Eric Rohmer. BibliotecaGino Bianco LETTERAUNCRITICO (APROPOSITODEI"RACCONTIMORALI") Eric Rohmer Il mio cinema, lei dice, è letterario: ciò che dico nei miei film potrei dirlo in un romanzo. D'accordo, ma si tratta di sapere cos'è che dico. Il discorso dei miei personaggi non è necessariamente quello del mio film. Nei miei Racconti morali c'è certamente un'intenzione letteraria, una trama romanzesca pre-stabilita, che potrebbe esser materia di elaborazioni scritte e a volte lo fa, sotto forma di commento. Ma né il testo di questo commento né quello dei dialoghi sono il mio film: sono cose chè io filmo allo stesso modo dei paesaggi, dei volti, delle andature, dei gesti. Se poi lei dice che la parola è un elemento spurio, allora non posso più seguirla: essa fa parte, allo stesso modo dell'immagine, delle vita che io filmo. Quel che io "dico", non lo dico con parole. E non lo dico neanche con sole immagini, con buona pace dei sostenitori di un cinema puro che "parli" con le immagini come un sordomuto fa con le mani. In fin dei conti, io non dico, mostro. Mostro persone che agiscono e parlano. È tutto quel che so fare; ed è questa la mia vera intenzione. Il resto, sono d'accordo, è letteratura. Che io possa "scrivere" le storie che filmo, è un dato indiscutibile. La prova sta nel fatto che le ho effettivamente scritte: molto tempo fa, quando non avevo ancora scoperto ìl cinema. Ma non ne ero soddisfatto. Non avevo saputo scriverle bene. È per questo che le ho filmate. Ero alla ricerca di uno stile, ma non guardavo affatto dalle parti di Stendhal, Constant, Mérimée, Morand, Chardonne e altri di cui lei mi dà per discepolo. Sono autori che pratico poco o niente, mentre invece continuo a leggere e rileggere Balzac, Dostoevskij, Meredith o Proust, autori prolissi, abbondanti, frondosi. Mi danno la presenza di un mondo che vive una sua propria vita. Li amo e li frequento, così come frequento un cinema che mi sveli, anche lui, la vita. E quando filmo, cerco di strappare il più possibile alla vita stessa, per arricchire la linearità del mio soggetto. A esso, pura armatura, non penso più molto, rrientre penso ai materiali di cui lo ricopro, che sono i paesaggi in cui colloco la mia storia, gli attori che scelgo per recitarla. La scelta di questi elementi naturali e il modo in cui stringerli nella mia rete, senza alterare le loro forze vive, assorbono la parte preponderante della mia attenzione. Dove pesco i miei soggetti? Li trovo nella mia immaginazione. Ho detto di vedere il cinema come un mezzo, se non per riprodurre, quantomeno per rappresentare, ricreare la vita. Dovrei dunque, secondo ogni logica, trovare questi soggetti nella mia esperienza. Ebbene, non è affatto così: si tratta di soggetti di pura invenzione. Non ho nessuna competenza particolare negli argomenti che tratto, non ricorro ai miei ricordi, né alle mie letture. Per i miei personaggi non ci sono chiavi, né mi servo di cavie. Al contrario dell'autrice di romanzi del mio film Il ginocchio di Claire, io non scopro, ma invento, o meglio non invento neanche, metto insieme e combino alcuni elementi primari, in numero ridotto, come fa un chimico. Ma proporrò l'esempio del musicista, visto che ho concepito i miei Racconti morali come fossero sei variazioni sinfoniche. Come un musicista, vario il motivo iniziale, lo rallento o lo accelero, lo allungo o lo restringo, lo arricchisco o lo depuro. A partire dall'idea di mostrare un uomo sollecitato da una donna proprio nel momento in cui sta per legarsi con un'altra, ho potuto costruire le situazioni, gli intrecci, le soluzioni e perfino i caratteri dei film. Il personaggio principale, per esempio, in un racconto sarà puritano (La mia notte con Maud), in un altro libertino (La collezionista, Il ginocchio di Claire), ora freddo, ora esuberante, ora bilioso, ora sanguigno, ora più giovane del~esue partners, ora più anziano, ora più ingenuo, ora più scaltro. Non dipingo ritratti dal vero: presento, nei ristretti limiti che mi impongo, diversi tipi umani possibili, sia dal lato delle donne che da quello dell'uomo. E il mio lavoro finisce così per limitarsi a una larga operazione combinatoria che ho portato avanti, lo ammetto, senza metodo, ma di cui avrei ben potuto, come certi musicisti dei nostri giorni, affidare la cura a un computer. Quando ho cominciato a girare i miei Racconti morali, pensavo molto inge-
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