CACCIALL'ANITRA O/of Lagercrantz l':1 rendiamo i fucili che stanno allineati dentro una po- .. sta vuota nella stalla. I cavalli dormono un sonno pesante dopo le fatiche del raccolto. La lanterna appesa al soffitto, intrappolata dalla ragnatele insieme a mosche da lungo tempo morte, dissanguate e rinsecchite come mummie, getta deboli raggi polverosi dentro le poste. Di tanto in tanto uno zoccolo raschia il pavimento e la catena di una cavezza tintinna. Nell'aria che sa di lettiera di torba, catrame e letame aleggia il vecchio sogno di quel canto popolare che parla di avena d'oro e scarpe d'argento. Fuori la sporca finestra la notte vigila con la sua frusta adorna di stelle. Usciamo nel cortile. L'aria è gelida e le canne dei nostri fucili si coprono di condensa. Carichiamo con pallini del cinque e ci avviamo giù per la torbiera. Dentro i cespugli presso il magazzino i passeri si stanno destando, e s'arruffano pigolando tra i rami. Un poco più avanti e più in basso c'imbattiamo nella nebbia del mattino. Ci rotola soffice incontro, soltanto un sospetto più chiara della notte che inizia ad impallidire. Gli stivali s'infradiciano e luccicano nell'erba. Lontano, verso il lago di SjOtorp, si odono i primi colpi di fucile. Noi siamo immersi dentro la nebbia e seguiamo la linea elettrica per non perdere la strada. Una vacca muggisce un poco più avanti. Fa l'effetto di una nave nella nebbia. Rauchi muggiti rispondono da ogni direzione e la bestia che ci compare davanti sembra un mostro preistorico dai contorni incerti e mutevoli. Quando le passiamo accanto volge la testa pesante e ci segue col suo sguardo bruno. Poi ancora una volta muta di forma, si cancella e scompare nella nebbia dietro di noi. I muggiti si fanno più fiochi e non ci manca più molto al canale. Un chiurlo s'alza in volo e taglia la nebbia dei suoi fischi cupi. Il sole s'è levato e appare al principio come un'abbagliante luce sottomarina a nord est. Qualche limpido raggio allunga la punta della sua spada dentro i veli di nebbia, tira qualche colpo, lotta e di nuovo svanisce. L'erba incomincia a luccicare quando le gocce di rugiada s'accendono dei raggi del sole. In un attimo la vista si fa chiara. Quanti sono i miei anni questo giorno d'agosto che si apre la caccia all'anatra? Non lo so proprio, giacché gli anni si sono fusi insieme e quella giornata è ormai parte di una sfera atemporale. - Lontano presso un corso d'acqua mormorante, o forse è presso un solaio, odo il verso di un'anatra e vedo due esemplari che allungano il collo al di sopra del tetto, rapidi, inquieti. Volano via e scompaiono mentre il colpo rimbomba lontano. Quella volta è un mattino che io sto alla finestra della mia cameretta a guardar fuori, ci arrivo appena appena a guardar fuori, e mi prende un'angoscia, come se gli uccelli mi avessero parlato. - Qualche anno più tardi, allora di anni ne ho dieci, possiedo una bella carabina con la canna ottagonale, calibro sei. E sogno di abbattere molte anatre e una lontra col pelo adatto a farci un collo e il ventre pieno di monete d'oro. La colpisco al volo, un colpo senza pari che non ne rovina la pelle, e l'animale non ha ancora toccato la superficie dell'acqua che già è una tigre, ed io ho salvato un villaggio indiano da una mangiatrice d'uoBibiiotecaGino Bianco mini cui davo la caccia da dieci anni, e vengo nominato lord e sposo una principessa e divento l'uomo più potente della terra e volo con un razzo sulla luna e torno a casa alla torbiera coperto di gloria e al volante di un'auto blu che somiglia a quella del dentista giù in città ma è più grande e di gran lunga più veloce. - Ho vent'anni e possiedo un fucile a due canne con i grilletti d'acciaio. Ho trent'anni, trentacinque. A volte la nebbia non si dissolve ed io cammino per diverse ore senza trovare la via per uscirne, mentre i suoi veli mi s'avvolgono intorno sempre più stretti. Allora il chiurlo con i suoi gridi rauchi mi pare un uccello del malaugurio, e il cane da caccia dal pelo lungo e bruno mi s'intrufola tra le gambe. Un'estate avevamo una giumenta purosangue che si chiamava Rosa. Era nera ed aveva le zampe sottili e una testa minuta dai tratti eleganti. Un giorno che c'era la nebbia, Rosa fu spaventata da un'esplosione e saltò il filo spinato del recinto dove pascolava e prese a galoppare nella nebbia. Udimmo i suoi zoccoli battere contro il soffice terreno e dopo un momento quel suono venne inghiottito dal silenzio. Alcuni uomini erano avviati giù per la torbiera alla sua ricerca, quando un rauco grido si levò dai paraggi del canale maggiore, lacerando la nebbia come una freccia insanguinata. Era la giumenta che gridava prima d'essere fagocitata dal fango. Nella sua corsa era finita dritta dentro il canale ed era stata trascinata verso il fondo. Si poteva vedere come le zampe anteriori avessero raspato l'orlo del canale e come il terreno avesse ceduto. Alla fine i suoi zoccoli leggeri si erano fatti di piombo e, il collo teso in un ultimo grido, la cavalla era sprofondata e scomparsa. Con l'aiuto di pertiche e di una gru primitiva riuscimmo, dopo molte ore di fatica, a tirarla fuori dal canale. Il bel pelo scuto era imbrattato e senza vita. Il collo pendeva floscio e gli occhi semichiusi erano rigati di sangue. Essa giaceva nell'erba con le mosche che le ronzavano intorno al capo, morta ed immobile. Da allora nei giorni di nebbia mi parve piu volte di udirla correre giù .per la torbiera e di tanto in tanto fermarsi a nitrire, come cercasse un contatto coi vivi e invano aspettasse risposta. Il sole adesso è un poco più alto nel cielo e le pavoncelle iniziano a lanciare i loro stridi. Noi siamo ragazzi cresciuti e scivoliamo cauti lungo il canale con i fucili già pronti. L'acqua scorre giù in fondo lucida e morbida come un nastro di seta, disegna linee sinuose intorno a larici, giunchi e ninfee e prosegue in silenzio. Sentiamo il verso di un'anatra .un poco più avanti e ci accovacciamo. Ci avviciniamo carponi e vediamo tre uccelli brucare proprio vicino alla riva una ventina di metr'i più in là. Non si•accorgono di noi quando col batticuore prendiamo la posizione di tiro. Una si leva in volo e riceve la nostra seconda scarica di fucile nell'ala. Grida, quasi come un'anima in pena - a me sembra di udire un O Dio, O Dio! - e ricade nell'acqua, dove prende a nuotare a strappi e in preda al panico, trascinando l'ala ferita. Le altre due anatre galleggiano sul pelo dell'acqua, morte, le teste penzoloni verso il fondo melmoso. Puntiamo ancora sull'anatra in fuga, ma essa si tuffa nel medesimo istante
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