Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

L'USODELLAPAROLA Natalie Sarraute ICHSTERBE D eh sterbe. Che cos'è? Sono parole tedesche. Significano io muoio. Ma da dove vengono e perché così all'improvviso? Lo saprete, abbiate pazienza. Vengono da lontano, ritornano (nel senso di "mi ritorna alla memoria") dall'inizio del secolo, da una città termale tedesca. Ma, a dire il vero, vengono da molto più lontano. Però non affrettiamoci, e guardiamo più da vicino. Dunque, inizio secolo -nel 1904, per essere precisi - in una camera d'albergo di una città termale tedesca, un uomo morente s'è alzato dritto sul letto. Era un russo. Conoscete il suo nome: Cechov, Anton Cechov. Era uno scrittore di grande fama, ma in questo caso non conta, si può star certi che non ha pensato di tramandarci una celebre frase di moribondo. No, non lui, non era per niente il suo genere. La sua fama non ha qui altra importanza che l'aver consentito che quelle parole non si smarrissero, come _sisarebbero smarrite se fossero state pronunciate da un moribondo qualsiasi. Ma qui la sua importanza finisce. Qualche altra cosa, invece, è importante. Cechov, si sa, era medico. Era tubercolotico ed era andato lì, in quella città termale, per curarsi, ma in realtà, come aveva confidato ai suoi amici con l'ironia che applicava a se stesso, con la feroce modestia e l'umiltà che lo distinguevano, era andato lì per "crepare". "Parto per crepare laggiù", aveva detto. Dunque, era medico e, all'ultimo momento, con la moglie a un lato del letto e un medico tedesco all'altro lato, si è messo dritto, si è seduto e ha detto, non in russo, non nella sua lingua, ma nella lingua dell'altro, in tedesco, ha detto a voce alta e articolando chiaramente "lch sterbe". Ed è ricaduto, morto. Ed ecco che quelle parole pronunciate su quel letto, in quella camera d'albergo, tre quarti di secolo fa, arrivano ... sospinte chi sa da quale vento ... per posarsi qui, piccola brace che annerisce e brucia la pagina bianca ... lch sterbe. Saggio. Modesto. Ragionevole. Sempre così poco esigente. Contento di quel che gli si dà ... E così spoglio, privo di parole ... non ne ha ... questo non somiglia a nulla, non ricorda per niente qualcosa di già raccontato o immaginato ... è ciò, dunque, di cui si dice che mancano le parole per dirlo ... non ci sono più parole, qui... Ma ecco vicinissima, a sua disposizione, pronta per essere utilizzata - insieme con quella borsa e con quegli strumenti - ecco una parola di buona marca tedesca, una parola di cui si serve spesso quel medico tedesco per constatare un decesso, per annunciarlo ai parenti, un verbo solido e forte: sterben ... grazie, lo accetto, anch'io saprò coniugarlo correttamente, saprò servirmene come si deve e applicarlo giudiziosamente a me stesso: Ich sterbe. Io stesso opererò ... non sono forse medico anch'io? ... la trascrizione in parole. Un'operazione che metterà ordine in questo sterminato disordine. L'indicibile sarà detto. L'imBibiiotecaGino Bianco pensabile sarà pensato. Quel che è insensato sarà ricondotto alla ragione. Ich sterbe. Quel che dentro di me fluttua ... oscilla... vacilla ... trema ... palpita ... freme ... si disgrega ... si disfa ... si disintegra ... No, non è questo ... niente di tutto ciò... Che cos'è, allora? Ah, ecco, è qui, si rifugia qui, in queste parole nette, stagne. Prende la loro forma. Con i confini ben tracciati. S'immobilizza. Si fissa. Si calma. Si placa. lch sterbe. Trascinato, travolto, cercando di resistere afferrandomi, avvinghiandomi a quel che emerge là, sul bordo, a quella sporgenza ... pietra, pianta, radice, zolla ... lembo di terra straniera ... di terra ferma: lch sterbe. Nessuno, arrivato lì dove sono io, è riuscito ... ma io, raccogliendo le forze che mi restano, esplodo questo colpo, invio questo segnale, questo segno che chi mi osserva subito riconosce... Ich sterbe... Mi capite? Sono arrivato in fondo ... Sono sul bordo estremo ... Qui dove sono, è il limite ultimo ... Qui è il luogo. lch sterbe. Un segnale. Non un'invocazione di soccorso. Là dove sono nessun soccorso è possibile. Nessun ricorso. Sapete bene come me di che si tratta ... Nessuno meglio di voi sa di che cosa parlo. Ecco perché è a voi che lo dico: lch sterbe. A voi. Nella vostra lingua. Non a lei che è lì, vicino a me, non nella nostra lingua. Non con parole troppo dolci, né con parole attutite, disfatte a furia d'essere state usate, d'essersi rotolate tra gli zampilli del nostro riso, quando ci lasciavamo cadere senza forze ... oh! smettila, ah! muoio ... parole leggere che, col cuore che batte per la troppa vita, lasciavamo scivolare nei nostri mormorii ed effondersi nei nostri sospiri... io muoio. Che dici, amore mio, tu non sai quel che dici, tra noi non esiste "io muoio", c'è solo "noi moriamo" ... ma non può succedere, non a noi, non a me... sai bene che ti sbagli quando vedi tutto nero, quando hai i tuoi momenti di disperazione; e lo sai, lo sappiamo, l'abbiamo notato semr -e, tu e io, che, dopo, tutto si aggiusta ... sì, sì, ti capisco ... ma soprattutto non stancarti, non agitarti così, non ti giova ... non ti fa bene... sì, sì, lo capisco, sì, ti fa male ... sì, è penoso ... ma passerà, vedrai, come tutte le altre crisi ... ma, soprattutto, stenditi di nuovo, non muoverti, sta calmo ... No, non le nostre parole, troppo leggere, troppo molli, non riusciranno mai a superare quel che si spalanca adesso tra noi e si allarga ... un vuoto immenso ... ma delle parole compatte e pesanti, mai attraversate da un fiotto di gaiezza, di voluttà, che nessun polso ha mai fatto pulsare e nessun ansimo ha fatto vacillare ... parole perfettamente lisce e dure come palle basche da pelota e che io gli lancio con tutte le mie forze, le lancio a lui che è un giocatore ben allenato, che sta nel posto giusto e le raccoglie senza esitare proprio là dove devono cadere, nel fondo solidamente intrecciato della sua chistera. Non le nostre parole, ma parole di circostanza, gelide e

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