Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

56 DISCUSSIONE/KUNERT repulsione, segreta o a volte addirittura manifesta, verso la politica; questo handicap deriva anche dalla mancanza di simboli pregnanti ed efficaci. E tali simboli sono insostituibili. A questo non può sopperire neppure una letteratura che tenti di far capire ai tedeschi come essi sono in realtà, così che possano riconoscersi in qualcosa. Ma per potersi riconoscere occorre, prima di tutto, avere un'idea di sé, una forma, dei tratti chiaramente riconoscibili, un aspetto che corrisponda a una data descrizione. Ma dove esiste ancora un Dietrich Hessling, come fu descritto da Heinrich Mann ne // suddito; dove esiste ancora un Hans Castorp, con la sua "montagna incantata"? Ci riconosciamo, in quanto tedeschi, nella nostra letteratura contemporanea? E questa letteratura ci offre un'immagine della nostra nazione, almeno un'immagine parziale? Nei romanzi di Wolfang Koeppen, Heinrich B~ll, Siegfried Lenz, per esempio, troviamo ancora, senza dubbio, dei tedeschi che riflettono sui retroscena storici della Germania; ma col ricambio generazionale questo ritratto a sfondo storico si fa sempre piu vago, confuso, appannato. C'è anche da rilevare che i modi e le prospettive del narrare sono cambiati. Mentre questi tre autori si muovono ancora all'interno della tradizione narrativa, considerata forse come presupposto indispensabile per poter rappresentare i tedeschi e la loro situazione, nel caso per esempio di Botho Strauss aspetto e stile cambiari.o invece completamente: troviamo miniature psicologizzanti, miniature nel senso più lato, cioè nuclei letterari fissati e elaborati nel modo più preciso possibile, ma il cui contesto non è determinato a priori. È probabile che la frantumazione delle grandi forme in agglomerati di miniature slegate da qualsiasi legge di necessità sia da ricondurre (anche se questo apporto non è ben evidente) alla situazione tedesca attuale, caratterizzata da una totale inerzia spirituale. . Un'inerzia spiegabile, anche se non in modo completamente esauriente, dal punto di vista etnologico e antropologico, e che cerca di risalire nei meandri del passato per rintracciarvi sicurezze ormai andate perdute. Sloterdijk parlò di "cinismo" socratico contrapponendolo al nostro cinismo attuale. Hans Peter Duerr ha abbandonato "l'età da sogno" del tardo Medioevo per dedicarsi al Mesolitico, in cui ha indentificato il "paradiso perduto". È esatto quanto è stato affermato di recente in un'ampia recensione su una serie di novità editoriali di argomento etnografico: l'eccessivo interesse per queste pubblicazioni esotiche indica che il lettore tedesco spera di ricavarne notizie su di sé, per poter percepire se stesso usando un metro di misura totalmente estraneo. Ma questo interesse così insolito per l'etnologia non è provocato anche da altri impulsi nascosti? Questa passione per l'etnologia, da cui neppure io sono totalmente immune, risveglia un sospetto che mi richiama all'inizio di questo monologo, cioè ai dati statistici sul calo della nostra popolazione. L'interesse per i cosiddetti selvaggi, per gli indiani, le strutture tribali, i culti, i riti, lo sciamanismo, la medicina naturale, le visioni e i miti dei "primitivi" o dei nostri antenati, fanno supporre che lo studio di popoli e stirBibliotecaGino Bianco pi scomparse sia il presupposto inconscio di una fuga dala realtà attuale negli archivi e nei musei di un futuro a noi sconosciuto quanto lo può essere il mondo dei Celti o dei Traci. Infatti un semplice interesse culturale non è sufficiente a spiegare perché questo genere letterario sia così diffuso. E questi libri rientrano di diritto nel genere letterario perché introducono a una rappresentazione - anche se ipotetica - di eventi del passato; una rappresentazione che è sempre stata peculiare alla forma narrativa e che è caratterizzata da una volontà creativa, da un coinvolgimento profondo del lettore, da tante e differenti emozioni. Questi autori sono pieni di humour e di inventiva, hanno una vena polemica e ironica di prim'ordine che fa sì che il tema trattato diventi una rappresentazione estremamente viva dello spirito del tempo. Ci accostiamo a questi libri, ne siamo curiosamente colpiti,· li gustiamo come evocazione di esistenze scomparse, e ci sentiamo terribilmente vicini a quegli uomini ormai usciti da tempo dal corso della storia. Che cosa ci induce a queste letture, forse un oscuro presentimento derivante dalla lettura delle aride statistiche? Ci sentiamo già gli ultimi tedeschi di cui si parlerà? Proiettiamo il nostro destino nazionale in quello di popoli scomparsi, inghiottiti dal flusso della storia? Questa nostra reazione è solo preoccupazione per il destino di persone che sentiamo vicino o è rassegnazione all'inarrestabilità del processo storico? Ci rimane pur sempre una consolazione: almeno con la nostra letteratura lasciamo quella buona impressione che in realtà non siamo mai riusciti a dare, e un autoritratto che corrisponde solo in parte alla realtà del passato, ma che può dare un'idea di come siamo stati. E per apportare a questo autoritratto alcune decisive correzioni non ci resta molto tempo, tanto più se non siamo disposti ad ammettere che dal faceto si possa anche passare al serio. (traduzione di Maria Maderno) Questa è la relazione presentata da Kunert al convegno (9/10 maggio '85) su "Quale Patria? Nazionalismo, regionalismo e identità nella letteratura contemporanea italiana e tedesca" indetto dal Goethe Institut di Torino. Copyright Gunter Kunert 1985.

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