Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

GLIANNIDI PANZIERI Renato So/mi Devo fare un certo sforzo su me stesso per accingermi a scrivere di Raniero Panzieri, tanto viva e presente è la consapevolezza della mia scarsa attitudine a parlare di lui, della distanza che mi separa da un impegno e da una vita come la sua, che bisognerebbe avere in qualche modo imitato o condiviso per potersi mettere dal giusto punto di vista nella valutazione della sua figura e del suo operato, che sono stati quelli - per tanti versi esemplari - di un militante del movimento operaio nella fase più recente della sua storia. Cedo soltanto alle insistenze - per me quanto mai lusinghiere - dell'amico Vittorio Rieser, e cercherò di dire brevemente - perché è la sola cosa che possa fare - che cosa l'incontro con Raniero abbia rappresentanto per me, e quali siano i ricordi che mi restano di lui sulla base dell'amicizia· e della collaborazione che ho avuto la fortuna di poter stringere con lui negli ultimi anni della sua vita. Incontrare Raniero, e stabilire un rapporto di amicizia con lui, · è stato per me come entrare per la prima volta in contatto con la tradizione intellettuale e col patri.nonio di lotte del movimento operaio, che egli incarnava e rappresentava, ai miei occhi, per l'intensità con cui aveva vissuto un quindicennio di militanza politica nel partito socialista e per la sicurezza (insieme distaccata e appassionata) con cui egli si muoveva in quel mondo e sapeva farsi mediatore dei suoi valori e delle sue istanze anche con chi, come me, non avendo mai fatto esperienze di partito, e non avendo conosciuto nessuna forma di milizia politica continuativa, era sempre rimasto, a ben vedere, ai suoi margini, in una posizione un po' velleitaria di partecipazione ideologica e intellettuale, a cui era mancato tuttavia pur sempre l'elemento decisivo del rapporto diretto con la classe operaia (nel senso più lato di questa espressione) e coi protagonisti effettivi delle sue lotte. Dicendo questo, mi rendo conto, naturalmente, del fatto che si tratta di un angolo visuale molto particolare e personale, e che, con ogni probabilità, l'immagine che conservo di Raniero, e l'e(fetto che egli ha prodotto su di me, sarebbero stati diversi, se diversa fosse stata la mia provenienza e la mia esperienza complessiva anteriore al mio incontro con lui. Rimane il fatto che, conoscendolo, ho avuto l'impressione di imbattermi in un filo che veniva da molto lontano, e che egli aveva avuto il merito di custodire e di sviluppare, senza spezzarlo o confonderlo con altri; e che a quel filo avrei dovuto continuare ad attenermi, per quanto stava in me, anche in seguito (ma forse questo mi è risultato più chiaro solo dopo la sua morte). Che sia poi riuscito, per quanto mi riguarda, a tener fede al mio proposito di allora, è un'altra questione, che è evidentemente priva di interesse per il lettore di queste pagine. Non c'è dubbio che Raniero fosse particolarmente idoneo, fra tutti i militanti politici che ho avuto occasione di conoscere anche in seguito, ad esercitare questa influenza su persone del mio temperamento, dei miei interessi e della mia formazione (e cioè su un "intellettuale" che andava ancora cercando la propria strada). In lui una straordinaria apertura e sensibilità intellettuale si congiungeva nel modo phì stretto a un istinto quasi infallibile nella valutazione della discriminante o della componente di classe in ogni singolo fenomeno o manifestazione della vita culturale e politica. E mi rendo conto di non dire nulla di nuovo e di originale osservando che queste due attitudini o determinazioni, che potrebbero sembrare diverse o addirittura contrastanti e difficilmente compatibili fra loro, si rivelavano invece, a ben vedere, nell'applicazione che egli ne faceva, come derivanti da una stessa origine e generate da una stessa matrice. Egli ci insegnava a leggere la realtà dal punto di vista della dicotomia inerente alla prospettiva marxista, ma in un modo che andava infinitamente più a fondo degli schematismi superficiali della propaganda di partito o di un'ideologia dottrinaria. Poiché BibliotecaGino Bianco ciò che, di volta in volta, era oggetto di analisi e di giudizio non erano le idee in astratto, o le posizioni politiche formali, ma la vita in tutta la sua complessità e il suo spessore, in tutte le sue dimensioni e le sue componenti, che si riflettevano poi, ovviamente, e solo così permettevano di spiegarle e di comprenderle, anche al livello delle idee e delle posizioni politiche. È quasi inutile che ricordi ciò che tutti ormai sanno, almeno in termini generali, e che altri hanno ricostruito e dimostrato assai meglio di quanto non sia in grado di fare io: e cioè che a Raniero, forse più che a chiunque altro in Italia, spetta il merito di aver previsto, anticipato, auspicato e promosso attivamente quella "ricomposizione" organica della classe operaia divisa e frantumata ·dalle vicende degli anni '50, che si sarebbe effettivamente delineata e verificata, almeno in una certa misura, nel corso degli anni 60, fino alla stagione delle lotte dell"'autunno caldo" e degli anni successivi, costituendo una componente essenziale, se non la stessa base portante e prospettiva ideale del movimento del '68. Mi rendo conto benissimo della complessità delle premesse che sono sottese a un discorso di questo tipo, e delle aporie che esso potrebbe presentare se fosse sottoposto a un'accurata verifica retrospettiva. Rimane il fatto che nessuno, come Raniero, ha vissuto e ha partecipato con altrettanta intensità, e ha contribuito con altrettanta afficacia, alla preparazione ideologica di un rivolgimento che non avrebbe potuto fare a meno di verificarsi, che era contenuto nel grembo dell'evoluzione storica generale, e che si verificò poi anche effettivamente, se pure in modi e forme parzialmente imprevisti, e con .esiti solo in piccola parte conformi alle speranze e alle attese di chr lo aveva anticipato e voluto. È difficile, oggi, rendersi conto della singolare convergenza che si disegnava, in quegli anni, di tutta una serie di linee e di tendenze evolutive verso uno sbocco comune - verso il nodo di una rivoluzione socialista che sarebbe andata molto più a fondo e molto al di là di tutte le rivoluzioni precedenti e che avrebbe investito contemporaneamente, anche se in forme e con effetti diversi, tutte le aree e gli scacchieri della situazione mondiale. Una prospettiva che, certo, era sostenuta e coltivata da pensatori e gruppi politici diversi in diverse parti del mondo - che ponevano tuttavia l'accento, in generale, sulla funzione svolta dai movimenti di liberazione del Terzo Mondo, e sulla dinamica rivoluzionaria che si era sviluppata o si veniva sviluppando in alcuni di quei paesi, senza essere in grado di individuare il posto che la classe operaia dei paesi avanzati avrebbe potuto e dovuto occupare nel contesto complessivo della rivoluzione. Come è noto, è stato proprio questo il punto su cui si è concetrata l'attenzione e la riflessione appassionata e approfondita di Raniero, e su cui la sua elaborazione intellettuale si è sviluppata fino a costruire uno stimolo e un ingrediente decisivo di quella miscela esplosiva che avrebbe dato luogo alla presa di coscienza e alla mobilitazione generale del 1968. Ma non è qui il luogo di rifare la storia del movimento dei "Quaderni Rossi", di cui Raniero è stato, senza dubbio, l'elemento catalizzatore, ma a cui hanno partecipato, fin dall'inizio, con funzioni di primo piano (sia per quanto riguarda il lavoro organizzativo eh~ per quanto tocca l'elaborazione teorica) esponenti della generazione più giovane (fra cui anzitutto Vittorio Rieser), che avrebbero esercitato, in seguito, una parte di rilievo anche nel quadro del movimento studentesco e dei raggruppamenti politici che si sono sviluppati dal suo seno. Raniero è scomparso venti anni fa (è questa l'occasione di questo scritto), e può essere interessante ricordare, oggi, come egli avesse previsto con assoluta sicurezza lo sbocco finale degli eventi che sarebbero maturati nella seconda metà degli anni '60. Ricordo un particolare di una conversazione telefonica, che deve essersi

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