vi farà un'incursione. C'è, da un lato, il mondo del cinema, la denuncia della miseria morale di Hollywood, luogo che Woody Allen continua a non amare affatto, con il basso affarismo dei producers e il carrierismo dei divi, tutti mobilitati ad arginare altre possibili ribellioni all'autoritarismo della Story (Tom non a caso identifica Dio con gli sceneggiatori), all'Ordine del Sistema. C'è, soprattutto, più saporoso, il "fatto" cinema. Il cinema è visto allo stato puro, nella sua seducente astrazione di convenzioni, di gioco di costumi (il casco coloniale, la sahariana mai smessi dall'Eroe), dialogo (per Benayoun questi playboys in frac parlano come dei sottotitoli di Anita Loos), tecniche (dopo il bacio non può mancare la dissolvenza), esperienza hollywoodiana dove le bad girls non esistono, non possono essere che collegiali. E, sotto, a dare smalto all'intrinseca facilità di questo gioco, il canto del Cinema come Sogno, e la coscienza della sua impossibilità. Ma c'è un di più. Ed è la poesia di questo viaggio di un'ombra, di un eroe del mondo delle ombre nel mondo reale e ben più duro, dove i pugni fanno male davvero; e, quest'ombra, è un altro dei semplici, dei candidi, dei puri di cuore di Woody, in fondo un altro Danny Rose, prodotto dalla giungla della società dello spettacolo ma venuto a dar corpo al sogno di "una serena visione dell'esistenza, a uno stoico invito a non odiare ~::,suno". Di cui Cecilia è l'alter ego reale, e soggetto alla Caduta. Lei (una Mia Farrow bravissima nei suoi "passaggi", nelle accensioni che illuminano la sua misera figura di sfigata, ma noi continuiamo a ritenere essenziale la presenza di Allen come attore, filtro specifico delle sue idiosincrasie e umori che sono l'humus dei suoi film, che sono i suoi film, è lui con la sua faccia e i suoi impacci il punto di equilibrio tra compiacimento e distacco di un'intelligenza narcisista - e c'è qui la radice della superiorità dell' Allen cineasta sullo scrittore, ben più greve), lei, dicevamo, cinemaniaca popolare e non cinéphile, parente stretta dell' Allan Felix che viveva nel mito di Bogart e riluttante lo imitava ma assai meno "camp", è ancora lo schlemiel di tutti i film di Allen: disadattata, senza possibilità di definirsi, di farsi padrona del proprio destino (per lei non c'è nessun posto dove andare quando fa le valigie). Vive nel mito del Cinema, nella sua irrealtà: è la sua ancora di salvezza. Ma, la salvezza, lo schlemiel può solo sfiorarla, incapace a liberarsi dai suoi sensi di colpa, dalla sua condanna a perdere nel mondo così com'è. Tra persona e personaggio, tra un corpo e un'immaSCHEDE/CINEMA Mia Farrow in due scene di La rosa purpurea del Cairo. gine, sceglie il primo e perde tutti e due. Tom riprende il suo posto nel film, l'attore se ne vola di nuovo a Hollywood. Tutto rientra nella norma. Ma c'è sempre l'illusione, un altro film, Fred Astaire e Ginger Rogers che ballano nel Cappello a cilindro. In questo gioco di doppi e di specchi, alla fine è la finzione che torna a vincere. Tradisce meno, mente meno. Che la fiction menta meno, anzi che tutto sia finzione comunque mascherata, Woody Allen lo mostrava già in Zelig. Miti e presenze dei media cui si è sempre rifatto ma in termini più o meno irritanti di parodia, citazione, saccheggio (caso estremo, un film pastiche del '64, What's up, Tiger Lily?, in cui sovrapponeva dialoghi non-sense a un film giapponese di sesso e violenza), sono ora terreno anche di riflessione, di discorso teorico, senza che il suo cinema di meno in meno bergmaniano e felliniano perda nulla della sua magia, anzi. Ché proprio la magia del cinema sembra essere l'oggetto e il fine del suo film, la "favola", vera nella sua falsità come i dollari di scena con cui Tom paga il conto al night. Lui, intellettuale moderno, si è vieppiù convinto che la verità del mondo non la si può ricercare se non nella "verità" delle sue rappresentazioni. I media, appunto, come essenza di uno stile di vita. Forse, come la sua protagonista, è ancora troppo innamorato del suo Sogno - Prigione. Ma è un discorso più che mai aperto; per fortuna, Woody Allen ("Sui miei film mi verrebbe voglia di rimettere le mani. Sono soltanto il meglio che potevo fare in quel momento") è più esigente dei suoi esegeti. 93
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