Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

che i nostri pallini frustano l'acqua ove poco innanzi nuotava. Torna il silenzio ma l'anatra non riemerge. Il fumo azzurrino degli spari ci punge nel naso e i nostri occhi scorrono inquieti la superficie dell'acqua nella speranza che l'anatra torni a galla di nuovo. Ma tutto è silenzio. Probabilmente si è attaccata al fondo con forza per lasciarsi morire. Il sole brilla nelle ali blu delle altre due anatre quando le recuperiamo dall'acqua tenendole per i colli sottili e afflosciati. È un periodo questo della mia vita cui non ripenso volentieri. Era quando non osavo mai pensare, credere o agire diversamente dagli altri, i compagni, gli eroi della vita d'azione, ai quali mi accostavo servile e colmo d'ammirazione. Che cosa non facevo per essere indulgentemente accolto nella loro cerchia circondata di misteriosi tabù! Essere parte a qualsiasi costo di quelli che vincono, di quelli che senza conseguenze si prendono ciò che gli pare - questa era la mia aspirazione più grande. E per il ronzio del sangue nelle orecchie, per il richiamo allettante del sesso, non ero più in grado di fissare lo sguardo su alcunché d'altro. Lo so perché mi ricordo più volentieri l'infanzia. E perché allora ero sempre il perdente, l'escluso, il solitario che non si aspettava altro che la sconfitta. L'adolescenza, quella è veramente l'età sporca, e io diffido di chi la vuole idealizzare. Avevamo gli zaini con noi, e lì dentro infilammo le anatre, procurando che un'ala spuntasse al di fuori e rendesse testimonianza della nostra fortuna di cacciatori. Adesso si udivano spari dappertutto e le anatre spaventate volavano in piccoli stormi per la torbiera, ma sempre fuori portata di tiro. Esse cercavano rifugio dentro i boschetti di betulle, ove era difficile riuscire a colpirle. Si fermavano sui cespugli tendendo l'orecchio in tutte le direzioni, i mobilissimi occhi scintillanti. Incominciava a far caldo. Gli stivali non luccicavano più e i nostri piedi erano sgradevolmente asciutti. Ci avviammo verso casa. Le ragazze stavano uscendo per mungere le vacche che si erano raccolte vicino allo steccato e che non avevano più quel tratto primevo e selvaggio nelle pesanti teste docilmente chine. Mostrammo le nostre prede alle ragazze, vantandoci dell'impresa, e avremmo volentieri detto qualcosa di galante che nel contempo fosse sfrontato e molto esplicito. Ma non ne facemmo nulla. Invece restammo un poco a guardare le natiche tonde che traboccavano dagli sgabelli per la mungitura. Eravamo pieni di sesso dopo gli spari, dopo le gocce di sangue sulle piume lucenti. Ma ci sentivamo ancora rinchiusi, prigionieri dentro un invisibile anello che non eravamo in grado di spezzare. Ci incamminammo su verso il cortile sentendoci delusi. Con gli anni mi stancai di cacciare le anatre. Non ero più capace di sparare e diedi via anche il fucile. Ogni volta che mi trovavo sul punto di far partire un colpo piombavo in uno stato di turbamento così grave da non riuscire quasi a tenere in mano il fucile. L'ultima anatra che colpii se ne stava anch'essa sull'acqua e quando i pallini ne centrarono il corpo mosse il collo più volte con scatti orgogliosi di cigno. Sollevò un poco le ali, fu scossa da un tremito e lentamente si ricompose. Quando le altre anatre che la circondavano si alzarono in volo ed io BibliotecaGino Bianco STORIE/LAGERCRANTZ cercai di colpirle, le mie mani tremavano con tale violenza che non riuscii nemmeno a puntare il fucile. Naturalmente fu un colpo grossolano e mancato. I miei nervi non reggevano più. Non so dire perché. Forse perché la caccia all'anatra era divenuta per me qualcosa di più e di diverso da un episodio di fine estate. Le anatre si sono trasformate e attraverso loro io vedo la mia stessa esistenza. Quello che accade laggiù alla torbiera ... Non so. L'anatra morente, che trema e solleva le ali mi pare come un'immagine di qualcosa che avrei dovuto ricordare, qualcosa che mi riguarda più d'ogni altra. (traduzione di Carmen Giorgetti Cima) Copyright Olof Lagercrantz 1947, 1985. I > rossoscuola 27

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