Jean-Claude Brialy e Laurence de Monaghan in Il ginocchio di Claire. Coco Ducados in Perceval le Gallois. Béatrice Romande Ariel/e Dombasle in Il bel matrimonio. BibliotecaGino Bianco nuamente che avrei potuto mostrare sotto un nuovo aspetto delle cose - sentiment_i,intenzioni, idee - che fino ad oggi erano state illustrate solo dalla letteratura. Nei primi tre ho ampiamente utilizzato il commento. Era un modo di barare? Sì, se gli avessi affidato l'essenza del mio argomento, relegando l'immagine a un ruolo di illustrazione. No, se dal confronto di questo discorso con il discorso e il comportamento dei personaggi nasceva una specie di verità molto diversa da quella della lettura dei testi e dei gesti -, che poi sarebbe la verità del film. L'azione filmata e le parole fuori campo non si situavano mai, per esempio, nello stesso tempo, essendo l'una al presente o al passato remoto e l'altra quasi sempre all'imperfetto. Il commento generalizzava il caso particolare che si poteva vedere sullo schermo, legandolo più strettamente ad avvenimenti precedenti o a venire, togliendogli anche, lo confesso, un po' della sua singolarità, del suo fascino di cosa presente e unicamente presente. Toglieva allo stesso tempo ai miei personaggi non poco del loro mistero e della simpatia che lo spettatore era pronto a provare per loro. Ma erano un mistero facile, una simpatia losca, oltre i quali, a torto o a ragione, mi ero messo in testa di condurre il mio pubblico. In La mia notte con Maud, al contrario, il protagonista si spiegava troppo a lungo su se stesso, in presenza delle diverse partners, perché si potessero sopportare, dette "a parte", confidenze più ampie. Si affermava dunque narratore solo attraverso il titolo del film e due brevi frasi, destinate semplicemente a metterci in guardia da false piste. Quanto al Ginocchio di Claire, esso si presentava, nella sua versione romanzata, sotto forma di una narrazione di Jéròme che descriveva il progredire del proprio pensiero. Come presentare sullo schermo questo turbamento puramente interiore? Il commento era di regola, ma la sua piatta sovrapposizione all'immagine mi sembrava tanto più gratuita e artificiosa in quanto all'origine di questo flusso di riflessioni c'era un avvenimento unico e il cui valore era dato proprio dall'unicità. Qui non era più possibile giocare sulla sfasatura tra il tempo dell'azione (nel senso grammaticale del termine) e quello del pensiero. Mostrare un atto e dare l'esatto pensiero di colui che lo compie, nel momento stesso in cui ' compie, è o non è "cinema"? Non lo so. In ogni caso, questo va contro la verità corrente secondo la quale la maggior parte delle cose di cui siamo testimoni si svolgono in meno tempo di quanto "non ne serva per dirle". Dunque, invece di sovrapporre, ho scelto di giustapporre. In due momenti chiave del film, quello in cui Jéròme contempla la mano di Gilles posata sul ginocchio di Claire, e quello in cui, nel capanno, poserà a sua volta la sua mano, presento innanzitutto i fatti in modo diretto, oggettivo, lasciando ignorar tutto dei pensieri dei personaggi; poi, durante una conversazione, li faccio riferire dalla romanziera, divertita e critica: "Che importanza hanno i suoi pensieri", ella dice, "l'importante è che formiate un gruppo pittorico." Ma il cinema, a rischio di rompercisi le reni, vorrebbe andare un po' oltre la semplice pittura che è. La parola "passa" benissimo alla televisione, e nei miei Racconti si parla molto. Ma di cosa si parla? Di cose che hanno bisogno di venir mostrate con tutto il lusso dell'immagine e la sua precisione. Della delicatezza, per esempio, della fragilità, della levigatezza di un ginocchio che devono essere percepibili, per capire tutta la forza d'attrazione che esercitano sul narratore. E il miglior schermo televisivo del mondo è pochissimo adatto a rendere queste caratteristiche. La superficie opaca del televisore cancella insomma non solo gli effetti della luce, quel- · 1ache appartiene a un'ora o a una stagione precisa, ma le sensazioni di caldo e di freddo, di asciutto o di umido; di soffocante o di arioso che l'immagine, nuda, o sostenuta dal suono, ha il potere di evocare. In un western il passaggio al tubo catodico può sottolineare, consolidare il disegno e far risaltare le linee portanti, troppo spesso nascoste sotto la patina della confezione. Ma la mia originalità, se tale è, si colloca nella resa. E, d'altra parte, che la televisione forse è, come si dice più "intima" del cinema? Non ne sono affatto sicuro. Anche da solo davanti al vostro apparecchio vi sentite meno isolato dal mondo che nella folla anonima di una sala. Vi abbandonate molto più difficilmente all'illusione di penetrare nell'universo fittizio che vi viene presentato. Non siete dentro lo schermo, ma di fronte ad esso, come di fronte alla scena di un teatro. Detto questo, riconosco che le reazioni del pubblico, anche favorevoli, turbano un po' lo svolgimento dei miei film, che io sogno di poter accordare alla sensibilità particolare di ciascuno più che alla coscienza collettiva di una sala. (traduzione di Saverio Esposito) Da "La Nouvelle Revue Française" n. 219, marzo 1971. 25
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