90 SCHEDE/TIJRCHETT A tanti luoghi comuni letterari e i tanti giri e svolte delle trame irrimediabilmente risapute. Tutto quell'oro nasconde, in realtà, una concezione della letteratura come orpello e decorazione. Nessuna luminosità accecante, nessun eccesso metaforico in House-keeping, primo romanzo della Robinson, un romanzo che porta i segni d'essere stato a lungo covato di dentro. Non metafore, qui, ma immagini vive, simboli concreti e compatti, emblemi, come nella poesia dei metafisici o nel gusto estraniato dei moderni. Gli aggettivi sono precisi, nettamente delineati, i verbi sono usati con parsimonia e sono nieni di slancio, i sostantivi sono carichi di sostanza, come rocce ripulite e smussate dall'acqua. Tutte le immagini, distillate con cura da una sofferta esperienza della memoria, si organizzano attorno al simbolo centrale dell'acqua, del lago che ha un fondo insondabile, nasconde plaghe favolose e lontane, ha forza magnetica anche senza vortici, può richiudersi facilmente in un lucido sigillo di ghiaccio. Nel lago va a por fine volontariamente alla propria vita la madre di Ruth, portando con sé il segreto di pene insormontabili. Il lago attira a lungo e perigliosamente Ruth e la zia Sylvie, anch'essa reduce da esperienze dolorose mai esplicitate. Il lago è una presenza costante e silenziosa, e oppone la sua immobile calma o la superficie ghiacciata allo scorrere tormentoso delle esistenze. Il tempo passa e non porta con sé nessun raddolcimento. La nonna non era una persona dedita a eccessi di qualsiasi genere e l'invecchiamento in lei divenendo avanzato, fu del tutto sorprendente'. È vero, essa era diritta e svelta e lucida quando gran parte delle sue amiche avevano teste ciondolanti, inciampi nel discorso o erano sprofondate in carrozzine o nei letti. Ma negli ultimi anni continuò a rimpicciolire e cominciò a rattrappirsi. La bocca le si incurvò in avanti e la fronte si incurvò all'indietro e il cranio le splendeva roseo e screziato sotto una lieve nuvola di capelli, che si libravano sulla testa come la forma ricordata di una cosa che avesse cambiato natura. Sembrava, a vederla, che l'aureola dell'umanità si stesse dissolvendo e lei si trasformasse in una scimmia. Dalle sopracciglia le spuntarono come dei viticci e peli bianchi e grossolani germogliarono sul labbro e sul mento. Se indossava un vecchiovestito, il davanti le pendeva giù vuoto e l'orlo spazzava il pavimento. I vecchi cappelli le scendevano sugli occhi. A volte si metteva una mano sulla bocca e scoppiava a ridere, chiudendo gli occhi e scuotendo le spalle. In un lungo, finale, periglioso tentativo di fuga Ruth e Sylvie attraversano di notte, BibliotecaGino Bianco precariamente, iÌ ponte ferroviario sul lago - quello stesso su cui all'inizio è giunto il treno e da cui ha fatto il salto inopinato nel nulla. Sentivo bene il ponte. Era di legno e scricchiolava. Si piegava col ritmo lento che muove gli oggetti nell'acqua. La corrente lo tirava verso sud, e sotto i miei piedi lo sentivo spostarsi un poco verso sud e poi raddrizzarsi di nuovo. Questo ritmo sembrava appartenergli. Non aveva a che fare, per quel che mi pareva, con il precipitare uguale dell'acqua in direzione del fiume. Il lento scricchiolio mi fece pensare a un parco lungo l'acqua dove mia madre di solito portava Lucille e me. C'era un'altalena costruita di legno, alta come un palco e con tutte le giunture allentate, e quando la mamma mi spingeva il palco si piegava con me e scricchiolava. Lì la mamma mi pose a sedere sulle sue spalle perché potessi sguazzare con le mani tra le foglie dei castagni, che erano cosi fresche, e quello fu il giorno in cui comprammo degli hamburgers da un carretto bianco per cena e sedemmo su una panchina verde sul molo dando tutto il pane ai gabbiani e guardando i traghetti panciuti navigare tra il cielo e l'acqua, il cui azzurro elettrico era cosi uguale che non c'era orizzonte. Le sirene dei traghetti emettevano un suorio ampio e delicato, come il mugghio delle mucche. Avrebbero dovuto lasciare uno sbuffo latteo nell'aria. Pensai che lo facessero, ma era soltanto l'indugiare del suono. La mamma era felicequel giorno, non sapevamo perché. E se il giorno seguenteera triste, non sapevamo perché. E se il giorno seguente ancora era sparita, non sapevamo perché. Era come se si raddrizzasse continuamente contro una corrente che non smetteva mai di tirare. Oscillava continuamente, come un oggetto nell'acqua, ed era piena di grazia, una danza lenta, una danza triste e inebriante. C'è, nel romanzo, non esibita, ma concretamente rappresentata, la lacerazione che si cela nella dolcezza dei sentimenti, !'ori-ore della pazzia che si manifesta come delicata levità della bizzarria, il tragico e il sublime che affiorano dal ritmo dolce della liricità. La casa del titolo alla fine viene bruciata e abbandonata: le due donne protagoniste appartengono alla legione speciale dei drifters. Eppure, sino alla fine, anche per loro lo house-keeping, noioso e opprimente, è un'attività più concreta della costruzione di castelli in aria. L'occhio implacabilmente freddo e preciso della protagonista-narratrice, pur ignorando molte cose e sfiorando molti misteri, non si accontenta di false apparenze e false consolazioni. Scruta e scandaglia, attento ai movimenti profondi, alla mobile vita dei sensi e dei sentimenti, al rapporto sottile che lega fra loro persone, luoghi, cose. "I · fatti non spiegano nulla. Al contrario, sono i fatti che richiedono una spiegazione". SAGGI ATTORNOA PUSKIN Gianni Turchetta L'attenzione dell'editoria italiana verso il lavoro semiotico e culturologico della scuola di Tartu e di Mosca, e in particolare verso le ricerche di Jurij Michajlovie Lotman, che di quella scuola è l'esponente di maggior spicco, data già dall'inizio degli anni Settanta, ma ha subito negli ultimi mesi una brusca accelerazione. Ne fa fede la pubblicazione quasi contemporanea (rispettivamente aprile e maggio 1985) di due volumi di Lotman: La semiosf era (Marsilio, pp. 311, L. 30.000) e// testo e la storia (Il Mulino, pp. 175, L.15.000). Il primo volume raccoglie, preceduti da una lunga introduzione di Simonetta Salvestroni, saggi composti fra il 1981 e il 1984, in parte inediti anche in Unione Sovietica. Fra questi spiccano, per il loro carattere di originale proposta teorica interdisciplinare, quelli raccolti nella prima sezione (La semiotica fra microcosmo e macrocosmo), nei quali Lotman si propone, con cautela pari soltanto alla temerarietà dell'operazione, d'identificare isomorfismi e meccanismi comuni alla cultura e al mondo naturale, sia biologico (la "biosfera", secondo il termine del biologo Vernadskij che Lotman riprende a ribadire il parallelismo), sia fisico. La proposta, per quanto suggestiva, non può non indurre qualche sospetto di neo-positivismo: un'accusa peraltro già avanzata in passato nei confronti dei lavori della semiotica sovietica, non sempre sufficientemente consapevoli, sul piano epistemologico, della natura del metalinguaggio impiegato. È però probabilmente prematuro valutare questi ultimissimi sviluppi del pensiero di Lotman, ed è per questo motivo, oltre che per gli altri che adesso si diranno, che conviene soffermare l'attenzione soprattutto sul secondo volume citato, Il testo e la storia, il cui titolo suona nell'originale (1975), più semplicemente: Il romanzo in versi di Puskin "Evgenij Onegin ". A costo di esser banali bisogna sottolineare che una delle ragioni d'interesse del libro sta proprio nell'opportunità ch'esso offre al lettore italiano di affrontare, con l'ausilio di uno strumento di eccezionale penetrazione storico-critica,· un capolavoro assoluto come l'Evgenij Onegin, che non solo ha segnato, all'interno della tradizione letteraria russa, l'atto inaugurale della modernità,
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==