettono male. Non devi farti licenziare, devi essere disciplinato, devi essere ammanicato a una qualche clientela per passare tra le maglie dei reclutatori per i concorsi obbligatori, altrimenti ti ritrovi a ricordarti a tue spese che quello dove sei nato è il paese dove fioriscono i limoni. Naturalmente quasi tutti riescono a passare tra le maglie, e l'odore dei limoni vanno a sentirlo in pochi. Esiste pure, una superiorità morale degli italiani. Ma le conseguenze d'ordine sono impressionanti. La sindacalizzazione è salita al 105 per cento e si danno tesi di laurea per cercare di capire dove si nasconda il doppio conteggio. Le iscrizioni ai partiti di governo sono state chiuse da tempo. In teoria ci si può entrare solo per concorso, ma è una parola. Dicono che a momenti è più facile diventare ricercatori di ruolo all'università, che poi vuol dire sostanzialmente la stessa cosa. Ricorderete, la soluzione cominciò come per caso e fu uno choc, ma il lavorio culturale per prepararla era stato lungo. I tempi erano maturi. DISCUSSIONE/CIAFALONI Fu il presidente del consiglio a decidere in segreto, di concerto col governo e con la calda approvazione del suo sottosegretario e la collaborazione tecnica del ministro dell'industria e di quello delle ferrovie, di gasare con un preparato assolutamente mortale e dall'intenso odore di zagara i sessantamila partecipanti al concorso per dieci posti di manovratore delle ferrovie dello stato. Muniti dei conforti culturali. "Anche a noi poveri un poco di ricchezza, ed è l'odore dei limoni". I corpi, corpi giovani e vigorosi, e ben nutriti - checché dicessero i menagramo protestatari, gli italiani, in particolare gli italiani aspiranti ai posti di stato, mangiavano e come - furono trasportati, dalle innumerevoli sedi decentrate, nell'hinterland milanese e trasformati in ottimo cibo in scatola, ai vari sapori, da destinarsi almeno in prima istanza alla alimentazione gratuita dei pensionati, previa naturalmente una congrua trattenuta sulla pensione. Non fu facile. E ci fu qualche inconveniente. Intanto ci rimisero le penne i docenti, ridotti per l'occasione al minimo indispensabile, ma pur sempre impiegati di ruolo dello stato, sindacalizzati, iscritti ai partiti e quindi fonte inesauribile di grane. Poi non tutte le finestre e le porte erano veramente stagne. Qualche fuga ci fu. E alcuni cittadini di passaggio ebbero anche loro il dubbio privilegio di sentire l'odore dei limoni. Poi, immaginatevi l'immane problema logistico: trasportare sessantamila corpi, ragionevolmente in buone condizioni, da varie località, con le ferrovie italiane. Se si guastavano prima di bollirli, metà della proposta andava in fumo e non ci sarebbe stata nessuna vera possibilità politica di renderla permanente. La credibilità del governo sarebbe stata dimezzata. Sul gas invece non c'erano preoccupazioni. Odorava di zagare ma l'aveva prodotto una multinazionale coi fiocchi, abituata a lavorare per il Pentagono e per vie traverse anche per il Cremlino, e il risultato era garantito. Il ministro aveva giurato che le ferrovie erano perfettamente in grado di fare tutto in orario. Doveva pur far cessare le battutacce dei colleghi che non mancavano occa- . sioni per ricordargli che, dalle parti dove è nato lui, per fare in treno ottanta chilometri (da Lecce a Taranto) ci vogliono quattro ore se tutto funziona in orario. In effetti poi le ferrovie non ce l'avevano fatta, ma un buon numero di carri frigorifero privati, di aziende equamente suddivise tra i partiti della maggioranza più una fetta per le cooperative, avevano rimediato prontamente e nessuno se n'era accorto. Prima che la noti1]
2 DISCUSSIONE/CIAFALONI zia diventasse pubblica tutto era già bollito e l'inscatolamento procedeva ai ritmi normali. La 'prima reazione dei giornali fu, ovviamente, di rivolta. Ci fu persino chi, nel governo, tentò di minimizzare e di sostenere che si era trattato di un fatale incidente nell'uso di un deodorante, pur necessario dato l'affollamento. Ma quale fosse la politica giusta da adottare fu subito chiaro. Il presidente del consiglio, a nome del governo, si assunse la piena responsabilità dell'accaduto. Anzi annunciò il piano permanente per l'annullamento della disoccupazione e lo sviluppo produttivo. Nessuno poteva vivere in Italia senza essere titolare di un posto di lavoro. Erano automaticamente produttori tutti i proprietari, a qualunque titolo, in quanto titolari del capitale. Gli altri o avevano un posto o dovevano aspirarvi. Era quindi fatto obbligo a tutti i cittadini italiani in età di lavoro di partecipare ai concorsi che lo stato avrebbe indetto, oppure a iscriversi ai corsi che sarebbero stati aperti per l'avviamento al lavoro nel settore privato. Siccome però, tendenzialmente, c'era uno squilibrio tra i posti creabili e gli aspiranti obbligatori, sia nel settore pubblico che in quello privato, una certa percentuale di aspiranti era di troppo e doveva essere, con dolore, gradualmente riassorbita. E quale modo più nobile, più produttivo e socialmente alto di farlo che utilizzarla per sostenere i cittadini che avevano prodotto e non erano ormai più in grado di produrre? Un calcolatore imparziale avrebbe deciso quanti e quali concorsi andavano gasati, secondo un andamento nel tempo da concordare con le parti sociali, tenendo conto del deficit e del fabbisogno dei pensionati. La polemica, in Italia e all'estero, fu subito aspra, ma anche complessa e confusa. Il governo sudafricano capì subito di avere trovato un inaspettato e fertilissimo nuovo filone d'oro e cominciò a sfruttarlo, culturalmente dal primo giorno e praticamente non appena le potenzialità del nuovo mercato furono chiare. Le autorità religiose di mezzo mondo e molti religiosi in Italia insorsero. I paesi del nord Europa minacciarono di rompere le relazioni diplomatiche, di spaccare la Cee, di applicare le sanzioni, di chiudere le frontiere a difesa delle carni minacciate dei loro cittadini. I movimenti nazionalisti e gruppi terroristi del medio oriente emisero un comunicato congiunto per sottolineare l'inusitata crudeltà. I governi integralisti islamici lanciarono accuse violente e avviarono gruppi di studio segreti del Corano per vedere se non ci fosBibliotecaGino Bianco ('\ ,~ ~;.l I~{~ \ j'" l/{ 0J~) se un modo di applicare in casa propria la soluzione, sostituendo però all'ignobile assassinio di inconsapevoli il volontario sacrificio nella Jihad. Ancora adesso non riesco a credere al modo in cui reagì la sinistra. Ferma condanna, naturalmente, per i morti. Soprattutto per il loro numero e la casualità della scelta. Ma pieno apprezzamento del piano complessivo. Giusto: dovevano essere indetti i concorsi obbligatori, e i corsi di avviamento generali. Tutti dovevano essere produttori. Ma il riassorbimento non poteva essere affidato a quella particolare tecnica, e soprattutto non poteva colpire indiscriminatamente persone che magari già svolgevano e certo volevano svolgere funzioni produttive, mentre c'erano devianti, sfaticati, delinquenti che erano tutti rimasti immuni nel primo esperimento (loro i concorsi non li facevano mica) e che solo il caso avrebbe potuto colpire in seguito. La Cgil si lanciò perciò in una serie infinita di proposte, di rivendicazioni, di piattaforme, in cui alla fine miracolosamente i conti tornavano, inclusi quelli dei pensionati cui, previa sterilizzazione, andavano in scatola i morti naturali, e non c'era più bisogno di gasare nessuno. La Cisl, con la sua solida cultura assiJ,,, <k l~ \\t J1." .,,_;..,_.- stenzialista, fu invece per lo scontro frontale. La scardinò l'enciclica Resurrecturi. Date Caesari quod Caesaris, era il primo punto. La Chiesa non poteva e non doveva prendere posizione su scelte di politica economica. Certo questa era una scelta grave, perché ledeva il diritto alla vita di alcuni. Ma cos'erano mai sessantamila morti in confronto al mezzo milione di aborti, ai milioni e milioni di esseri umani innaturalmente non concepiti? E non c'era forse un elemento alto di sacrificio per gli altri, in questa totale donazione di sé? Era stato indubbiamente grave che i primi non avessero saputo, ma non era forse più alto, contro l'umano desiderio di sopravvivere, accettare consapevolmente, santamente il rischio del sacrificio totale? Se esisteva al mondo un problema demografico, non era meglio affrontarlo con l'accettazione della morte piuttosto che con la soppressione della vita? Non si poteva paragonare il braccio di uno stato laico e violento, che sostituiva il comando del ministro del tesoro a quello di Dio, col braccio di Giacobbe. Ma ben si potevano paragonare i sacrificati a Isacco. Comunione e Liberazione capì subito che non poteva schierarsi con quei defunti desiderosi di stipendio e non di Graal. Caso mai andavano criticate le soluzioni totali in quanto pretendevano di eliminare il male dal mondo, privilegiavano l'essere rispetto al divenire, abolivano la carità, la volontà, la bontà. La Cisl si frantumò. Il pubblico impiego era solo nei figli. Si fece rapidamente una piattaforma nazionale che la Cisl appoggiò con uno sciopero generale dei servizi pubblici per il ruolo ereditario. Bisognava sottrarre al calcolatore i figli degli iscritti. La Cgil rispose con la proposta di opzione per la qualifica di produttore ai figli dei dipendenti dei grandi gruppi. Molti si dimisero, molti se ne andarono, qualcuno si ammazzò. Gorrieri si rifugiò in America, paese violento ma vario, che gasa i cittadini solo in piccoli numeri e per motivi definiti, in cui i preti hanno la voce da pastore e i pastori la voce da prete, e in cui, tra nord e sud, per uno studioso serio, nonché cattolico, c'era del lavoro da fare. Li, in ogni caso, quelli che pensano che non bisogna dare i sussidi dicono proprio che bisogna lasciar digiunare i disoccupati fino a che non si decidono a lavorare per meno, e bisogna lasciar morire i malati se non pagano; e quélli che non vogliono farli né digiunare né morire dicono che bisogna pagarli e non battezzarli produttori. Fu allora che me n'andai anch'io. Senza
particolari problemi. Nessuno ti teneva. E venni qui, dove ero già stato varie estati quando non andavo in oriente o in Nord Africa. Me ne andai come tanti. Una volta mi chiedevo perché il nostro maledetto governo avesse deciso di gasare i giovani e non i vecchi. Perché? Credo che la risposta sia facile. I vecchi sono persone solo in apparenza. In effetti, salvo un po' di matti, rari perché muoiono prima, sono concrezioni di diritti acquisiti. Sono vedove o vedovi, reduci di guerra, ex-partigiani, ex-combattenti della decima mas, anziani Fiat, ex-impiegati dello stato, membri del Rotary, ex-ufficiali, pentiti della camorra o delle Br. Se li avessero toccati avrebbero avuto contro tremila associazioni, oltre ai diretti interessati. Inoltre tutti diventeranno vecchi, o lo sperano. Vogliono essere sicuri del loro futuro. Invece nessuno diventerà più giovane. Senza contare che i vecchi, alla fin fine, muoiono abbastanza in fretta, mentre i giovani rischiano di restare sul groppo allo stato magari per altri cinquant'anni. LAFINEDELLOSHUTTLE Maria Schiavo La crisi delle attuali forme di spettacolo, del teatro in particolare (dove è il corpo vivo ad agire ed occasionalmente, protetto dalla finzione del palcoscenico, a morire), è un vecchio discorso. Certamente. Ma quando si contemplano le forme ecumeniche, planetarie che hanno assunto il disastro e la morte in diretta su quel piccolo ma solo apparentemente innocuo schermo che abita le nostre case, si ha l'impressione che rimanga ancora qualcosa da dire. Il cinema è stato, soprattutto agli inizi, movimento, meraviglia di figure in moviBibliotecaGino Bianco UT ~ttt mento ed è ancora oggi un'arte che usa come suo strumento espressivo l'analogon dei corpi, la loro immagine, o ombra che dir si voglia. Ma nelle sue sottili differenze dal linguaggio cinematografico, lo spettacolo che ci offre il piccolo schermo, quest'occhio sul mondo che si pone come un prolungamento incredibilmente potenziato del nostro, non è forse solo quello che è stato finora così ben descritto. Non c'è solo la trasformazione del mondo in assoluto spettacolo, attraverso quello sguardo, la sincronicità sempre più agghiacciante tra quanto vediamo e quanto accade lontano da noi. L'impressione più forte è che una nuova forma di sacrificio si compia sotto i nostri occhi divenuti da poco così potenti e per questo ancora confusamente affascinati e turbati. Dalla crisi delle antiche forme di spettacolo sembra nascere uno strano teatro religioso dove la morte viene celebrata nello stesso momento in cui è ripresa mentre accade. Un tempo, finché la pena capitale fece parte di indiscusse regole sociali, c'era l'uso "pedagogico" di far assistere alla morte dei condannati, nei modi più liberi e spudorati che lo sguardo e la voce umana sono capaci di assumere. Ma si trattava di colpevoli. Delinquenti di cui la folla celebrava trionfalmente la condanna. Nelle morti in diretta di oggi non c'è colpevole, non c'è condannato a morte. Non assistiamo più a questo tipo di morte che la coscienza moderna sembra esecrare. Assistiamo, invece, ad una strana forma di sacrificio. Perché, non c'è dubbio che i corpi che vediamo cadere in diretta sotto i nostri occhi sono i corpi di un sacrificio che si compie collettivamente, nei modi trasognati ed esemplari che sono propri della rappresentazione. Davanti a noi cadono dei corpi su cui si abbatte la morte. Ma essa non è punizione di chi cade, che anzi viene descritto come una vittima innocente (come del resto vuole ogni sacrificio), la colpa viene spostata su un errore tecnico, un mancato soccorso, una mancata previsione. DISCUSSIONE/SCHIAVO Terribili catastrofi scorrono davanti ai nostri occhi come nell'antico teatro greco, e noi ne siamo il nuovo coro, ora squillante ora grave, nella varietà degli stili giornalistici delle diverse Nazioni, ora anonimo e silenzioso, dentro le nostre case, ambiguamente partecipi e distanti. Ma che cosa dice questo coro se si porge più attentamente l'orecchio? Talvolta piange, si dispera, altre volte rimprovera più virilmente l'eccesso di onnipotenza, di arroganza. Allude, senza mai nominarlo, al fantasma di Prometeo che rubando il fuoco agli dèi si è per sempre attirato la loro ira. Ma in fondo in fondo quel coro di voci monotone e false nel tono di circostanza, piange (e nemmeno poi tanto) sulla Necessità di ciò che avviene, e così facendo la celebra, la esalta. Perché dietro tutte quelle parole non c'è né desiderio né progetto che faccia sperare che le cose possano mai andare diversamente. Il sacrificio alla presenza di tutti è ormai ripetuto con impressionante regolarità. Non mancano, ahimé, le occasioni. E la forma rituale di questi avvenimenti, le modalità, lo stile della rappresentazione si fanno sempre più audaci per le capacità che l'occhio potentissimo ha acquistato nel fissare a lungo l'orrore (come l'aquila l'astro solare). Forse solo agli inizi il cinema potè suggerire qualcosa di lontanamente simile al sapore di rito sacro che circonda queste immagini di morte. Forse quando si dovette pensare che l'immagine fosse l'anima dell'oggetto captato. Ma qui è ben diverso. Sul piccolo schermo, non più il corpo, l'oggetto sono implicati, hanno interesse. Ma solo l'avvenimento che è quello del loro sacrificio. La televisione ha trasformato l'av- _venimentocatastrofico nel luogo del teatro sacro moderno. Ma in questo sacrificio nessun simbolismo cristiano di tipo salvifico sembra entrare, come fosse divenuto vecchio ed incapace di rappresentare, anche là dove lo si vorrebbe mantenere, la nuova 13
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