Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

intenderci, dalla crisi politico-ideologica provocata nell'intellettualità di sinistra dal XX congresso del Pcus e dai fatti d'Ungheria) fino alla metà del decennio successivo: la nuova stagione si apre in sostanza con le Cosmicomiche, def 1965. A mezza via fra il progetto della Repubblica di Arborea del barone Cosimo e le evanescenti, bizzarre sagome urbane evocate da Marco Polo, vi sono altre "città" nascoste che si prestano a rappresentare emblematicamente il cambiamento di rotta: le segrete città degli animali (dei vegetali, degli insetti, dei gatti) di cui Marcovaldo indovina le tracce in mezzo all'ostile tumulto della città degli uomini; la città-ghetto del Cottolengo, in cui l'Amerigo Ormea della Giornata di uno scrutatore si interroga su se stesso e sulla propria condizione, misurando la propria incapacità di agire; e anche - perché no? - la "Città aperta", il periodico in cui Calvino sceglie di pubblicare nel 1957 il racconto (mai ripreso in volume) La grande bonaccia delle Antille, che sancisce il suo distacco dal Pci e l'abbandono dell'impegno politico attivo. Questa, appunto, è la differenza fra il primo e il secondo Calvino: la futura "città" alla quale fino a un certo punto aveva creduto possibile avvicinarsi - sia pure come a un orizzonte utopico, ipotetico - si rivela non solo irraggiungibile, ma di fatto sempre più lontana man mano che il tempo passa. A parte questo punto di discontinuità (peraltro rilevantissimo, anche su un piano storico più generale) la concezione della realtà e della letteratura di Calvino non muta, almeno nei suoi termini essenziali. Se nel corso degli anni l'impulso attivistico dell'intellettuale engagé si attenua prima e poi viene meno del tutto, per lasciare spazio a "un'attitudine di perplessità sistematica": se il fervore costruttivo si stempera in un atteggiamento sempre più disincantato e pessimisticoe incline a un sofferto ma distinto relativismo, altri princ1p1 rimangono però ben fermi. La volontà di comprendere, di chiarire, di spiegare i nessi e i rapporti fra le cose; l'abito intellettuale di contrapporre ali' oggettività empirica dell'esistente i valori e i modelli suggeriti dalla ragione, commisurando tenacemente l'essere al dover essere; il rifiuto dell'intimismo e dell'elegia nostalgica e regressiva, in nome di una socialità sempre problematica ma connaturata alla definizione stessa di individuo; la tensione progettuale, che pervade e vivifica anche i momenti di più acuto disagio, e che sempre richiede di esplicarsi (o di interrogarsi) in un ambito squisitamente intersoggettivo. La città, appunto: o BibliotecaGino Bianco la foresta, intesa come metafora dell'intrico di incontri e percorsi possibili - non la casa o la stanza, o la natura vergine. Così, se li barone rampante contiene presagi di un successivo, assorto "riflusso", lo stoico appello alla resistenza all'inferno di Marco Polo riecheggia e ribadisce i motivi di più antiche e solenni dichiarazioni programmatiche. Come negli anni del "Menabò", ciò che qualifica l'intuizione del mondo di Calvino è sempre l'istanza "della non accettazione della situazione data, dello scatto attivo e cosciente, della volontà di contrasto, della ostinazione senza illusioni". Ora, una coerenza non dissimile caratterizza anche in senso più specificamente letterario la variegata produzione narrativa di Calvino, al di là della apparente (e a volte esibita) mutevolezza che l'ha resa celebre. L'archetipo, in sostanza, è quello della fiaba. Un racconto che seleziona il materiale della "storia" in funzione dello svolgimento dell'azione (e non in funzione di una descrizione psicologica o ambientale); un intreccio unidirezionale, progressivo (i flash back esplicativi circa il passato dei protagonisti sono scarsi, mentre non mancano reticenze anche assai notevoli come nel caso della Nuvola di smog), inteso a drammatizzare il farsi di un destino individuale in un confronto più o meno serrato e bruciante con la realtà esterna; un modo di esprimersi asciutto e senza fronzoli, ma anche elegante e duttile, adeguato alle esigenze di una immaginazione vivida e di un attento spirito di osservazione. In altre parole, il resoconto essenziale del tentativo di maturazione e consolidamento di una personalità umana attraverso una serie di avventure o di prove dal forte connotato iniziatico: decisivo è sempre il momento dell'attrito fra un impulso soggettivo - una privazione, un desiderio, un ideale, una moralità - e il mondo circostante - il prossimo, la natura, la storia. All'introspezione psicologica (pur freDISCUSSIONE/BARENGHI quente, e sottile) non sono attribuiti né spazio né prestigio autonomi: l'uomo è ciò che fa, non ciò che è; ciò che egli sceglie o accetta di essere, ciò che diviene e si costruisce in proprio - non un'entità "altra" che lo agisca dal profondo, e meno che mai il risultato meccanico di una serie di condizionamenti. "I romanzi che ci piacerebbe di scrivere o di leggere sono romanzi d'azione, ma non per un residuo di culto vitalistico o energetico: ciò che ci interessa sopra ogni altra cosa sono le prove che l'uomo attraversa e il modo in cui egli le supera. Lo stampo delle favole più remote: il bambino abbandonato nel bosco o il cavaliere che deve superare incontri con belve e incantesimi, resta lo schema insostituibile di tutte le storie umane, resta il disegno dei grandi romanzi esemplari in cui una personalità morale si realizza muovendosi in una natura o in una società spietate''. A questo programma del Midollo del leone Calvino in fondo non ha mai rinunciato. Quanto il lucido moralismo calviniano si distacchi dalle' tante attardate inclinazioni crepuscolari, decadenti, intimiste, piattamente naturalistiche o banalmente patetiche diffuse nella letteratura contemporanea è poi troppo ovvio perché metta conto di insistervi. Vale la pena invece di sottolineare che alla limpida linearità della sintassi narrativa di Calvino corrisponde sempre una scrittura esemplarmente tersa: insieme rigorosa e colloquiale, mai ricercata o ridondante, e sorretta dalle non comuni risorse di un periodare limpidissimo (oltre che di un lessico estremamente preciso, privo di sbavature, e arricchito da una illuministica curiosità per le scienze e i mestieri). Le fiabe che Calvino narra, le sue invenzioni e il suo stile sono animati e innervati dal- . lo spirito razionalistico del conte philosophique: la fantasia non è in lui che uno degli strumenti dell'intelligenza, e nulla ha a che vedere con il gusto dell'immaginazione evasiva o decorativa. Di conseguenza, le Albrecht Diirer, li disegnatore della donna coricata. 13

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==