INMARGINAELLASITUAZIONE DELLANAZIONTEEDESCA Gunter Kunert Nella rubrica "Varie" di parecchi quotidiani troviamo spesso, tra aerei precipitati, rapine a banche e altre catastrofi economiche e sociali, anche notizie dal mondo della statistica. Una è quella secondo cui il numero dei tedeschi è in costante diminuzione - una constatazione che aveva indotto Giinter Grass, evidentemente preoccupato dal fatto che il suo pubblico tedesco possa drasticamente ridursi, a scrivere il suo libro dal titolo Kopfgeburten (Parti cerebrali). Ma è poi così grave la nostra situazione? I tedeschi, come i Sauri, sono in via di estinzione, perché le loro condizioni di vita sono cambiate a tal punto da compromettere la loro entità numerica? Forse che i tedeschi sono da inserire nella lista delle specie minacciate? Che cosa sta succedendo a questo popolo, un popolo che è sempre stato in conflitto con se stesso, un tempo deciso a conquistare, a colonizzare tutta l'Europa, e che ora, in balìa di un "esodo" genetico, è destinato ad approdare a una riserva etnica? Forse che, essendo stati troppo spesso vinti e per niente amati, siamo diventati sterili dal punto di vista psicosomatico? Oppure il Weltgeist ha influito in modo tale su di noi da convincerci che l'azzeramento della riproduzione possa trattenerci da un ennesimo proposito di guarire il mondo con la nostra "essenza tedesca"? Tante domande, a cui si può rispondere solo nello stesso tono in cui vengono poste. Quindi non senza una certa dose di ironia ma anche di serietà. Vengono subito i_nmente parole altisonanti: patria, nazionalismo, regionalismo, identità - concetti così logori e sfruttati da lasciare intravvedere a malapena il loro significato originario. Un concetto come quello di "patria" è sempre stato ricoperto dalla patina lucida e allettante dell'idillio, quello di "nazione" è sempre stato pateticamente inteso come un'istanza incoraggiante. Questi concetti non possono più essere pronunciati, né scritti, con l'innocenza che forse era loro propria, prima che diventassero armi ideologiche da usare in caso di genocidio; e se oggi "assaggiamo" tali concetti, non riusciamo a gustarli tanto è amaro il loro sapore. E, senza ironia, ci chiediamo inoltre dove potremmo essere "di casa" nel senso di questi due vecchi concetti, e con cosa potremmo "identificarci" in un ambito etnicostorico più vasto. Senza dubbio, sappiamo che è indispensabile sentirci di casa in qualche posto, avere una dimora, una patria. E desideriamo anche un'identità - sebbene questo termine sia diventato ambiguo - in un tempo in cui perfino il desiderare qualcosa è diventato difficile, perché il carattere dialettico di questo desiderio sta diventando sempre più evidente. Sappiamo ora che anche il desiderio più innocente nasconde sempre qualcosa d'altro. Il desiderio di patria esclude sempre, se necessario con la violenza, tutto ciò che può essere estraneo al concetto di patria. Il desiderio di identità con la nazione esige che questa sia un concetto chiaro, ben definito e dato una volta per tutte - e questo implica appunto l'esclusione di cose e persone che possano compromettere la compattezza della compagine nazionale. Perché la patria come la nazione - queste due grandi fantasmagorie rivestite di utopia - esigono semplicità e chiarezza, in quanto BibliotecaGino Bianco ciò che è complicato, ambivalente, eterogeneo, diverso, stratificato non può essere di incremento per un processo di identificazione. Si potrebbe anche dire, usando termini alla moda, che ciò che è complesso può offrire un buon punto di partenza, ma mai la possibilità di poter comprendere tale fenomeno complesso nella sua interezza. Il signor Miiller si ritrova in Beethoven, il signor Krause in Goethe e il signor Lehmann in Bismarck o in Otto Lilienthal, nel "Bauhaus" o nel barocco di Dresda, nella macchina-razzo di Fritz von Opel o nella teoria dei quanti di Planck, nel fucile K 98 o nell'aereo Messerschmidt ME 109. Talvolta queste proposte d'identificazione si intersecano o si sovrappongono: ci si può sentire uniti allo stesso modo attraverso Beethoven come attraverso un aereo dell'esercito, come ci è capitato fin troppo spesso di dover verificare. Curiosamente, la caratteristica primaria di una nazione, la sua lingua, non ne possiede la forza aggregante, poiché questa lingua può anche parlare a chi se ne considera escluso, che può quindi appropriarsene. Ma la cultura nazionale, le sue conquiste civilizzatrici: di questo si può esser fieri, quasi se ne fosse direttamente responsabili. Un'altra istanza per la pròduzione - anche se forzata - di identità, è il serbatoio nazionale di simboli. E ci si potrebbe effettivamente chiedere se noi tedeschi proprio per questo abbiamo problemi con la nostra identità nazionale. Poiché, dopotutto, questi problemi sono tipici anche di altri popoli, di solito sicuri del fatto proprio, quindi di se stessi. Per quanto riguarda i simboli: senza la sfera con la croce - simbolo dell'impero - né la corona, senza le insegne di guerra, senza una bandiera - da sventolare spesso in pubblico -, senza le rune né l'aquila, né le cataste di antichi simboli ormai scomparsi, non potremmo neppure più sapere chi siamo. È un'istanza di cui, tra l'altro, vive la letteratura, che la rappresenta in continuazione; un'istanza che esiste ancora, indubbiamente, nella nostra realtà ma che ha perso i suoi attributi specifici ed è diventata internazionale: gli uomini, infatti, agiscono soprattutto in modo simbolico. Accanto alle necessità quotidiane - lavoro, cibo, sonno -, a questa determinazione biologica del nostro essere, ci comportiamo e presentiamo anche tramite i più disparati simboli. Simboli di cui abbiamo bisogno per esprimerci: indichiamo la nostra età col modo di vestire, o dimostriamo con il nostro abbigliamento la volontà di ignorare la nostra età usando simboli tipici della condizione giovanile. Ci serviamo di simboli di ricchezza, copiati o anche di seconda mano. I nostri rapporti umani sono caratterizzati e determinati da atti simbolici che riconòsciamo a malapena in quanto tali, come quando con una stretta di mano sottolineiamo, noi, disarmati, ancor di più il nostro essere disarmati. Il mezzo principale di comunicazione, la nostra lingua, non è altro che una catena interminabile di simboli, di suoni oggettivi che significano in realtà ben altro del loro essere semplici sequenze di suoni diversi. La nostra insicurezza, la nostra dubbiosa identità tedesca non risulta solo dalla nostra storia così scabrosa, dalla
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