Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

32 STORIE/ISHERWOOD drà pazzo!" Diede al ragazzo una confidenziale pacca sulle natiche. ''Mokhtar riesce a ottenere certi effetti, con il majoun - e gli ho già spiegato esattamente di cos'hai bisogno tu, Chrissie ... Vediamo un po', sarà meglio che tu non beva niente, dato che è la prima volta. Mentre mangi il majoun, ti preparerò una sigaretta di kif." Paul aveva ragione: il majoun era delizioso; aveva l'aspetto e il sapore del budino di Natale. Lo mangiai con un minuscolo cucchiaino da caffè, mentre Paul apriva una normale sigaretta americana, mescolava un po' di kif al tabacco e tornava ad arrotolare il miscuglio in una cartina. Il kif mandava il profumo dell'erba appena tagliata che rimane nella falciatrice. (Perfino ora, il ricordo di quel profumo mi dà una leggerissima sensazione di paura.) Quando ebbe finito di sistemare alcune sigarette, Paul si mise a sorseggiare un Martini. Gli chiesi se non avesse intenzione di fumare. Lui scosse la testa e sorrise. "Ormai questa roba non mi fa più niente," disse, come un adulto stanco di bibite gassate. Anselm, nel frattempo, aveva acceso una lunga pipa da kif, adorna di ciondoli e amuleti d'oro, d'argento e di tartaruga; mi disse di averla portata dal Sahara. Anselm cominciò a fumare, e di tanto in tanto passava la pipa a Prim, Boots e Dexter, che tiravano boccate a turni, chiacchierando. Paul mi fece mangiare un piatto di stufato di montone, che prese dal vassoio, e bere del tè alla menta: quei cibi, disse, avrebbero aiutato la droga a far effetto. Fumai due sigarette di kif, inalando profondamente, ansioso di cominciare a sperimentare lo stato di ebbrezza. Improvvisamente non provavo più alcuna paura. Così passò, credo, circa un'ora. Non parlai, o quasi, con Paul. Quanto agli altri, provavo una decisa avversione all'idea di conversare con loro. Mi stavo già chiudendo in me stesso. Il primo sintomo fu una specie di mal di mare. La stanza rollava lentamente ma pesantemente verso tribordo, poi si raddrizzava, poi ricominciava a rollare, dall'altra parte. Cercai di seguirne il movimento, costringendomi a quello che dovette sembrare un sorriso nauseato. Non era tremendo. Ma poi cominciai a rendermi conto della piccolezza della stanza. Era incredibilmente piccola. E diventava sempre piiì piccola. Se non me ne fossi andato, sarebbe diventata più piccola di me; era inconcepibile. Via - dovevo andar via, prima che fosse troppo tardi! Mi alzai in piedi, forse con esagerata noncuranza. "Tutto bene, tesoro?" mi chiese Paul. "No." "Vuoi dire che è già cominciato?" "Pare proprio di sì." "Bene." Andai nella stanza "mistica" con il Budda e la sfera di cristallo. Paul non si offrì di assistermi e gliene fui grato, perché riuscivo appena a mantenere un minimo di autocontrollo. Nessuno sembrò accorgersi della mia uscita. Probabilmente mi muovevo in modo abbastanza normale, anche se mi è rimasta la sensazione di essermi messo a camminare a grandi passi, piegando completamente le ginocchia, come BibliotecaGino Bianco un cavallo di haute école. Aprii la finestra e andai sul balcone: volevo allontanarmi il più possibile dalla piccolezza della piccola stanza. Ma questo fu un terribile errore, me ne accorsi subito. Perché, là fuori, l'oscurità ventosa, vuota, sembrava un'enorme bocca aperta, pronta a ingoiare qualunque cosa: troppo grande per contenermi - troppo, troppo grande! Dovevo andar via - via da quella bocca prima che mi risucchiasse, prima di perdermi in quell'immensità per sempre. Tornai dentro e andai a sbirciare cautamente dentro la stanza piccola. Era a posto, adesso; era solo piccola. Mi lasciai andare sul mio materasso, sollevato, ansante. Ma il sollievo non durò a lungo. E ciò che seguì fu terribile. Cominciarono le allucinazioni: il primo degli scherzi della droga. Mentre me ne stavo là con la schiena appoggiata alla parete, mi resi conto che non esisteva una parete. Oh sì, riuscivo a star su, ma la cosa era irrilevante. In realtà ero seduto sull'orlo dello strapiombo di Glacier Point: davo la schiena a un precipizio di mille metri, l'abisso di Yosemite sbadigliava a pochi centimetri da me. Se avessi girato la testa mi sarei reso conto che in realtà non c'era alcuna parete a sostenermi. Così non la girai: L'altro problema era la porta della stanza. No, mi sono espresso male. Avrei dovuto dire: la stanza della porta. La porta, non la stanza, era il problema. L'ho chiamata porta, non porte, perché ero ancora consapevole del fatto che quella era in realtà - qualunque cosa significhi "realtà" - una stanza con una sola porta. La percezione che avevo era quella di un'infinita potenzialità di porte, delle quali una sola era, per così dire "riconosciuta", còsì come un oratore viene "riconosciuto" dal presidente di un'assemblea. Ma come e perché era stata scelta proprio quella, di porta? Il solo pensiero di dover fare una scelta del genere era pura tortura mentale. Tutte le porte potenziali erano ora visibili, presenti, in uno stretto, infinitamente complesso e per così dire minaccioso rapporto con quella scelta. In un lampo, capii che cosa indicibilmente terrorizzante fosse il cubismo. Picasso, Braque e Juan Gris dovevano averlo saputo. Naturalmente, non ne avevano parlato. Non volevano esser rinchiusi in manicomio. Erano gli uomini più coraggiosi che foss~ro mai venuti al mondo. Quello che stava succedendo fuori, succedeva anche dentro di me. Quei piani mobili, scorrevoli, di potenzialità, non erano solo fuori di me, intorno a me. Anch'io ero potenziale. Anch'io ero mobile, variabile, sdrucciolevole. Non ero più a fuoco come io. La vite era stata girata, di pochissimo, e ora i miei contorni erano vaghissimi. Un altro piccolo giro e sarei diventato un nulla, un nulla infinito. Chiusi gli occhi e trattenni il fiato, per paura che quell'equilibrio disperatamente fragile si rompesse per sempre. Ora, nella stanza vicina, Anselm aveva acceso un fonografo e stava suonando dei dischi. Le parole, ci disse, erano ungheresi; ma dovevano esser state tradotte direttamente dalle canzoni francesi da cabaret, perché possedevano lo stesso tono malizioso, lo stesso ritmo ansimante e gli stessi

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