Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

Dal programma di sala di li Vangelo di Oxyrhinco, 1985. BibliotecaGino Bianco futuro da sembrare esseri da fantascienza. Sento che debbo "rispondere" verso quelle donne e quegli uomini che, pur non avendo spesso conosciuto personalmente, hanno svegliato le mie energie, sono stati i miei punti di riferimento, come individui e come artisti, quelli che mi hanno insegnato come "comportarmi" nel teatro. Quelli che io chiamo i miei maestri. Verso di loro mi sento obbligato, per qu~i valori da loro ereditati che bisogna incarnare, che si ha il dovere di tramandare intatti. Solo questo ethos personale e professionale dà forza al "trovarsi fuori" e autonomia dallo spirito del tempo. Altrimenti si cade nel moralismo o si collabora, involontariamente, con l'ipocrisia delle regole in vigore nel teatro e nella società. D'altra parte sento che debbo "rispondere" verso gli esseri del futuro, della fantascienza ... E proprio come avvertiamo di non poter lasciare il nostro pianeta pieno di mercurio, di diossina, di radioattività, proprio come ci rifiutiamo di lasciare in eredità la "terra desolata" e pensiamo che è nostro obbligo opporci alle conseguenze del nostro sviluppo materiale, così è nostro obbligo lasciare nel teatro un'eredità che non riguarda solo la sua materialità - la tecnica -, ma anche l'anima, il ;'fuoco". Una spiritualità che non ha a che vedere con una metafisica o con una fede religiosa, con una chiesa o una teologia. Entrano in questa spiritualità altre categorie. Per esempio, quella della dignità umana. Ecco ancora !"'eterno ritorno", il "primo giorno" che riappare. Perché l'inizio è, sì, l'incontro con i compagni dell'Odin in Norvegia e in Danimarca, ma è anche il periodo passato in Polonia. In fondo l'impronta che mi ha marcato è quella di un teatro in un paese socialista, che vive e si alimenta costantemente di una lotta: quella per proteggere, per salvaguardare la propria "anima" nei confronti dello Stato, nei confronti dei falsi messia che hanno il potere. Al tempo dello Zar, i servi si chiamavano la "proprietà battezzata". Questa proprietà esiste ancora in quei paesi dove c'è un regime che si chiama socialismo. Il semplice fatto che il cittadino non abbia un passaporto, lo rende proprietà dello Stato. Vivere per anni, come è successo a me, in uno di questi paesi, lascia da una parte una sensazione di odio e di rigetto, e dall'altra un'attenzione interiorizzata per questa forma di lotta: come difendersi dal diventare proprietà dello Stato, distinguersi da questa. Mi raccontavano ultimamente degli amici polacchi che a Varsavia ci sono dei teatri dove la sera la sala è vuota, senza un solo spettatore. E di contro dei teatri dove si fanno lunghissime file per avere un posto. Questo avviene non perché la pièce che vi si recita è più o meno interessante, divertente o contenente allusioni politiche di contestazione. Ma perché il direttore di quel teatro e i suoi attori tentano di non collaborare con il regime, evitano forme di complicità o sudditanza. I teatri deserti sono diretti da artisti che si sono fatti vedere in televisione con il Generale, che gli hanno stretto la mano, che si sono lasciati decorare. La gente invece si riunisce intorno a quelli che sono riusciti a non stringere mani, a non ricevere medaglie. Il teatro, in Polonia, non è solo una grande camera di ossigeno che permette di respirare altra aria, è anche il luogo dove le circostanze fanno sviluppare, come una fotografia, il "rifiuto" come atto politico, di opposizione, di resistenza. Gli spettatori possono andare a vedere commedie e vaudevilles. Però da questo repertorio apparentemente banale si percepisce la dimensione del "fuoco" che il nostro mestiere contiene. Quando in altri paesi le circostanze non "sviluppano" in maniera riconoscibile o stereotipica questo rifiuto, si parla di stili, di tendenze, di movimenti. Al teatro rimane di essere considerato sulla base di aggettivi, piuttosto che sulla sua essenzialità: come non riguardasse più una verifica esistenziale, come non impegnasse più una precisa e personale sofferenza, insofferenza. Uno dei motivi, credo, per cui è stato sempre difficile capire gli orientamenti dell'Odin, è dovuto al fatto che al mio inizio ho vissuto questa "esistenzaresistenza" teatrale permeata di scaltrezza e serietà, di ironia e caparbietà, di lealtà e severità verso se stessi e verso i propri collaboratori. Ma dove la posta è la possibilità di diventare "proprietà dello stato", servo o complice non più libero dei tuoi pensieri, della tua parola, dei tuoi atti. Anche questo ho appreso da Grotowski: non accettare i Persiani. E nello stesso tempo non scomparire, non diventare muto, compiere ogni giorno il proprio atto di presenza, per modesto che sia. Dalla Polonia viene il mio "complesso delle Termopili". La Polonia mi ha insegnato a guardarmi intorno perché Efialte - lo spartano che tradisce i suoi trecento compagni alle Termopili - è sempre presente. A volte è una persona, a volte è il tempo che fa diventare te stesso Efialte. Ma pur sapendo che scomparirai, pur sapendo che un giorno i Persiani avranno il sopravvento, 45

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