Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

30 STORIE/ISHERWOOD re un situazione di emergenza. Nonostante questo, durante le rare cene alle quali partecipano insieme, i loro occhi, di tanto in tanto, si incontrano, e vi si legge la domanda, "Perché non la smettiamo? Non vale la pena di correre il rischio, a questo punto? Non possiamo fidarci l'uno dell'altro?" e la risposta, tristemente accettata, è sempre, "No, non ancora." E come va a finire tutto questo? Be', un giorno lei non riesce più sopportare la situazione. Apre il diario e gli scrive, apertamente, direttamente, rinunciando a quel che resta del suo orgoglio, una lettera d'amore. "Tesoro, è stata tutta colpa mia, fin dal principio. Non possiamo ricominciare da capo?" Continua a scrivere e scrivere, lasciandosi trasportare dal sentimento, senza pensare, senza più alcuna cautela. Poi, perso lo slancio, ripone in fretta il diario nel cassetto, senza nemmeno rileggere quello che ha scritto - per paura di strappar via le pagine e bruciarle - e corre fuori dall'appartamento, deliziosamente in ritardo per la riunione di un ennesimo comitato. Per tutto il giorno non fa che pensare a lui, cerca di immaginarsi la sua faccia mentre legge, di immaginare il loro prossimo incontro. Come reagirà? Come si comporterà? Lo troverà ad aspettarla, quando tornerà a casa? La prenderà tra le braccia? Arrossirà, comincerà a balbettare, nel modo delizioso di quando erano fidanzati? Oppure, meglio ancora, non dirà assolutamente niente, da principio, ma la farà salire in un taxi e la porterà in uno di quei posticini in cui andavano sempre dopo la luna di miele, e cenerà con lei, guardando le luci sull'acqua, affascinante, dolce e comprensivo? Forse, se lui riuscisse ad avere una vacanza, potrebbero addirittura volare in Florida per un paio di giorni. Una specie di matrimonio di guerra, praticamente ... Torna a casa verso le cinque, appena riesce a liberarsi. È un piccolo choc, una piccola delusione, non trovarlo in soggiorno, né nella sua camera da letto, né nello studio. Si era preparata per la grande scena. Ma forse è solo uscito un attimo per comperare - delle orchidee? E comunque, riflette velocemente, devo sembrare una strega, dopo quel tè affollatissimo dei Combattenti Francesi. Così almeno avrò il tempo di fare un bagno e infilarmi qualcosa di più adatto all'occasione. Apre la porta della sua camera. E si ferma, di colpo, come se fosse andata a sbattere contro una parete in muratura. Eccolo lì, accanto alla scrivania, col suo diario aperto in mano. .., Si fissano. È difficile dire chi dei due abbia l'aria più colpevole, più idiota, più sorpresa. Poi, con un gesto istintivo che viene dritto dall'asilo infantile, lui tenta di nascondere il diario dietro la schiena. Quello è l'errore definitivo, fatale. La situazione, che fino a quel momento lo spirito di un Voltaire, la grazia di un Casanova, avrebbero potuto, in modo concepibile, salvare, ora va al di là di ogni controllo umano; i riflessi condizionati prendo,no il sopravvento e fanno a pezzi la ragione. "Come osi!" strilla lei, strappandogli il diario di mano. Tenta di stracciarlo e non ci riesce, perché il cuoio è duro. Allora glielo tira addosso, e lo manca. DopoBibliotecaGino Bianco diché non le resta altro da fare che scappar via, via da quella stanza, via da quella casa. Lui le grida di tornare indietro, è pazza, ma anche lui è arrabbiato, perché è stato colto malamente di sorpresa; comincia a ridere, cercando di calmare i nervi; poi, quando vede che lei non ritorna (è andata da una zia che sta Long lsland), fa la valigia e si trasferisce in un albergo, dove si ubriaca. Il giorno dopo le scrive, e la lettera ritorna indietro, chiusa. È un po' sorpreso di scoprire che, dopotutto, non gliene importa molto; il legame è stato rotto del tutto, definitivamente. Qualche mese dopo i due divorziano. Ma forse sono troppo pessimista. Forse il vostro brillante ragazzo potrebbe sistemare diversamente le cose. Ha la mia benedizione. Che ci provi. (1942) VISITAADANSELMOAKES nnselm Oakes viveva fuori, nei sobborghi, da qualche Wparte vicino a Meudon. Impiegammo un'immensa quantità di tempo, ad arrivarci; e dovemmo prima accompagnare Gigi in Rue de Bac. "Non mi fido di Anselm," mi disse Paul, semiserio: "So che ha messo gli occhi su di lei. Vuole sacrificarla a un suo demonio, di nome Eazaz." Alla fine arrivammo a un agglomerato di appartamenti modernistici: non dovevano avere più di quindici anni, ma erano già decrepiti. L'ascensore arrivò molto lentamente, con un rumore dal quale si sarebbe detto che il pozzo troppo stretto costringeva la cabina a strisciare contro le pareti. Mi sentivo comunque nervoso alla prospettiva della misteriosa avventura che mi aspettava, e così suggerii che salissimo a piedi. Paul mi disse, con aria maliziosa e divertita, che non era possibile. Una parte della scala ai piani di sopra era crollata, e con ogni probabilità non l'avrebbero mai riparata. Quando arrivammo all'ultimo piano, la porta davanti all'ascensore si spalancò con forza inquietante e andò a sbattere rumorosamente contro la parete, rivelando un corridoio buio, illuminato solo da una minuscola lucina rossa dentro una lampada marocchina sospesa. L'effetto, e senza dubbio anche lo scopo della messinscena era quello di intimorire. Poi, dall'oscurità, uscì un uomo grande e grosso, che avanzò a grandi passi verso di noi. Aveva occhi scuri, lucenti, sfacciati, e quel tipo di pelle olivastra che dà l'impressione di essere impregnata di olio. Gli occhi erano il contrario di quelli che, in gergo giornalistico, vengono normalmente definiti "ipnotici"; sembravano distratti e irrequieti. Anselm (senza dubbio si trattava di lui) indossava un accappatoio di spugna bianca, sporco. Sulla testa portava un turbante, con un gioiello (quasi certamente vetro rosso) nel bel mezzo della fronte. Le dita erano adorne di una serie di grossi anelli con serpenti intrecciati e altri emblemi, segni zodiacali o cabalistici. Sotto l'accappatoio si intravvedeva-

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