Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

Ollolai, Sardegna 1975 (foto di Tony D'Urso). crisi di identità e di senso che si stava vivendo (e a maggior ragione vivevano e pagavano quanti avevano scelto il ruolo e il lavoro della scena, della comunicazione, della cultura)? BibliotecaGino Bianco Ma ancora - al di là delle domande - il fenomeno è sicuramente parte della storia di un rapporto, tanto interessante e lungo da supporlo originario e fondamentale, fra la politica e il teatro. Quello "strano movimento" del Terzo Teatro come lo ha attraversato, ma soprattutto cosa è riuscito ad indicare? C'è uno strato pre-espressivo della politica? È in questo strato che lavora e provoca l'Odin Teatret? Eugenio Barba. La pre-espressività politica è quella che fa dire a una persona -immediatamente, senza riflettere - che i negri sono uguali a lui. Come può far dire esattamente il contrario. Poi si spiega a se stessi e agli altri questo atteggiamento con significati ideologici, filosofici, religiosi o scientifici. La parola "politica" non è stata molto usata all'Odin Teatret durante questi venti anni. La associamo involontariamente a dei partiti al potere che hanno accumulato, nel corso della loro storia internazionale, milioni di crimini. Ecco perché la parola "politica", nel suo senso ortodosso, mi provoca un certo imbarazzo: è una parola contaminata, piena di radioattività. Abbandonandosi alla sua logica, uno finisce inevitabilmente per scontrarsi con la propria morale personale. Si può civettare con la politica, scriverne o discuterne. Ma nel teatro, la radioattività della politica ortodossa, con il suo rigore di tattica e compromesso, divora. Lo sappiamo. Anche Brecht, con le sue oneste intenzioni di combattere questa radioattività, è morto disintegrato. "Stare fuori" vuol dire anche rifiutare la radioattività df-'llapolitica ortodossa. Vuol dire inventare un teatro politicamente eterodosso, o meglio un teatro che ha una sua politica. Ma è una politica che si ispira ed è condizionata dal suo stato di "parallelità". In questo senso il discorso riguarda il "terzo teatro". Da un lato si ha il teatro ortodosso la cui opinione è considerata vera e che l'opinione considera come il vero teatro. Dall'altro lato hai quello che è un teatro "inopinabile", difficilmente riconoscibile o catalogabile. Un "terzo teatro" non come movimento, ma come condizione di discriminazione. "Terzo teatro" significa "essere negro" in una società dove i bianchi hanno il potere. Il potere di accettarti o di metterti fuori, di decretare o no la tua esistenza. Si può benissimo dire: "io sono un pentito del terzo teatro, io non appartengo al terzo teatro ... ". Ma è come se uno dicesse: "io sono pentito di essere negro, non appartengo alla razza dei 39

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