Linea d'ombra - anno II - n. 12 - novembre 1985

NOVEMBRE198~NUMER012 LIRE5.000 ' rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni PANZIERI / GORDIMER / KUNERT SARRAUTE / ISHERWOOD / LAGERCRANTZ BARBA/ROHMER / VARDA/ GUARNIERI ILNUOVOFUMETTO ITALIANO Biblioteca Gino Bianoo INABB. POSTALEGR. IV-70%-VIAGAFFURIO. 4-20124 MILANO

•~IS(N PRQGEIJD CUITIJRA· , ... . ..,. ................................ ,......, ... .ç.., ~~~.:.,,A,,A,AA .. ~·.A. .A,,A,.A,,A,~,.;;.A.l 9 Con le Letture Nobel in omaggio ltfflldlliii.rn menti _centralidel nuovo linguaga Giulio Natta, con il programma .. ~- . . .. . . _lf gw d'z_mpresa. È un programma "Frontiere. La scienza da mistero ·- - - - - -· - ' - - · - r. - - - - ortanico 1sp1ratodalla ricerca e a linguaggio", si è svolto il Progetto Cultura proieuato su//'inJormazione e sulla formazione. "' o r- > " o " Montedison 1985. Iniziatosi nel 1984 per ce/e- Con 1/ Progetto Cultura, Monted1son _aprealle brare al tempo stesso il creatore del polipropilene nuove ge_nerazwnz z/ propno sapere _sc1entific_oe "" r-- v; e il centenario di fondazione della Edison, il Pro- tecnolog1c_o,integrando/o con I pm prest1g1os1 getto Cultura si è affermato come uno dei mo- contnbut1 della conoscenza contemporanea. DALLERADICIDELLASCIENZA ALL'IMPRENDITORIALITÀ DELLETECNOLOGIE. RENATO DULBECCO Il professor Renato Dulbecco J\a trattato il tema: "Significato della struttura nella biologia". E stata la prima Lettura Nobel del 1984, avvenimento inaugurale del programma "Struttura e Ordine", in omaggio a Giulio Natta. Al centro del suo lavoro scientifico si pone l'individuazione di virus tumorali e il collegamento tra il loro DNA e il materiale ~enetico. Il professor Dulbecco è stato insignito del Premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1975. Milano, 26 sellembre 1984 PAUL JOHN FLORY Il professor Paul John Flory ha tenuto la sua conferenza sul tema: "L'ordine contro il disordine nelle macromolecole". Nella terza e conclusiva Lettura Nobel del 1984, il professor Flory- insegnante alla Stanford University- ha parlato di un affascinante pianeta travagliato da continue battaglie, la "macromolecola", della quale ha studiato il meccanismo e la cinetica della polimerizzazione, la determinazione del peso, le caratteristiche strutturali ecc. Nel 1974 ha ricevuto il Premio Nobel per la chimica. Milano, 21 novembre 1984 RICHARD GREGORY Il professor Richard Gregory ha tenuto la sua lezione sul tema: "Il pianeta cervello". Il professor Gregory, direttore del Brain and Perception Laboratory di Bristol, ha svelato l'affascinante e complesso mondo dei meccanismi percettivi e il loro funzionamento, determinante perché alla base di ogni attività cerebrale. Ha inoltre illustrato come la ricerca sul cervello dell'uomo apra nuove strade al tentativo di riprodurre artificialmente le sue funzioni. Milano, 21 marzo 1985 TOMASO POGGIO Il professorTomaso Poggio ha trattato il tema: "Verso l'intelligenza artificiale". Il professor Tomaso Poggio ha riportato i risultati ottenuti all'Artìficial Intelligence Laboratory del Massachusetts Instìtute of Technology di Boston, dove sì è occupato di riprodurre artificialmente le funzioni fondamentali del cervello. Con i suoi collaboratori infatti ha lavorato per anni alla realizzazione di un progetto affascinante: costruire un apparecchio che permetta alla macchina di vedere e che abbia le stesse caratteristiche e le stesse proprietà dell'occhio umano. Milano, 17 aprile 1985 EMILIO SEGRÉ Il professor Emilio Segré ha trattato il tema: "Mezzo secolo tra atomi e nuclei". Con la lezione tenuta dal professor Segré, ha avuto inizio il ciclo autunnale delle Letture Nobel nel quadro di Progetto Cultura Montedison. Allievo "ufficiale" di Fermi, Emilio Segré nel '37 e nel '40 ottiene artificialmente il "tecnezio"e )'"'astato", i primi due elementi non esistenti in natura. Durante la guerra collabora al progetto Manhattan, e nel '59, per la scoperta dell'antiprotone, riceve il Premio Nobel per la fisica. E la terza volta che Montedison ha avuto il piacere di accogliere tra le sue mura il professor Segré. Milano, 16 seuembre 1985 ILYA PRIGOGINE Il professor llya Prigogine ha trattato il tema: "Irreversibilità e ruolo creativo del tempo". L'idea centrale sulla quale Prigogine ha fondato il suo lavoro scientifico è che le "deviazioni" dell'equilibrio termodinamico di un processo chimico-fisico possono essere fonte di ordine. Il professor Prigogine, nato a Mosca nel 1917, ha ricevuto nel 1977 il Premio Nobel per la chimica per la teoria delle "strutture dispersive". Ha avuto frequenti e proficui rapporti scientifici con la Ricerca Montedison. Milano, 24 ouobre 1984 RICCARDO GIACCONI Il professor Riccardo Giacconi ha tra\tato il tema: "Hubble Space Telescope. L'occhio nel cielo". E stato il primo incontro del programma "Frontiere. La scienza da mistero a linguaggio", nel quadro di Progetto Cultura Montedison. Nella sua lezione il professor Riccardo Giacconi, responsabile scientifico e organizzativo del lancio del satellite artificiale "Hubble", ha descritto e illustrato le caratteristiche, l'utilità scientifica e il rilievo culturale di questa impresa che si configura come il più affascinante e rivoluzionario evento scientifico del 1986. Milano, 14 marzo 1985 STEVEN ROSE Il professor Steven Rose ha affrontato nella sua conferenza il tema: "La chimica della memoria". Il professor Rose, direttore del Brain Research Group presso la Open University, ha svelato gli arcani del sistema cerebrale tracciando la mappa delle ricerche di cui è stato l'artefice e illustrando le nuove prospettive di ricerca nel campo dell'attività cerebrale, attribuendo particolare attenzione alle variazioni biochimiche che avvengono nel cervello in funzione delle modificazioni ambientali e dell'apprendimento. Milano, 28 marzo 1985 BRUNO ROSSI Il professor Bruno Rossi ha tenuto la sua lezione sul tema: "L'enigma dei raggi cosmici". Con questo incontro si è concluso il programma "Frontiere. La scienza da mistero a linguaggio" nel quadro di Progetto Cultura Montedison. Il professor Bruno Rossi ha reso note le sue ricerche sui raggi cosmici. Professore al MIT di Boston e consulente NASA, ha inoltre illustrato due importanti esperimenti da lui stesso ideati che lo portarono alla dimostrazione "diretta" dell'esistenza del "vento di plasma" proveniente dal sole e alla sorprendente scoperta di intense sorgenti celesti di raggi X. Milano, 16 maggio 1985 GEOFFREY WILKINSON Il professor Geoffrey Wilkinson ha trattato il tema: "Idrogeno, metalli e chimica", seconda Lettura Nobel dell'autunno 1985. Geoffrey Wilkinson è professore di chimica inorsanica dal 1956 all'Imperia! College di Londra ed è membro d1 alcune tra le più prestigiose accademie e istituzioni scientifiche del mondo. Il suo cammino nella scienza è stato coronato, nel 1973, con l'assegnazione del Premio Nobel per i contributi dati alle ricerche sui composti a "sandwich", sui composti metallorganici e sugli isotopi radioattivi. Milano, 24 sel/embre /985 Il Progetto Cultura Montedison si è svolto sotto l'alto patrocinio de/l'Accademia Nazionale dei Lincei. fl monTEDISOn BibliotecaGino Bianco

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Per questo, se qualche volta siamo riusciti a farvi attraversare l'Europa o anche solo la città in modo confortevole, pensate anche al nostro lavoro. . ................ . . ................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .................. . ................ . . ................ . . ................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................ . . ................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .................. . ................ . . ................ . . ................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................ . . ................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................ . . ................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 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EMPORIO~ARMANI Biblioteca Gino Bianco

Direi/ore Goffredo Fofi Gruppo redazionale Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Alfonso Berardinelli, Gianfranco Benin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Luca Clerici, Pino Corrias, Stefano De Matteis, Bruno Falcetto, Piergiorgio Giacché, Filippo La Porta, Claudio Lolli, Maria Maderna, Danilo Manera, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Gianandrea Piccioli, Claudio Piersanti, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Walter Siti, Paola Splendore, Giorgio van Straten, Gianni Volpi. Direzione editoriale Lia Sacerdote Progetto Grafico Andrea Rauch/Graphiti Ricerche fotografiche Fulvia Farassino Hanno inoltre collaborato a questo numero: Sandro Avanzo, Marcella Bassi, Romano Bilenchi, Paola Candiani, Anna Chiarloni, Paola Costa, Mauro Gaffuri, Enrico Ghezzi, Giovanni Giudici, Pilin Hutter, Stefano Moretti, Grazia Neri, Laura Novati, Mariolina Vatta, Francesca Zannese e l'ufficio stampa della Einaudi, Garzanti, Ubulibri, la libreria Feltrinelli di via Manzoni (Milano). Editore Media Edizioni (staff editoriale: Edoardo Fleischner, Lia Sacerdote) Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Telefono 02/2711209-273891 Pubblicità Media Edizioni Abbonamenti Paola Barchi Composizione e montaggi Monica Ariazzi Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Giulio Carcano, 32 - Milano Telefono 02/8438141-2-3 Distribuzione nelle librerie POE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (Ml) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni Iscrizione al tribunale di Milano in data 5.2.1983 numero 55 Direttore responsabile Severino Cesari Sped. Abb. Post. Gruppo IV /700/o Numero 11 - lire 5.000 Abbonamenti Abbonamento annuale a sei numeri: ITALIA: L. 30.000 da versare sul c/c p. n. 25871203 intestato a "Linea d'Ombra" o a mezzo ass. banc. intestato a Media Edizioni. EUROPA: L. 50.000 - ALTRI PAESI: L. 60.000 a mezzo ass. banc. intestato a Media Edizioni. I 111anoscri11inon vengono restituiti. Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. BibliotecaGino Bianco LINEA D'OMBRA anno II novembre 1985 numero 12 Sommario 16 26 28 57 59 Nathalie Sarraute O/of Lagercrantz Christopher lsherwood Giovanni Commare Silvio Guarnieri POESIA 52 Sor/ey Maclean BOTTEGA 20 24 36 Agnès Varda Eric Rohmer Eugenio Barba DISCUSSIONE Il 12 47 55 64 76 Francesco Ciafaloni Mario Barenghi Antonello Negri Gunter Kunert Raniero Panzieri Renato So/mi L'uso della parola: Ish sterbe; Non capisco Caccia all'anitra Prendere o lasciare; Visita ad Anselm Oakes Sud. Svaghi senili Da "Poesie a Eimhir" Cinescrittura a cura di Paola di Montereale Lettera a un critico (a proposito dei "Racconti morali") Un pugno di terra a cura di Piergiorgio Giacché Ricordo di Calvino Sguardo d'insieme Pittore di bar e marinai Edward Burra tra nuova oggettività e pop art In margine alla situazione della nazione tedesca Raniero Panzieri e la casa editrice Einaudi Lettere e documenti 1959-63 a cura di Luca Baranelli Gli anni di Panzieri SCHEDE . 85 STORIE - Daniele Del Giudice (L. ç!erici), Sten Nadolny (M. Maderna), Marilynne Robinson, Mark Helprin (R. Ceserani). SAGGI - Jurij M. Lotman (G. Turchetta), "Storie su storie" (M. Barenghi), "Scienza narrazione e tempo" (A. Tarpino). INCHIESTA 79 Franco Serra (a cura di) IMMAGINI Ultime leve. Un questionario agli autori di fumetti: François Berthoud, Pablo Echaurren, Elfo, Massimo Giacon, Danilo Maramotti, Lorenzo Mattotti L'immagine di copertina è di Marie Hélène Bonasso 95 Libri da leggere 96 Gli autori di questo numero

ILGESTOESSENZIALE Nadine Gordimer r:, uando, all'età di nove o dieci anni, cominciai a seri- ~ vere, lo feci con quella che, come dovevo capire in seguito, era la sola vera innocenza: un atto privo di responsabilità. Ero sola. Non sapevo come la mia poesia o la mia storia sgorgassero da me. Non erano dirette a nessuno, non erano lette da nessuno. La responsabilità è ciò che ci attende oltre l'Eden della creatività. Non avrei mai immaginato che il più solitario e il più profondamente incantevole dei segreti - la spinta a costruire con le parole - sarebbe diventata una vocazione della quale io e quelli come me saremmo stati chiamati a render conto dal mondo e da una costante compagna, la coscienziosa autoconsapevolezza. L'atto creativo non è puro. La storia lo insegna. L'ideologia lo chiede. La società lo esige. Lo scrittore perde il suo Eden, scrive per essere letto, e infine capisce che deve dar conto di ciò che fa. Lo scrittore viene ritenuto responsabile, e questa frase di vago sapore legale è sinistramente accurata; poiché lo scrittore non deve solo assumersi la responsabilità delle varie interpretazioni del significato del suo lavoro, ma, ancor prima di cominciare, viene "fermato" dalle pressioni esercitate su di lui da moralità diverse: artistica, linguistica, ideologica, nazionale, politica e religiosa. Apprende che l'atto c,reativo non è puro nel momento stesso in cui si va formando nel suo cervello. Equesto atto comporta già una responsabilità congenita per qualcosa che ha preceduto conoscenza e volontà: per la classe, definita in termini genetici, ambientali, sociali ed economici nel momento in cui i suoi genitori lo hanno messo al mondo. Roland Barthes, ne L'anno zero della scrittura, ha detto che la lingua è "un corpus di regole e abitudini comuni a tutti gli scrittori di un dato periodo". Ha scritto anche che l' "impresa" di uno scrittore - il suo lavoro - è il suo "gesto essenziale come essere sociale". Tra queste due affermazioni ho trovato il mio argomento, che ne costituisce il momento di tensione e di legame: la responsabilità dello scrittore. La lingua, in quanto trasformazione di pensiero nella parola scritta, non è un corpus, bensì il corpus comune a tutti gli scrittori. Dal corpus della lingua, da quella corporazione condivisa con gli altri scrittori, lo scrittore modella il suo lavoro, quello che poi, nell'atto di essere modellato, diventa il suo "gesto essenziale come essere sociale". Creato nel crogiolo comune della lingua, quel gesto essenziale è individuale, ma nel compierlo lo scrittore si stacca dalla collettività del corpus: entra in ciò che è condiviso da tutta la società, nel mondo di altri esseri che non sono scrittori. Egli e gli altri scrittori si ritrovano immediatamente isolati l'uno dall'altro dai diversi concetti che le singole società hanno su ciò che costituisce il gesto essenziale dello scrittore come essere sociale. Se si confronta ciò che ci si aspetta da loro, gli scrittori spesso hanno ben poco in comune. Nessuna responsabilità derivante dalla status di scrittore come essere sociale potrebbe imporre a Saul Bellow, Kurt Vonnegut, Susan Sontag, ToComizio a Soweto (foto di Sarah Webb Farre/1/Sygma/ag. Grazia Neri). BibliotecaGino Bianco ni Morrison o John Berger di scrivere su un argomento che potrebbe ridurli al silenzio con la censura, costringerli all'esilio o farli finire in prigione. Ma nell'Unione Sovietica, in Sudafrica, in Iran, in Vietnam, a Taiwan, in alcuni paesi del- !' America Latina e in altri paesi questo è proprio il genere di richiesta imposta dalla responsabilità del significato sociale dell'essere scrittore: una duplice richiesta, in primo luogo da parte degli oppressi che gli chiedono di farsi loro portavoce; e in secondo luogo, da parte dello stato che commina una punizione allo scrittore proprio per aver assunto la funzione di portavoce. Viceversa, è inconcepibile che una Molly Keane, o qualsiasi altro rappresentante della scuola gotica di recente scoperta da acuti critici e lettori negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, possano venir interpretati o presi sul serio in termini di quel "gesto essenziale come essere sociale" richiesto nell'Unione Sovietica o in Sudafrica, anche se vi risiedessero. E, se questo fosse il caso, verrebbero tenuti in considerazione ancor minore da critici e lettori acuti negli Stati Uniti o in Gran Bretagna: anche chi vive al riparo dagli arresti nel cuore della notte e dalle celle d'isolamento che sono il tetro condominio dell'oriente e dell'occidente, esige qualcosa dallo scrittore. Per costoro, il gesto essenziale dello scrittore come essere sociale consiste nel correre rischi che quegli stessi critici e lettori forse non correrebbero. Questa esigenza provoca strane e spiacevoli storture nelle personalità di alcuni di questi individui che vivono al sicuro. Qualsiasi scrittore di un paese in rivolta potrà darmi ragione. All'estero, spesso gli intervistatori ti guardano delusi: lei è qui, e non in prigione nel suo paese. E visto che non è in cella ... come mai non c'è? Ah ... ciò significa forse che non ha scritto il libro che avrebbe dovuto scrivere? Vi immaginate questo genere di inquisizione moralisticheggiante rivolto a John Updike per non aver scelto come argomento dei suoi libri il trauma dell'America durante la guerra in Vietnam? 1 E poi c'è un'altra punta di sospetto. li recensore cli Something Out There, una mia recente raccolta di racconti, ha scritto sul "Daily Telegraph" che senza dubbio io esageravo: se il mio paese era davvero un posto in cui accadevano cose del genere, come mai io potevo descriverle? E poi c'è la distorsione autoindotta, che nasce dalla proiezione dei sogni che chi sta a casa fa sullo scrittore di provenienza esotica: il giornalista che di uno scrittore che sa che, nel suo paese, la penna non è certo un'arma più potente della spada, fa un finto eroe. l!l na cosa è chiara: viviamo in un periodo in cui pochi possono sostenere il valore assoluto di uno scrittore senza inserirlo in un contesto di responsabilità. L'esilio come stile del genio non esiste più. Al posto di Joyce abbiamo dei frammenti di opere che appaiono nell' lndex on Censorship. Sono i brandelli delle letterature soppresse, tradotti da una babele di lingue; sono le grida soffocate dei veri esiliati, non di coloro che hanno rifiutato il loro paese, ma di chi ne è

6 APERTURA/GORDIMER stato scacciato, scacciato dalla sua lingua, la sua cultura, la sua società. Al posto di Joyce abbiamo due tra i migliori scrittori contemporanei, Czeslaw Milosz e Milan Kundera; ma entrambi si considerano sensibilità amputate, non liberi in Polonia e in Cecoslovacchia nel modo in cui Joyce era libero in Irlanda, intero, intatto: in giro per il mondo ma pur sempre in possesso della lingua e della cultura del suo paese. Al posto di Joyce, si potrebbe sostenere, abbiamo Borges; ma nella sua vecchiaia, e a partire da ciò che ora, nella sua cecità, vede come non vedeva quando aveva la vista, da anni ormai parla con nostalgia di un desiderio di ricalcare le orme lasciate dalle vite comuni anziché le tracce di forze arcane di cui quelle vite sono una rozza espressione pittorica. Nonostante abbia respinto ogni ideologia (conquistandosi nel mondo l'inevitabile, e forse accurata, collocazione nella destra) anche Borges sente, su quelle sue palpebre abbassate, le responsabilità che, nel nostro tempo, così insistentemente insidiano gli scrittori. Che diritto ha la società di accollare la responsabilità agli scrittori; e che diritto hanno gli scrittori di opporre resistenza? Voglio esaminare non ciò che ci viene proibito dalla censura - lo so anche troppo bene - bensì ciò che ci viene richiesto. Voglio prendere in esame ciò che la dinamica della coscienza collettiva si aspetta da noi e la volontà di essere liberi in vari luoghi e circostanze: e se sia il caso, da parte nostra, di rispondere positivamente e, se così deve essere, come lo si può fare. me! momento stesso in cui cesserò di essere qualcosa di più di uno scrittore, smetterò di scrivere". È stato uno dei grandi del nostro tempo, Camus, a dire questo. Come scrittore aveva accettato, almeno in teoria, la base dell'esigenza più estrema e più pressante del nostro tempo. La torre d'avorio era stata finalmente assalita, e lo scrittore, lungi dall'emergere con una bandiera bianca, ne era uscito con un manifesto spiegato e le braccia pronte ad allacciarsi con quelle del popolo. E questa unione non era fatta solo perché lo scrittore fungesse da storiografo; il valore maggiore, come noterete, veniva attribuito a ciò che stava al di là dello "scrittore": essere solo uno scrittore significava porre fine alla giustificazione dell'esistenza stessa dello scrittore. Sebbene l'aforisma, nella sua eleganza tipicamente francese, dia l'impressione di fissare in forma conclusiva tutti i suoi possibili significati, in effetti non lo fa. La decisione di Camus è al tempo stesso oscura e rivelata. Non si è semplicemente limitato a raffrontare il suo valore esistenziale di scrittore e il suo valore di altre funzioni come uomo tra gli uomini, per decidere poi in favore dell'uomo; la scala di valori è stata stabilita da un'esigenza al di fuori di lui, dalla situazione del mondo in cui viveva. Camus ha, di fatto, accettato queste condizioni, che stabilivano come la responsabilità maggiore fosse verso la società e non verso l'arte. La situazione in cui Camus è nato, prima ancora di essere proiettata in una guerra mondiale, era quella di uno scritBi bi iOÌ8CaGino Bianco tore immerso nel conflitto della decolonizzazione del mondo occidentale - la questione morale della razza e del potere che, insieme alla scoperta di quello che è il potere ultimo e satanico dell'auto-annullamento umano, sarà l'elemento che caratterizzerà il ventesimo secolo. Ma le esigenze che questo imponeva su di lui e l'imperativo morale da esso nati sono quelli di uno scrittore che vive tra gente - o tra quegli strati della gente contraddistinti dalla razza, dal colore o dalla religione - che è oggetto di discriminazione o di repressione. Che lo scrittore stesso materialmente appartenga o no agli oppressi rende solo più o meno "naturale" la sua responsabilità extraletteraria, ma non altera sensibilmente il problema di conflitto d'integrità. Da lealtà è un'emozione; l'integrità è una convinzione alla quale si giunge grazie ai valori morali. Per cui non parlerò qui di lealtà ma di integrità, ben sapendo che il diritto della società di esigere qualcosa dallo scrittore è pari all'impegno che lo scrittore ha verso la sua visione artistica. li conflitto è tra le richieste della società e il modo in cui a esse si dovrebbe rispondere. In questo conflitto, il momento più vicino a una riconciliazione è stato raggiunto, a mio avviso, da alcuni scrittori neri del mio paese, il Sudafrica. Non si può certamente affermare che si sia verificato nei due massimi scrittori africani al di fuori del Sudafrica, Chinua Achebe e Wole Soyinka. Entrambi sono diventati "qualcosa di più di scrittori" di fronte alla guerra civile del loro paese - la Nigeria - ma questa esigenza non ha assolutamente sviluppato la loro creatività. Al contrario, in entrambi la forza creativa è stata sacrificata per qualche anno alle esigenze dell'attivismo, che nel caso di Soyinka hanno comportato l'imprigionamento. Lo stesso si può dire a proposito di Ernesto Cardenal. Ma è per il fatto d'essere "più che uno scrittore" che molti neri e nere del Sudafrica cominciano a scrivere. Tutti gli ostacoli e i motivi di diffidenza - mancanza d'istruzione, di una tradizione di espressione letteraria, perfino la possibilità di assumere l'abitudine quotidiana della lettura, da cui scaturiscono le doti di uno scrittore - vengono rimossi dall'imperiosa necessità di dare espressione a una maggioranza non silenziosa, ma che non ha fruito dell'eloquenza di una parola scritta che testimoniasse le sue iniziative, la sua fierezza e le sue pur mutevoli collere contro la sofferenza. Per questi scrittori non c'è conflitto fra esigenze interiori ed esigenze esterne. Per il fatto stesso di scrivere sono nello stesso tempo attivisti politici in senso concreto: insegnano, fanno proseliti, organizzano. Quando sono incarcerati senza processo, può darsi che questo avvenga per ciò che hanno scritto, ma quando vengono processati e giudicati colpevoli di reati d'opinione, ciò si deve a ciò che hanno fatto in quanto "più che scrittori". "Africa, mio inizio ... Africa, mia fine" - queste parole del poema epico scritto da Ngoapele Madingoane rispecchiano questa sintesi di creatività e responsabilità sociale: ciò che sprona l'autore, e il modo in cui lo sprona, sono tutt'uno con le esi-

genze della sua società. Avulso da queste esigenze, Madingoane non sarebbe un poeta. · Nel suo saggio L'arte è necessaria? il filosofo marxista Ernst Fischer precorre la mia interpretazione di questa sintesi affermando che "l'artista che apparteneva a una società coerente [ qui si legga: il Sudafrica prima della conquista bianca ] e a una classe che non era ancora un ostacolo al progresso [ qui si legga: una classe non ancora contagiata dalle aspirazioni della borghesia bianca ] non sentiva sminuita la sua libertà creativa se gli veniva prescritta una certa gamma di soggetti, perché questi soggetti erano imposti solitamente da tendenze e tradizioni profondamente radicate nel popolo". Va da sé che un'affermazione del genere può fornire a un governo un sinistro pretesto per invocare certe tendenze e tradizioni a sostegno del suo proposito di proscrivere i temi congeniali agli scrittori; se però la si applica agli scrittori neri del Sudafrica, la storia testimonia della sua verità. Per più di trecento anni la tendenza e la tradizione degli scrittori neri del Sudafrica è stata di affrancarsi dalla dominazione dei bianchi. D'arte è dalla parte degli oppressi. Si rifletta bene prima . di rabbrividire all'enunciazione di questo semplicistico principio e alla sua definizione eretica della libertà artistica. Infatti, se l'arte è libertà spirituale, come può esistere negli oppressori? Del fatto che cessi di esistere ci sono prove. Quale scrittore di qualsiasi valore letterario difende il fascismo, il totalitarismo, il razzismo in un tempo in cui questi mali sono ancora pandemici? Ezra Pound è morto. In Polonia, dove sono i poeti che cantano l'epopea di coloro che hanno schiacciato Solidarnosc? In Sudafrica, dove sono gli scrittori che producono brillanti apologie dell'apartheid? Rimane difficile recidere il legame fra coloro per i quali scrivere è un'attività rivoluzionaria, non diversa e anzi concomitante con la direzione di un sindacato con precisi orientamenti politici o con la fabbricazione di un passaporto falso per un compagno di fede in fuga, e coloro che interpretano la richiesta, loro rivolta dalla società di essere "più che uno scrittore" come un obiettivo che si possa ancora conseguire per la natura stessa della loro attività di scrittori. La possibilità che questa richiesta possa essere soddisfatta dallo scrivere in sé dipende dalla società nell'ambito della quale lo scrittore opera. Anche il fatto di scrivere e "solo" scrivere può significare "essere più che uno scrittore" per uno come Milan Kundera, il quale continua a scrivere ciò che vede e conosce dall'interno della sua situazione - il suo paese sotto la repressione - finché il divieto di pubblicazione dei suoi libri io spoglia dei suo "gesto essenziale", quello appunto di essere scrittore. Come uno dei suoi personaggi, per vivere egli deve lavare finestre o vendere biglietti al botteghino di un cinema. È questo, ironicamente, ciò che significherebbe per lui essere "più che uno scrittore" se avesse scelto di restare nel suo paese: una sorte che non mi sembra che Camus abbia preso in considerazione. BibliotecaGino Bianco APERTURA/GORDIMER Ci sono sudafricani che si sono trovati nella stessa situazione - per esempio il poeta Don Mattera, al quale per sette anni è stato impedito di scrivere, pubblicare e perfino leggere in pubblico le sue opere. Ma in un paese dove la maggioranza è totalmente oppressa, come il Sudafrica, e dove nondimeno la letteratura è oppressa solo per metà perché gran parte della maggioranza nera viene mantenuta in uno stato di semi-analfabetismo e non può essere influenzata dai libri, per uno scrittore c'è soltanto la possibilità di essere "solo" scrittore in termini di attività, eppure "più che uno scrittore" nel soddisfare le esigenze della sua società. Per lui è stata escogitata una classificazione onorevole. In quanto "lavoratore della cultura" nella lotta di razza e di classe può essere considerato un militante, anche se non dimostra in piazza sfidando i gas lacrimogeni e le pallottole. In questo contesto, molto prima che il termine "lavoratore della cultura" fosse attinto dal lessico di altre rivoluzioni, gli scrittori neri dovettero accettare la responsabilità sociale che i loro;colleghi bianchi non avevano: quella di essere i soli storiéi degli eventi fra la loro gente. H.I.E. Dhlomo, Solomon T. Plaaje e Thomas Mofolo hanno creato personaggi che davano vita e custodivano per il futuro avvenimenti che gli storici bianchi non avevano registrato o avevano registrato solo dal punto di vista della conquista bianca 2 • Da questo punto di partenza è venuta una logica intensificazione delle esigenze di responsabilità sociale, via via che col susseguirsi dei decenni le discriminazioni e l'oppressione si concretavano in leggi e istituzioni, e la resistenza diventava lotta di liberazione. Questo processo giunse al culmine durante !'in.surrezione nera del 1976, chiamando a-raccolta poeti e prosatori in un turbinare di eventi non ancora studiati o esplorati a fondo dagli scrittori. L'insurrezione cominciò come rivolta dei giovani e dette agli scrittori una nuova consapevolezza - audace, incantatoria, medianicamente spericolata. Pose loro, inoltre, nupve richieste nel gesto essenziale che li legava a un popolo che si levava in piedi prima dell'alba - venature di libertà e minaccia di morte. Le emozioni personali erano inevitabilmente messe al bando da attivisti politici che non avevano tempo per esse; agli scrittori neri si chiedeva di dimostrare la loro negritudine come condizione rivoluzionaria conformandosi nelle loro opere a un'ortodossia non scritta d'interpretazione e di rappresentazione. Metto l'accento su "non scritta" perché non c'era una Unione degli Scrittori da cui si potesse essere espulsi. Ma c'era un confluire di leaders politici, intellettuali e giovani di nuovo tipo, alacri e attivi tanto da spodestare gli altri con la loro audacia fisica e mentale, pronti a censurare un libro di versi o un'opera in prosa se venivano giudicati irrilevanti per la creazione formale dell'immagine di un popolo che era anonimamente, spesso spontaneamente eroico. Certi scrittori neri miei amici hanno sostenuto che questa "imposizione" dell'ortodossia è un 'interpretazione dei bianchi; che l'impulso a escludere la lanterna della verità artistica che rivela i valori umani attraverso le ambiguità umane e vede solo nella fiamma che si leva dalle automobili in7

8 APERTURA/GORDIMER cendiate i tratti forti e calcati che delineano gli eroi veniva dal di dentro. Per conquistare la sua libertà lo scrittore deve rinunciare alla sua libertà. Che l'impulso venisse dall'interno, dall'esterno o da entrambe le parti, per lo scrittore nero sudafricano divenne un imperativo categorico tentare quella via di salvezza. E tale rimane; ma negli anni Ottanta molti scrittori neri di valore sono entrati in conflitto con la richiesta dall'esterno - la responsabilità come ortodossia - e hanno cominciato a far valere il diritto a una propria rappresentazione interiore del gesto essenziale per cui sono parte della lotta dei neri.3 La responsabilità rivoluzionaria dello scrittore può essere da lui enunciata come la scoperta, nelle proprie parole, dello spirito rivoluzionario che assicura per il presente - e per il futuro postrivoluzionario - la salvezza di quella nobiltà che gli uomini e le donne normali possono trovare soltanto fra i loro dubbi, le loro colpevolezze, i loro difetti: il loro coraggio-nonostante-tutto. Verso chi sono responsabili gli scrittori sudafricani se non lo sono per la situazione storica ed esistenziale dei neri, e se sono alienati dalla situazione loro propria, la situazione storica ed esistenziale dei bianchi? Solo una parte dei neri ha richieste da porre agli scrittori bianchi - quell'allineamento con i radicali neri che garantisce integrità ai bianchi che si dichiarano a favore della lotta dei neri per la libertà. Appartenere a questo gruppo di scrittori significa in primo luogo vedersi assegnare una responsabilità politica se non una vera e propria ortodossia: il compito dello scrittore bianco come "lavoratore della cultura" è di elevare la coscienza dei bianchi che, a differenza di lui, non si sono risvegliati. È una responsabilità al tempo stesso minore, rispetto a quella di compositore di inni di lotta assegnata allo scrittore nero, e gravosa se si confrontano gli onori e le calde accoglienze che i neri tributano allo scrittore nero e la taccia di traditore o, nel migliore dei casi, il gelo dell'indifferenza cui lo scrittore bianco è esposto da parte dell'establishment bianco. Per una fortunata ironia, tuttavia, è una responsabilità che lo scrittore bianco ha già assunto su di sé se l'altra responsabilità - quella verso la sua integrità creativa - lo induce allo scrupolo di scrivere quella che egli sa essere la verità, che ai bianchi piaccia udirla o no, perché la maggioranza dei suoi lettori è bianca. Egli esercita una certa influenza sui bianchi, benché non sul governo dominato dai bianchi; può influenzare quegli individui che già confusamente riacquistano coscienza dopo l'abbaglio del potere, e quelli che acquistano coraggio leggendo l'aperta espressione della loro ribellione repressa. Dubito che lo scrittore bianco, anche trattando gli stessi temi dei neri, si renda socialmente molto utile ispirando coraggio ai neri, e dubito che di questo ci sia bisogno. Condividere la vita dei ghetti neri è il primo requisito che manca allo scrittore bianco nella misura in cui vale quella visione populista. Ma gli scrittori neri condividono coi bianchi lo stesso genere di influenza sui bianchi che li leggono, e così categorie che lo stato vorrebbe tenere separate si mescolano grazie alla letteratura - un imprevisto "gesto essenziale" di scrittori consapevoli della loro responsabilità sociale in un paese diviso. BibliotecaGino Bianco Lo scrittore bianco che ha dichiarato la propria responsabilità verso il popolo oppresso non è tenuto a essere, da questo popolo, "più che uno scrittore", perché non si scorge nella sua posizione storica un fattore che lo renda essenziale per la lotta dei neri. Alcuni scrittori hanno però contestato questa definizione accollandosi esattamente le stesse responsabilità rivoluzionarie di scrittori neri come Alex la Guma, Dennis Brutus e Mongane Serote, i quali non fanno distinzione fra i compiti dell'attività clandestina e lo scrivere racconti o poesie. Come Brutus, gli scrittori bianchi Breyten Breytenbach e Jeremy Cronin sono stati processati e imprigionati per aver riconosciuto e accettato la necessità di essere "più che uno scrittore". La loro interpretazione della responsabilità di uno scrittore, nel loro paese e nella loro situazione, rimane una sfida, in particolare nei confronti di coloro che dissentono dalla loro attività pur condividendo con essi la politica di opposizione alla repressione. Non c'è autorità morale pari a quella che conferisce il sacrificio. In Sudafrica la torre d'avorio viene sgretolata ogni volta che la casa di un nero è demolita per far posto alla casa di un bianco. Eppure ci sono posizioni intermedie fra la torre d'avorio sgretolata e il carcere di massima sicurezza. Colui che vede la propria responsabilità nell'essere "solo uno scrittore" deve sempre decidere se ciò significa che egli può compiere il suo gesto essenziale verso la società solo confezionando e riducendo la sua creatività alle dimensioni di un realismo sociale che coloro che lo libereranno dalla sua situazione hanno il potere di chiedergli, o se può essere in grado di farlo, con un'opera che il liberal occidentale George Steiner definisce, nella sua recensione del libro Squartamento di E.M. Cioran, "scrupolosamente argomentata, non declamata ... informata, in ogni nodo e articolazione propositivi, a un giusto senso della natura complessa e contraddittoria del1'evidenza storica". Il grande mentore degli scrittori rivoluzionari russi del XIX secolo, Belinskij, avverte: "Non preoccuparti dell'incarnarsi delle idee. Se sei un poeta, le tue opere le conterranno a tua insaputa - saranno morali e nazionali al tempo stesso se seguirai liberamente la tua ispirazione". Octavio Paz, parlando dal Messico dei bisogni del Terzo Mondo, scorge una fondamentale funzione di critico ~ociale per lo scrittore che è "solo uno scrittore". È una responsabilità che risale alla fonte: il corpus della lingua da cui ha origine lo scrittore. "La critica sociale comincia con la grammatica e col ripristino dei significati" .4 Fu questa la responsabilità che si assunsero, nell'era post-nazista, Heinrich Boli e Giinter Grass, e che attualmente viene assolta dagli scrittori sudafricani, bianchi e neri, quando essi mettono a nudo il vero significato del lessico di eufemismi razzisti del governo sudafricano, termini come "sviluppo separato", "reinsediamento", "stati nazionali" e la grammatica di una legislazione razzista, con camere segregate per i bianchi, i cosiddetti coloureds e gli indiani, e nessuna rappresentanza di alcun genere per la maggioranza dei sudafricani, quelli classificati come neri. Se lo scrittore accoglie la richiesta di realismo sociale che gli perviene dall'esterno, distorcerà, paradossalmente, pro-

prio la sua capacità di contribuire alla creazione di una nuova società? Se accetta l'altra responsabilità, autoimposta, in quale misura potrà incidere nelle necessità immediate della sua società? Gli affamati troveranno una rivelazione nelle idee espresse nelle sue opere "a sua insaputa"? L'unica certezza, nel Sudafrica visto come specifica situazione storica, è che non c'è modo di sottrarsi a una di queste due scelte. All'esterno c'è una cultura in sterile declino, le cui realizzazioni culminano nelle file di lavandini stagnati installati nel veld per la gente "reinsediata" con la forza. Bianco o nero che uno scrittore sia, in Sudafrica il gesto essenziale con cui egli entra nella fratellanza degli uomini - che è la sola definizione della società che abbia validità permanente - è un gesto rivoluzionario. ~ io ha mai espresso un'opinione? ... Credo che la gran- l.:.iil de arte sia impersonale ... non voglio né amore né odio, né pietà né collera. L'imparzialità della descrizione salirebbe allora al livello della maestà della legge". (Flaubert). Passò quasi un secolo prima che gli scrittori del nuuveuu roman tentassero di assurgere a questo genere di maestà, attingendo da un altro mezzo espressivo il modello della natura morta. L'opera aspirava a essere l'oggetto-in-sé, benché composto di elementi - parole, immagini - che non si possono mai sollevare al di sopra della "parzialità" di innumerevoli connotazioni. Gli scrittori si allontanarono il più possibile dalle esigenze della società. Ci avevano messo tanto impegno che la loro visione rimase fissata sul segno tracciato sulla parete da Virginia Woolf - e come fine, non come inizio. Eppure sembra che questo antimovimento sia stato, dopo tutto, una variante negativa di una sorta di responsabilità sociale che alcuni scrittori hanno assunto per lo meno dall'inizio del moderno movimento: trasformare il mondo mediante lo stile. Questa era ed è una via che non può valere quella del gesto essenziale dello scrittore in paesi come il Sudafrica e il Nicaragua, ma ha avuto le sue possibilità e a volte dimostra la sua validità laddove la compiacenza, l'indifferenza, l'accidia, e non il conflitto, minacciano lo spirito umano. Trasformare il mondo mediante lo stile fu il gesto essenziale iconoclasta sperimentato dai simbolisti e dai dadaisti, ma la trasformazione sociale (nel foggiare una nuova consapevolezza) cui essi poterono contribuire spezzando le vecchie forme, quale che fosse, fu orribilmente obliterata da mezzi differenti: l'Europa, l'Estremo, il Medio e il Vicino Oriente, l'Asia, l'America Latina e l'Africa sconvolti dalle guerre; milioni di esseri umani ridotti a vagabondare, privi perfino di un tetto. I successori dei simbolisti e dei dadaisti, in quella che Susan Sontag definisce "la rivoluzione culturale che rifiuta di essere politica", hanno nelle loro file i l0ro "avventurieri spirituali, paria sociali decisi a sradicarsi ... non per essere moralmente utili alla comunità" - il gesto essenziale rifiutato da Cdi ne e da Kerouac.s La responsabilità si spinge I ut ta, ia lino al manifesto, e vanta i "veggenti" di questa rivoluzione. Attraverso una trasformazione per opera dello stile - la paBibiiotecaGino Bianco APERTURA/GORDIMER rola laconica spersonalizzata quasi al punto di diventare Verbo - Samuel Beckett assume come proprio gesto essenziale una responsabilità volta al destino umano e non a una qualsiasi cellula locale di umanità. Questa è una presunzione da messaggero degli dei piuttosto che da lavoratore della cultura. È uno sradicarsi da ciò che è temporale, ma anche una enunciazione definitiva reclamata dal temporale. Beckett è lo scrittore più libero del mondo o è il più responsabile di tutti? Anche Kafka era un veggente, uno che cercava di trasformare la coscienza mediante lo stile e che rivolgeva il suo ge-· sto essenziale al destino umano piuttosto che alla zolla d'Europa di quel destino cui egli apparteneva. Ma non era consapevole del suo disperato segnale. Riteneva che quello di scrivere fosse un atto di distacco che trasferiva gli scrittori "con tutto ciò che possediamo, sulla luna" .6 Non si rendeva conto della spaventosamente impersonale, apocalittica, profetica natura della sua visione dell'anticamera che, nella sua casa di Praga, dava accesso alla camera da letto dei genitori. Beckett, invece, aveva ricevuto un segnale e aveva consapevolmente risposto. La convocazione veniva dal suo tempo. Il luogo incui si trova - non Varsavia, San Salvador, Soweto - non ha niente di specifico da chiedergli. E a differenza di Joyce, dovunque scelga di vivere egli non può mai essere in esilio perché ha scelto di essere responsabile verso la condizione umana del ventesimo secolo, che ha la sua arena dappertutto o in nessun luogo, quale che sia il modo di guardare a Vladimir, Estragon, Pozzo e Lucky. n li scrittori che accettano, come responsabilità prof es- ... sionale, la trasformazione della società sono sempre alla ricerca di modi per trasformare le loro società in maniere a loro stessi inimmaginabili, e tanto meno esigibili: chiedono a se stessi mezzi che, penetrando come una trivella, facciano scaturire il getto primordiale della creatività, inondando i censori, rimuovendo dai regolamenti la pornografia di leggi razziste e sessiste, spazzando via le diversità religiose, estinguendo le bombe al napalm e i lanciafiamme, ripulendo l'inquinamento dalla terra, dal mare e dall'aria, lasciando che gli esseri umani accedano alle rare fonti di pura gioia. Ciascuno ha la sua bacchetta da rabdomante protesa sul cuore e sul cervello. In Le meteore, Miche! Tournier vede la responsabilità dello scrittore come l'obbligo di "sconvolgere l'establishment nella misura esatta della propria creatività". È una responsabilità ardita e totale, sebbene più orfica e terrena di quella di Beckett; più umana, se preferite. Si potrebbe anche interpretare come un'ammissione che questa è l'unica cosa che gli scrittori possono fare; poiché la creatività sgorga dall'interno, non può essere prodotta a piacer nostro, o imposta dall'esterno se non è già in noi, sebbene possa essere schiacciata da un'imposizione. La creatività di Tournier - questo scrittore apparentemente non impegnato, dedito al fantastico - è tuttavia molto vicina alla gente, e vede - e fa vedere ai lettori - la meraviglia della loro storia quotidiana così come può rivelarla la spazzatura delle città. E Tournier è co9

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