Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

88 SCHEDE/CESERANI Paesaggio americano (foto di Arnold Zahnl Black Star/agenzia Grazia Neri). dramma o di soluzione rappacificante della vicenda. Divertito da questo modo nuovo, anche se ormai abbastanza diffuso, di far cultura sulle pagine dei giornali e anche dalla disinvoltura con cui i giornalisti d'oggi raccolgono per telefono i frammenti sparsi e casuali di un'improbabile enciclopedia letteraria, ho cercato di mettere insieme, conversando con l'amico, qualche suggerimento: da quelli più ovvi, come il finale de / morti in Gente di Dublino o il ciclo di racconti "sulla neve" di Hemingway-Nick Carter, a quelli più peregrini, come Il mio Natale nel Galles di Dylan Thomas, le straordinarie scene del Bois de Boulogne sotto la neve in Spirite di Gautier o la Saga dei Moomin della finlandese Tove Jannson, con la storia del piccolo Moomintroll che, contro ogni ordine naturale, si sveglia dal letargo nel bel mezzo dell'inverno e trova che tutto il mondo è bianco e si spaventa quando vede le orme da lui stesso lasciate sulla neve, mentre la piccola My, spensierata e allegrissima, viene svegliata dallo scoiattolo dimenticone e si mette a scivolar giù dai pendii innevati. Mi dispiace, a qualche mese di distanza, di non aver potuto dare due suggerimenti più freschi, e forse più significativi, derivati dalla lettura, fatta successivamente, di due romanzi americani (uno solo dei due, credo, sinora tradotto in italiano): Housekeeping di Marilynne Robinson (Farrar, Straus and Giroux, 1981, ediz. economica nei Ba.ntamBooks, 1982)e Storia d'inverno di Mark Helprin (Harcourt, Brace, Jovanovich, 1983; trad. italiana di Adriana Dall'Orto per Frassinelli, 1984). L'America - lo sappiamo tutti, anche se spesso ce ne dimentichiamo - non è fatta solo delle città isole e porti sulla costa atlanti81 b IYòd(gci CGTn ottÌ3ia r,Sc8cifica, delle praterie e deserti e vecchie e nuove catene· montuose che stanno nel mezzo. C'è in realtà, anche, nel mezzo, molta acqua - come si può vedere dal tanto azzurro nelle carte geografiche o dai tanti piccoli e grandi occhi luminosi che si scorgono dall'alto durante le trasvolate transcontinentali: acqua sotto forma di innumerevoli laghi, alcuni grandi come mari interni, e molti piccoli e piccolissimi; acqua sotto forma di fiumi maestosi e di uno straordinario intrico, in certe zone, di fiumi azzurri o fangosi, fiumiciattoli, rivi, torrenti, canali. Acqua, a seconda delle stagioni, sotto forma liquida, o solida, o gassosa. A questa America fluida, umida, gocciolante, fatta di lame paludose, crepacci riempiti d'acqua, invasi, polle, ramificazioni, infiltrazioni, affioramenti di falde sotterranee, rimanda molto dell'immaginario statunitense, a cominciare dalla grande saga di Twain sul Mississippi per arrivare al recente raffinatissimo racconto - che ha per tema la robustezza morale dei pescatori nei fiumi del Montana - opera di un noto professore di Chicago, Norman Maclean, specialista di Shakespeare, aderente a suo tempo alla scuola dei critici neo-aristotelici, divenuto in tarda età narratore, e rivelatosi narratore di razza: A river runs through it (pubblicato insieme con altri racconti suoi dalla University of Chicago Press nel 1976e in edizione economica nel 1982). "Sono perseguitato dalle acque", dice Maclean in chiusura del racconto: Come molti altri che praticano la pesca alla mosca nel Montana occidentale, dove le giornate d'estate hanno una durata quasi artica, di solito comincio a pescare soltanto quando scende il fresco della sera. Allora, nella mezza luce artica del canyon, tutto l'esistente sfuma e si riduce alla mia anima e alle memorie e suoni del Big Blackfoot River, a un ritmo in quattro tempi e alla speranza che un pesce verrà su. Alla fine tutte le cose fondono in una e attraverso a esse passa un fiume. Il fiume fu scavato dal grande diluvio universale e scorre su rocce nello zoccolo del tempo. Su alcune delle rocce posano gocciole eterne. Sotto le rocce sono le parole, e alcune delle parole appartengono a loro. Sono perseguitato dalle acque. Parola tipicamente americana (e anche australiana) è creek, per indicare un ruscelletto secondario (quel che gli inglesi chiamano brook) e anche una valletta fresca e appartata. E non è un caso che la parola sia stata usata per costruire espressioni proverbiali (up the creek) e compaia nei titoli di poesie famose, o di romanzi popolari o di una raccolta di prose raffinatissime di Annie Dillard, esploratrice di fatti naturali e umana esperienza, autrice di Pilgrim at Tinker Creek e Teaching a stone to talk (Harper and Row). A questa stessa America, quando d'inverno le gocce d'acqua si trasformano in fiocchi e cristalli, rinviano i due romanzi a cui ho accennato, di Marilynne Robinson e Mark Helprin. Vi rinviano in modi diversi e anche in forme diverse: quello della Robinson è un romanzo breve, perfetto, compatto, lucente e geometrico come un cristallo di ghiaccio; quello di Helprin è un romanzo-fiume (il fiume Hudson?) o un romanzo-golfo (la baia di New York?) che si solleva in ondate, precipita in rapide, si scompone in fiocchi bianchi e cristalli lucenti, svapora e si scioglie in nubi leggere o in una cupola d'azzurro. L'uno è un romanzo di memoria, di cose e parole tesaurizzate e ripescate e ripulite una a una, un lirico gioiello composto da mano artigiana; l'altro è un arcobaleno di invenzioni narrative anche troppo facili, in bilico fra il riuso del materiale narrativo della grande tradizione realistica e l'invenzione metaforica e fantascientifica. In entrambi sono presenti scene invernali e avrei potuto facilmente suggerirli come tappe interessanti in un percorso di letture corroborative, o consolatorie, per i cittadini di Milano e Roma rientrati in casa da strade ghiacciate e scivolose. House-keeping si apre su una scena drammatica, raccontata con toni freddi, precisi, che al patetico preferiscono l'ironico e il grottesco. Il nonno di Ruth, la protagonista-narratrice, è morto una notte, insieme a tutti i viaggiatori di un treno deragliato da un ponte e finito nel lago sottostante. Su questo lago, che è il vero centro narrativo del romanzo, sorgeva la casa dei nonni di Ruth e il loro villaggio. Nel fondo del lago, sotto la superficie ghiacciata, nella bara di ferro e di vetro, riposarono per sempre le vittime dell'incidente. E il lago è diventato il centro simbolico della piccola comunità familiare. In Storia d'inverno i treni non deragliano, o se vengono bloccati e drammaticamente sommersi sotto cumuli di neve, per salvare i viaggiatori arrivano in punto estremo, con slitte e sci, gli abitanti di un dimenticato e favoloso villaggio, che sorge sulle sponde ghiacciate di un altrettanto favoloso lago dei Coheeries. Le navi rompighiaccio risalgono lo Hudson facendosi strada con le cariche di dinamite e i personaggi impazienti si mettono ai piedi un paio di pattini d'argento e scivolano a valle a velocità straordinaria. L'inizio del romanzo presenta un magi-

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