Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

60 STORIE/GUARNIERI D ra stata quest'ultima mia una ben caratteristica stagione; ero ritomàto definitivamente a Feltre tre anni prima, dopo aver chiuso definitivamente il mio impegno di insegnamento universitario e quindi dopo aver lasciato Pisa, dove avevo abitato per la più gran parte dell'anno durante diciassette anni, ed a Feltre, nella brutta come nella bella stagione, il mio tempo si era conformato secondo un ritmo rispondente ad una nuova disponibilità. Difatti, al di fuori dei giorni od anche delle settimane durante i quali ero impegnato per una od altra conferenza o lezione in una od in altra città, in uno od altro paese, o per convegni o per riunioni dedicate all'assegnazione di premi letterari; le mie giornate restavano completamente libere, di esse potevo fare quel che volevo, nessun impegno, nessuna esigenza mi vincolavano; e se così potevo dedicare completamente ogni mattina al mio lavoro, allo scrivere, il po::1eriggio mi restava come un momento vuoto, da riempire; nel quale ogni ulteriore aggravio di fatica intellettuale era inopportuno, mi sarebbe pesato; durante il quale sentivo il bisogno dello svago, come se dovessi ricuperare quel che nella mattinata avevo speso, per prepararmi alla fatica dell'indomani. E così, se durante tutto l'inverno ed anche nel tardo autunno ed all'inizio della primavera, nel pomeriggio uscivo di casa per una non lunga passeggiata, per incontrare qualche amico alla libreria od in una galleria d'arte, ecco che durante la bella stagione due, tre volte per settimana mi era possibile dedicarlo alle gite in bicicletta. Mai, negli anni precedenti, a Feltre come a Pisa, avevo dimesso completamente questa abitudine, ma sempre con limiti ben precisi, al più riservando ad essa la mattinata della domenica, e sempre con il senso di sottrarre alcun tempo ad altro impegno, ad altro lavoro; ora invece, davvero, tale esercizio veniva ad assumere una sua importanza, diventava per me come un necessità, riempiva quel vuoto, ed infine rispondeva ad una mia richiesta, entrava come una componente integrante del mio modo di essere, addirittura della mia vita. Come sempre mi era avvenuto anche negli anni precedenti, dopo le prime uscite nella nuova stagione, quasi di prova, a sciogliere i muscoli, su percorsi di una lunghezza limitata, ero andato sempre più cimentandomi in imprese di maggiore impegno, ma sempre contenute in termini che mi erano già noti. Mi piaceva percorrere le strade di periferia, quelle in cui meno frequente è il traffico, le quali si snodano attraverso la campagna che circonda Feltre, spingendomi sino ai paesi vicini, a ridosso delle montagne che chiudono la pianura a se'ttentrione come a mezzogiorno, in percorsi in cui si succedono le salite alle discese, al falsopiano; ed ecco che, in capo ad una diecina di prove sempre più impegnative dopo un mese o poco più dall'inizio, raggiungevo quello che mi pareva il termine ultimo di quelle mie modeste imprese, ed era quell'ampio giro intorno alla città che superava non di molto i quaranta chilometri e che compivo in due ore o poco più. Ma ben presto questo limite mi parve troppo ridotto, non mi soddisfaceva più, sentivo il desiderio di superarlo, BibliotecaGino Bianco come se in me nuove energie volessero essere impegnate, urgessero a cimentarsi; e questo mio nuovo atteggiamento, questa mia nuova disponibilità, si esprimevano anche con dei segni del tutto esteriori ma non per questo meno indicativi di tale mia nuova propensione. Difatti sinora, per queste mie gite in bicicletta io mi ero sempre vestito di panni consueti, semmai avevo usato qualche abito già smesso, per non sciupare o logorare quelli che portavo di solito; ma, sin da quando ero rientrato definitivamente a Feltre, li avevo sostituiti con una tuta di maglia, alla quale avevo accompagnato un berrettino con la visiera; ed ai piedi calzavo un paio di scarpe leggere, sportive. La bicicletta mi era stata donata qualche anno prima da una delle mie figlie, ed era da turismo, leggera e scorrevole, con cinque rapporti sul mozzo della ruota posteriore e una doppia corona alla pedivella; ma poiché neppure quelli soddisfacevano completamente alle mie nuove esigenze da un meccanico me ne feci sostituire alcuni con altri di maggiori dimensioni, i quali riducevano lo sforzo nelle salite più ripide; ed eccomi ben presto impegnato a provare le mie forze su nuovi percorsi di più grave difficoltà: dopo un tratto di qualche lunghezza nella leggera salita di un fondovalle la strada si fa sempre più erta sinché si impenna, né il primo impatto può essere superato di slancio ma il ritmo della pedalata deve essere contenuto, lento e deciso, di forza, e se la pendenza a volte si attenua di un subito riprende, sino al primo e poi al secondo tornante, dove le ampie curve ,quasi piane appena concedono un breve rilassamento, a preparazione dello sforzo successivo; e se nell'attento calcolo delle proprie possibilità ci si deve trattenere da ogni improvvida accelerazione di quel ritmo, neppure è lecito rallentarlo di troppo perché si corre il rischio di una fermata intempestiva e la ripresa poi è ancor più faticosa; sinché si raggiunge lo spazioso ripiano che costituisce il punto di arrivo, dove infine è concessa la sosta; quindi nella precipite discesa si è come trasportati da un'ala impetuosa di vento. Ma poi, sperimentatomi ripetutamente in consimili prove, eccomi inteso ad altra ancor più difficile, diretto verso uno dei paesi situati sulle colline che stanno alle spalle della mia città ed anticipano l'ampio arco delle alpi rocciose. Per giungere ad uno di essi la strada in salita è lunga e certi suoi tratti sin dal suo inizio costringono ad uno sforzo che pare superiore a ogni proposito; e, ad un momento, ad attenuarlo, a cercare una sosta, almeno al primo tentativo, ecco la scappatoia, per non arrestarsi e scendere dalla bicicletta, di salire a zigzag, dall'orlo di una cunetta all'altro; sinché non mi coglie quasi un senso di vergogna, come se barassi al gioco, e in un subito ricupero di forze riaffronto l'erta pendenza senza alzare di troppo l'occhio a considerare quanto manchi al primo ripiano, non più in un calcolo della mia resistenza, ma solo sostenuto dalla caparbietà di venire a capo di quella che mi si presenta come una sorta di sfida con me stesso, proprio a cimentarmi, proprio a conoscere i miei limiti; ma ancor più a riprovare ch'essi possono essere superati, a riprovare una mia ricchezza, una mia esuberanza alle

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