Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

34 STORIE/ISHERWOOD donne sani e normali ad accettare e applaudire linciaggi, pogrom, campi di concentramento, senza darsi la pena di cercar di capiré di cosa si tratti in realtà. Prim faceva il tifo per Anselm: bravo, bravo! Qualunque cosa lui avesse fatto, Prim l'avrebbe approvato incondizionatamente. La reazione di Boots fu diversa, ma altrettanto orribile. Come descrivere il sorriso col quale accettava quei graffi? Boots non era più masochista di quanto Prim fosse sadica. No - ciò che vedevo nel sorriso rivolto ad Anselm era pura, cinica depravazione. Apparteneva a quella categoria di persone che si lasciano umiliare perché, tutto considerato, è meno faticoso che non opporre resistenza o reagire positivamente. Il loro atteggiamento è quello che permette il perpetuarsi delle atrocità. Ma se Prim e Boots erano orribili, Anselm lo era cento volte di più. L'espressione sulla sua faccia mentre graffiava Boots! Guardandolo, capii che, se il Demonio esisteva, il suo lato più terrorizzante doveva essere semplicemente questo: l'indifferenza a tutto, perfino alla dannazione. Anselm non credeva assolutamente nei suoi tarocchi, nei suoi incantesimi, nelle sue formule magiche. Non credeva in quello che stava facendo a Boots. E allora perché la graffiava? Per nessuna ragione al mondo. La sua espressione non era crudele, o libidinosa; sulla sua faccia non si leggeva altro che la più totale mancanza di interesse. Poi, all'improvviso, Anselm, Prim, Boots, Dexter, Mokhtar - tutti - mi abbandonarono. Forse alcuni di loro se ne andarono veramente, altri restarono nella stanza: non faceva alcuna differenza. Comunque fosse, si stavano allontanando, come palloncini col filo tagliato, a una velocità imm~nsà. Oppure si potrebbe dire che la stanza si stava espandendo fino a diventare immensa: la distanza tra una parete e l'altra si poteva misurare solo in anni-luce. Ormai se n'era- . no andati tutti. Ero rimasto solo. Bene; allora, ero solo. Era così terribile? Perché avrei dovuto preoccuparmi? Che cosa mi aveva insegnato Augustus? Che cosa avevo imparato dall'esperienza in tutti quegli anni? Credevo davvero in quello che sostenevo di credere, oppure no? Sì. Cercai i punti fermi delle mie convinzioni, e sì - eccoli. La mia esperienza era reale. "Questa cosa" era dentro di me. Non dovevo spostarmi di un centimetro. Ero nel punto in cui tutto il resto era. E sarebbe sempre stato. Nient'altro importava. Non avevo bisogno degli altri. Non avevo bisogno della stanza. La stanza poteva anche andarsene. Se ne stava andando, a velocità sempre maggiore. Non riuscivo più a vedere le pareti. Non avevo bisogno delle pareti. "Questa cosa" era l'unica di cui avessi bisogno. Solo ... la velocità mi stordiva ... chiusi gli occhi. Per un istante, provai una sensazione di grande gioia, e tutto tranne la gioia si stava allontanando da me. Ma - non così in fretta! No -aspetta - aspettami! Non potevo andare così in fretta. Ferma! E poi una tremenda sensazione di panico, stavo cadendo. Ruzzolai dentro la stanza, e aprii gli occhi. La stanza era tornata alle dimensioni normali, ed era BibliotecaGino Bianco vuota. Se n'erano andati, mi avevano lasciato solo. Volevo che tornassero, anche se erano tutti orribili. Qualunque cosa, piuttosto che la solitudine. Ero solo, completamente solo. La mia infelicità si fece cocente. Ero un gattino, chiuso fuori nella neve gelida. Un povero esserino indifeso. Ero pronto a supplicarli di non abbandonarmi. Non mi importava cosa potessero pensare di me. Ero completamente privo di amor proprio. Ero disperato ... ~aul! Paul! Dove sei?" ... "Sono qui, tesoro," disse Paul, e apparve subito nel vano della porta. "Dov'eri andato?" "A sgranchirmi le gambe. Nell'altra stanza, per un minuto." "Un minuto! Sei stato via un 'eternità!" Paul mi lanciò una delle sue occhiate scrutatrici, da medico. Era come se gli avessi inconsciamente rivelato qualcosa. Si avvicinò e si sedette accanto a me sul materasso. "Guarda l'orologio," disse. Sembrava in un certo senso reale in modo abnorme, e perfino più visibile del solito; stampato con maggiore chiarezza, a colori più forti, nel campo della mia visuale. (Senza dubbio questo era dovuto al fatto che avevo cancellato l'identità degli altri trasformandoli in figure simboliche, mentre Paul era rimasto semplicemente Paul, per tutta la serata.) "Perché? Perché dovrei guardare l'orologio?" "Guarda l'orologio." Guardai.l'orologio. "Che ore sono?" mi chiese Paul. "Le due e un quarto. Perché?" "No - guarda bene, voglio l'ora esatta." "Le due e diciassette ... Perché vuoi l'ora esatta?" Paul non rispose. Sentii che l'orrore stava tornando, enorme. Ora era diverso che non essere solo: era peggio. Era il fondo, il fondo dell'orrore. L'orribile, gelido contrario della gioia. Appoggiai la testa alla parete. "Paul - cos'è questo posto?" "Non lo sai, tesoro mio?" Stavamo parlando in tono normale, tranquillo, discorsivo, quasi sognante. "Voglio dire - dove siamo?" "Io so dove sono io. Non so dove sei tu." "Ma non possiamo essere jn due posti diversi!" '.'Perché no?" "Paul - ho paura!" "Non c'e niente di cui aver paura, tesoro mio. Niente ar mondo. Parliamone, vuoi? Parliamone tranquillamente, io e te. Solo, devi cercare di star calmo. Se stai calmo, non ti succederà niente. Promesso?" "Va bene. Promesso." "Bravo il mio ragazzo! E adesso dimmi, solo per amor

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