Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

94 SCHEDE/TARPINO unum del soggetto-sistema, dotato di un ordine proprio e di una autonomia conchiusa in se stessa; e dove il discorso narrativo cede il passo al monologo. Crucialità dei soggetti, azione del tempo, ordine sociale: su questo fronte di analisi si succedono le relazioni di B. Lacroix (politica, società e temporalità nell'opera di E. Durkheim), G. Gemelli (tempo sperimentale e tempo degli esperti: alle origini della storia scienza) G. Marramao (tempo e modelli della razionalità politica). M. Cedronio sulla Francia di F. Simiand, P. Ortoleva sugli Stati Uniti dal 1895 al 1915, A. Cavalli sulla Germania guglielmina, fissano poi alcuni momenti significativi nella vicenda interna della sociologia. Ma, come si è visto, l'orizzonte "raffreddato" delle scienze sociali non esaurisce né contiene l'insieme degli interrogativi che si addensano sulla natura della conoscenza storica. E il tempo, la durata che attraversa le strutture dell'agire sociale nel polivalente osservatorio della sociologia, dell'economia, della storia, necessita a sua volta di essere riprodotto, comunicato, narrato. Tra gli interventi che si collocano su questa sponda di riflessione, quello di R. Bodei (tempo e intrecci temporali nella narrazione storica) e in particolare quello di G. Pomata che ripercorre le tortuose diramazioni, entro il fitto labirinto storico, della narrazione e della spiegazione. Un tema centrale, come risulta, per le sorti epistemologiche di questa disciplina. "They cannot te/I stories because they do not believe that stories are true": su questa citazione di Virginia Woolf si apre l'itinerario di G. Pomata nel cuore di quel binomio di "opposti", narra're o spiegare, che affonda le radici nella cultura romantica ed è alla base dell'apparente antinomia tra racconto e verità. Nel _tracciato seguito da G. Pomata narrazione e spiegazione vengono così ricondotte entrambe al problema della presentazione sociale della verità o, per meglio dire, alle forme in cui quel che viene recepito come verità deve essere espresso per poter divenire socialmente riconosciuto come tale. Ritornano allora le immagini di Benjamin sulla sconsacrazione del racconto, segnata dalla crisi dell'esperienza individuale nella cultura del "moderno". E insieme vengono alla luce le nuove erosioni subite dal modello nomologico di spiegazione (fondato su un rigido rapporto tra teoria che spiega e fenomeno spiegato) a opera della più recente epistemologia (per cui tale rapporto sarebbe piuttosto di natura metaforica). A una spiegazione depotenziata dei suoi caratteri fortemente normativi fa eco, sull'altro BibliotecaGino Bianco piano, una narrazione caricata di una nuova dimensione cognitiva. Sia la narrazione che la spiegazione escono così entrambe mutate di segno nella "percezione inedita di analogie tra i due campi di esperienza". La distanza fra loro si ripropone tuttavia - continua G. Pomata - in senso semantico. Nel modello di spiegazione, infatti, i termini che compaiono hanno una defini~ione univoca e fissa così che solo il principio della invarianza del significato può assicurare il trasferimento del valore di verità da una proposizione all'altra della catena deduttiva. Ma per conoscere oggetti che mutano nel tempo, è il caso della storia, tale principio è inadeguato. Invece nella narrazione, dotata, al contrario del modello di spiegazione, di una plurivalenza di significati, è possibile ricostruire identità in continuo movimento. In forza della sua "flessibilità" semantica la narrazione consente allora di "riprodurre mimeticamente il mutamento come qualcosa di inerente alle cose" (J. Lotman) generando in-ciò una tensione conoscitiva per definizione irrisolta (F. Kermode). Nella narrazione si riproduce così, afferma ancora G. Pomata riprendendo Lotman, un aspetto tanto importante della realtà quale la sua inesauribilità, spinto fino a incrociare i territori gnoseologici propri della comunicazine artistica .. Tuttavia, e lo sostiene Marramao nel vivace dibattito (è il caso di dirlo), i più recenti esiti della filosofia analitica della storia (H. White e A.C. Danto) ed ermeneutica (P. Ricoeur) si prestano a scardinare, ancora una volta, i termini contrapposti della coppia narrazione/spiegazione. La narrazione, anziché antitetica è qui considerata piuttosto come analoga alla spiegazione in quanto dotata, in sé, di caratteri autoesplicativi. Perciò essa svolge in storia la medesima funzione di organizzare i dati esercitata nella scienza dal piano della teoria. Una concezione, questa, che occupa estesi fronti del dibattito filosofico, sopr_attutto lungo la linea della critica al modello"moderno" di razionalità. Tanto è vero che - ricorda ancora Marramao - J. F. Lyotard ha potuto parlare nel suo La condizione post-moderna di "metanarrazione" come dell'autentico schema di legittimazione della conoscenza scientifica: in virtù cioè del rimando ad una logica finalistica compenetrata all'idea di sapere proprio della modernità. La potenza della narrazione appare allora radicata - prosegue l'autore - "nello scambio sotterraneo tra logos e mithos che caratterizza secondo la nota tesi di Horkheimer e Adorno l'intero percorso dell'illuminismo occidentale". Le considerazioni svolte da Marramao in chiusura agli interventi del convegno incro- . ciano le linee di quella epistemologia angloamericana impegnata a riformulare il quadro della querelle accesa intorno agli anni '50 da C.G. Hempel con il suo celebre saggio sulla funzione delle leggi generali in storia. All'interno di questa rinnovata cornice la narrazione, lungi dal porsi come una delle possibili strategie di comunicazione del sapere si configura, in generale, come "il problema di trasporre il knowing nel telling entro forme assimilabili alle strutture di significato in senso lato umane oltre che specificamente culturali" (H. White The va/ue of narrativity in the representation of reality, "Criticai Inquiry" voi. 7, n. I, Autumn 1980). li tormentato perimetro del "discorso storico si affranca qui dagli opposti poli del raccontare e dello spiegare per ricongiungersi al dilatato piano semantico del narrare. Una galassia tuttavia non uniforme e compatta entro la quale sembrano riaffacciarsi, sia pur in forma debole, i dislivelli del linguaggio storico. Il campo storiografico risulta così circoscritto - nell'impianto di White - entro la duplice formula di una storia narrata e di una storia narrativizzata, tra un discorso che apertamente adotta una prospettiva rivolta sul mondo e la riporta (cioè narra), e un discorso che presenta il mondo come se parlasse direttamente in forma di storia (òoè narrativizza). Entro i confini del "narrativismo" l'antitesi posta da G. Pomata di racconto e verità ne esce integralmente rovesciata; la verità si identifica con la realtà solo in quanto essa mostri di possedere un carattere di narratività: riveli cioè, a differenza della mera successione cronologica aperta, un mondo "finito", suscettibile di essere rivelato in virtù di un principio ordinatore.

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