Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

va: il carattere non avanguardistico (anche nei momenti più ardui) del suo sperimentalismo, la mai smentita opzione per un linguaggio piano e comunicativo, ancorché mai banale o piatto, con un forte tasso di traducibilità; la costante attenzione al magistero dei grandi romanzieri ottocenteschi, confermata dalla esplicita rivisitazione di classici della narrativa, da Ariosto a Nievo aR.L. Stevenson. Alla base di tutto, naturalmente, agisce in Calvino un forte senso delle responsabilità civili e intellettuali che competono allo scrittore: il legame fra creatività fantastica e lucidità razionale non mira ad altro che a stimolare un'appercezione critica della realtà, corroborando la tensione etica individuale nella sperimentazione viva dell'immaginario. E questa è una delle principali ragioni della peculiare, intima politicità che caratterizza l'intera sua opera: aliena come pochealtre (non solo in Italia) da ogni facile rifugio nell'intimismo solipsistico o nello sperimentalismo formale fine a se stesso o magari nella riesumazione dell'antica dottrina del furor poetico (ma un narratore si sa, certi privilegi sono preclusi). Negli ultimi anni Calvino era arrivato, si può dire, ai limiti della narratività. Il lungo scacco sofferto dalla tensione progettuale che animava la sua opera si era tradotto in una severa attitudine alla decifrazione analitica del reale e al calcolo delle combinazioni e delle possibilità che concedeva pochi margini al dispiegarsi della creatività letteraria. Più che una serie di veri e propri racconti, Palomar è una sorta di trascendentale autoritratto per istantanee, l'ultimo capitolo di un'autobiografia intellettuale disseminata nelle pagine di tanti diversi libri, di cui si riconoscono i lineamenti fondamentali nella parabola descritta dalla notevolissima raccolta di saggi Una pietra sopra. Certo, Calvino era consapevole meglio di chiunque altro del silenzio che lo insidiava - tant'è vero che ne aveva dato un'immagine narrativa di non comune efficacia proprio nelle ultime pagine di Palomar. Già ridotto allo stato di puro sguardo indagatore - puro occhio sul mondo, poco più antropomorfo di Qfwfq -il signor Palomar muore nell'istante medesimo in cui l'orizzonte della sua attenzione si restringe fino a coincidere con la sua vita. Mentre, per l'appunto, tutti i personaggi di Calvino avevano conosciuto la propria intima ragion d'essere nel protendersi al di là di se stessi, nell'entrare in contatto e in conflitto con la realtà esterna, volenti o nolenti, e foss'anche per esserne irrimediabilmente sconfitti. BibliotecaGino Bianco Perfino i vuoti siderali e i deserti galattici delle Cosmicomiche evocavano gli orizzonti di una faticosa, ma possibile socialità; anzi, la loro funzione era esattamente quella di esaltare, nella loro esotica stranezza, il valore di una presenza umana che solo rapportandosi agli altri dà senso al proprio esistere, perché è solo nel mondo esterno, nella società e nella storia, che si invera (o si falsifica) la propria moralità. Cosi come, d'altro canto, solo il lievito di un'intenzionalità umana avvertita, risentita e vigile può conferire senso a una realtà vischiosamente neutra e obiettiva, indecifrabilmente labirintica, o forse semplicemente illusoria. Forse, come suppone l'avvilito scrivano Biagio, la foresta di Ombrosa esisteva davvero solo perché ci passasse il fratello con i suoi balzi leggeri di codibugnolo. DISCUSSIONE/BARENGHI Nessuno ora potrà mai dire se al momento della scomparsa Calvino avesse esaurito le proprie risorse di scrittore, e probabilmente è anche ozioso chiederselo. Ma ecco, quello che adesso vorremmo rimanesse impresso nella memoria - accanto a un'opera narrativa che con quella (pur tanto diversa) di Elsa Morante va considerata la più prestigiosa e significativa del dopoguerra - è l'immagine di uno scrittore scorbutico. Scorbutico, come il morto che il signor Palomar si preparava a diventare: insoddisfatto di ciò che è stato, e insofferente all'idea dell'impossibilità di cambiare ancora - perché solo nel continuo rinnovamento riusciva a preservare i principi della propria identità. E mal contento, anche, al pensiero dei cambiamenti che i vivi potrebbero introdurre nella sua vita passata. ELSA MORANTE 1912-1985 15

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