Sten Nadolny. mo e tenace, di una risoluta meticolosità (per sua stessa ammissione, egli "fa molta fatica a pensare, ma non smette mai"); sa quel che può e che non può fare, eppure è dotato di slanci e di entusiasmo, è un curioso, e si propone di "fare tutte le domande possibili". Vuole "dare spazio a tutte le domande e sopportare con fiducia quello che causano in lui". Per questo si mette continuamente alla prova e cerca di fare del suo meglio, sorretto da un severo addestramento mentale e dalla convinzione che "la vita è dopotutto 'questione d'esercizio"'. Il protagonista riesce così a spiegarsi - e a spiegarci - il senso profondo dell'esistenza, il miracolo del convivere con se stessi, il mistero dell'unicità dell'individuo (mistero poiché l'uomo si è ormai mostruosamente addestrato a cercarne la soluzione dovunque fuorché nella propria coscienza). E la lettura diventa spesso tuffo al cuore, déjà vu, intimità col personaggio, perché esso dà voce al "lento" che c'è in ognuno di noi, che vorrebbe dichiarare guerra alla fretta inutile e dedicarsi alla scoperta tranquilla e graduale del mondo e degli uomini. La lentezza si rivela così un'avventura intrigante, una ricetta da adottare nei rapporti umani di qualsiasi tipo, perché anche "la pace si realizza solo quando ci si avvicina gli uni agli altri non troppo in fretta". E alla lentezza Nadolny dà perfino una dimensione storica. È attraverso il filtro della siBliòtec~i1°G inèr•EJ,annco mente en passant, sul fenomeno del progresso, contribuendo a frugare sotto la patina brillante di una cultura che ha sempre fornito la storia del progresso di un'immagine trionfale, fatale e positivistica. Una cultura che, anche nelle sue versioni più critiche, ha visto nella modificazione del mondo naturale un valore in sé, ridicolizzando gli altri valori che facevano da freno o da alternativa - come una diversa concezione del tempo. (Insolita è, oltretutto, la scoperta che solo un testo come quello di Nadolny sembra oggi in grado di provocare stupore. Invece delle rassicuranti alternative o razionalità che ci si sforza di estrarre dai linguaggi del passato, lo stupore permette di interrogare il naufragio del progresso, la sua deriva, e forse di affrontare il momento in cui non sarà più possiile evitarne le conseguenze). All'inganno del progresso (e al progresso dell'inganno, come direbbe Enzenaberger), John Franklin oppone il suo "sistema", un metodo "per vivere, per far scoperte e per governare", che egli stesso cosi riassume: "Sono un amico di me stesso. Prendo sul serio ciò che penso e ciò che sento. Il tempo che mi occorre per questo non è mai sprecato. Lo stesso atteggiamento concedo anche agli altri". Un sistema che gli impone "una visione d'insieme che può nascere solo dall'osservazione dei particolari", indagabili con uno sguardo apposito, quello che Franklin chiama lo "sguardo per i dettagli, .. .l'unico in grado di scoprire quanto c'è di nuovo" .Sembra allora evidente che soltanto nella singolarità dell'osservazione e della vita si trovi la liberazione ( esattamente, e curiosamente, come nella Breve lettera del lungo addio di Handke). Dopotutto, John è lento perché "i suoi occhi trattengono ogni impressione particolarmente a lungo", fermando le immagini recepite per indagarle più a fondo; e "lentezza non significa altro se non una meticolosità del cervello rispetto a dettagli di ogni sorta". La minuta osservazione scientifica che Nadolny intraprende dimostra che la musa prediletta di questo singolare scrittore è la tecnica: quella del lavoro come quella dell'intelletto, in primo luogo tutti gli ingranaggi a cui s'affida quella macchina letteraria che è un romanzo. E La scoperta della lentezza è un gioiello di meccanica, con ingranaggi che scattano e ruotano al momento giusto, senza mai stridere, oliati da un'organizzazione tematica e concettuale che ha, qua e là, del sorprendente. Una macchina con sottigliezze meccaniche fin troppo evidenti, lasciate scoperte e lustrate con un pizzico d'orgoglio. SCHEDE/CESERANI La sottigliezza anaiitica di Nadolny non è però obiettività nel senso di un interesse privo d'interesse. Indubbiamente l'autore rappresenta tutto con precisione matematica, esattamente dal vero, per rendere le cose riconoscibili, quasi uno scrittore - come afferma lo stesso John Franklin - "non debba conoscere ma vedere"; il resoconto oggettivo, però, è superato da un accorto dosaggio tra invenzione e documento. Evitando di far combaciare letteratura e storiografia - o almeno facendole coincidere in modo inedito (giocando, inoltre, con la finzione di un genere letterario di grande successo nella storia della cultura di lingua tedesca, il romanzo pedagogico), Nadolny dà vita a un personaggio realmente e storicamente esistito colmandone con la fantasia i vuoti biografici. Seppure conscio del fatto che dare forma a una vita può voler dire falsificarla, l'autore ci offre un personaggio ("vero") invitandoci a scoprirne la "verità", e coinvolgendoci in modo niente affatto intellettualistico, bensì diretto, con uno stile essenziale che non esclude (o forse proprio per questo implica) un alto grado di intensità. Le paginedi Nadolny fanno resistenzaperò a una lettura "normale", non ammettono, da parte di chi le scorre, la minima approssimazione: pagine dure, ma di una durezza che attanaglia l'attenzione e la getta in una suspense che il più smaliziato libro giallo non ha; pagine che si voltano con estrema lentezza e ciò nonostante cariche di un ritmo concitato che prende fin dalle prime battute. La prosa di Nadolny è per noi una continua "scoperta", e se perseveriamo (proprio come non smette mai di fare il tenace protagonista) nella lettura, faremo nostra la scoperta della lentezza: un'ilare pena del contrappasso per i nostri tempi convulsi. SCENEINVERNALI Remo Ceserani Un giorno dello scorso inverno, subito dopo le grandi nevicate, mi ha telefonato un redattore della pagina culturale di un giornale, per chiedermi se potevo aiutarlo a costruire, per i suoi lettori, milanesi o romani ancora sotto shock per l'improvviso sconvolgimento nella vita quotidiana della città, un percorso di letture sulla neve, che pescasse specialmente nelle letterature nordiche o anglo-americana ed esibisse testi in cui la neve non fosse elemento di sfondo, ma protagonista narrativa:, elemento di 87
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