22 Sandrine Bonnaire in due scene del film. BibliotecaGino Bianco esistono su una sceneggiatura segni tali da poterla dare a qualcuno e dirgli di girare il film. Non esiste un codice per raccontare nello stesso tempo l'immagine, la parola, la scelta dell'obiettivo, il movimento, la luce, non ci sono segni per questo. Non voglio più scrivere una sceneggiatura. La scrittura filmica comprende tutte le cose che ho f;i.ttoprima: due mesi, tre mesi, cinque mesi di fantasticherie e di ricerche; comprende la ricerca di un certo tipo di attore, professionista o no; comprende i dialoghi, che scrivo sempre al mattino alle cinque; anche se li ho pensati molto prima di girare; .comprende evidentemente le riprese, quest'urgenza, questa febbra di girare, con quell'obiettivo e non con quell'altro, in quel posto e non in un altro, quelle ore del mattino o del pomeriggio, quell'immagine rapida o lenta, fissa o in movimento. Comprende anche il montaggio, dove si realizza la struttura finale, secondo regole che non sono quelle cronologiche, non sono solo la logica o l'impatto cinematografico: lascio che intervengano anche le associazioni, le associazioni di immagini-movimento. Ce n'è una tipica nel film, quando Monà parla con l'hippy e tocca la catena che l'hippy ha al collo e quello· dice: "ho perso la chiave", e poi la domestica Jolande vede la chiave che appartiene a Paolo, il suo innamorato, gli porta la colazione a letto e alla fine, quando lui non è gentile con lei, dice: "Paoloooooo" "Paolooo" e gli accarezza la testa; e poi si vede Monà in giardino che accarezza la statua. Queste sono allo stesso tempo associazioni e montaggio, ma non è al montaggio, è durante le riprese che si deve pensare a questo. Dunque la scrittura filmica comprende tutto questo. È una riflessione sulla struttura del film, ma non è la sceneggiatura. Non si tratta di presunzione, credo davvero che sia una scrittura molto particolare. Ho dedicato questo film a Nathalie Sarraute, che amo e ammiro da più di trent'anni, che è sempre stata per me una fonte di ispirazione per tutta la ricerca che ha sempre fatto in maniera discreta ma sicura, sempre cercando qualcosa che non si può cogliere, di inafferrabile, di ... insaisissable. Il primo titolo del film era Le saisir, perché avrei voluto esprimere l'emozione tra il comportamento e il paesaggio, l'azione per cogliere quella cosa non detta che non sarà mai detta: perché Monà è partita, che cosa pensa, che cosa la spinge ... questo inafferrabile, questo indicibile che diventa il soggetto del film. Nathalie, in un altro campo e magnificamente, in letteratura, ha compiuto su questo tema una ricerca di una ricchezza straordinaria. È uno dei più grandi scrittori francesi, ha ottantaquattro anni, è meravigliosa ... Lei parla di interno-esterno, di luoghi, di spazi, e allafine nel film non c'è più un luogo possibile ... ci sono e infelicità e solitudine senza luogo. Senza tetto. Il film è la storia di qualcuno che non ha casa, è una storia molto triste. Oggi mi ha impressionato un articolo di "Libération" perché diceva: "Si possono raccontare la sofferenza, il dolore, le difficoltà con il piacere di filmare". Se vuole, è un secondo livello, c'è un certo piacere del cinema in questo film. Piacere della tessitura, del movimento, degli istanti che almeno questa piccola donna può cogliere. Ci sono molti riferimenti ai miti dell'infanzia e all'infanzia. C'è un tipo con un cappello rosso che le offre un biscotto. C'è il ragazzo che va a trovare la zia Lidye e quando lei apre la porta e guarda fuori ha un sorriso perché vede la neve. È il sorriso dei bambini: "guarda, ha nevicato!" Ci sono molte cose così nel film, che riguardano le favole, i bambini, i grandi orchi che mangiano i bambini. Quando Monà va al villaggio viene aggredita da uomini travestiti con tralci di vite da mostri, che festeggiano la vendemmia. Ci sono molti riferimenti a immagini che potrebbero dirsi di una memoria poetica collettiva, della nostra immaginazione, della nostra infanzia. Ma non parlo della poesia con la P maiuscola. Non mi interessa. Cerco di catturare gli istanti difficili da esprimere, da dire ... perché da dire non c'è niente: bisogna sentire. Bisogna sentire il pane secco. Il pane secco fa un certo rumore, ma significa: niente soldi, niente cibo, e solitudine. Ho sempre cercato di mostrare o dire o fare suoni abbastanza semplici, ma che si tessono intorno a un soggetto molto complesso e con personaggi secondari tutti dotati di ambiguità e ambivalenza. Ho cercato di incontrarli prima, i personaggi, e qualche volta li ho inventati, altre volte dopo averli incontrati li ho cambiati. Avrei scritto dialoghi che non sarebbero stati verità. Avrei fatto dir loro le cose che avevo scritto. A volte ho rubato delle frasi che mi avevano detto. Si prepara un film, come dicevano i pittori, "sul motivo". Significa andare in un luogo e scegliere dove dipingere. Questo è stato molto importante e ha permesso che il lavoro fosse fatto nella calma ma con una certa tensione. Ero sola, nella prima fase, e questo ha permesso una lunga maturazione dei temi del soggetto, e la lenta meditazione ha permesso che dopo, quando ho avuto una équipe,
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