che antitetiche, purché proposte con la dovuta misura e nei modi opportuni. Ma quando il discorso si fa più determinato e personale, la teoria si storicizza, e, incarnandosi, si invera. I principi teorici formulati, in sé tutto sommato abbastanza generici (il che non significa certo banali o poco impegnativi), acquistano spessore umano e pregnanza storica: per certi versi, diventano esattamente il discorso sulla poesia e sul fare poesia che il nostro tempo (e non solo l'opera di Giudici) richiede. Ecco allora in primo piano la figura del poeta, non sacerdote dell'ineffabile o scienziato del linguaggio, nella sua autentica fisionomia umana, dimessa e pure a suo modo orgogliosa; con la sua storia privata e la sua vita d'ogni giorno, cordialmente partecipe della storia e della vita di tutti, e nello stesso tempo intento all'esercizio della propria difficile arte, con quel suo peculiare atteggiamento "di distratto interesse o, se si preferisce, di vigile noncuranza" verso la Dama che non si può cercare. La poetica diviene così autobiografia, o forse autobiologia: dagli anni lontani del collegio di Roma al pianerottolo che guarda sul mare delle prime traduzioni durante le vacanze in Liguria, dall'attività di copy-writer ai travagli del mestiere di poeta, con i tanti fogli, diari, appunti dimenticati e ritrovati, e le tante macchine da scrivere. Da questa felice dimensione narrativa, a metà fra il saggio e la confessione, deriva un'ultima impressione di lettura. La dama non cercata rappresenta sicuramente, fra l'altro, un'ottima introduzione alla poesia di Giudici; ma per tal via potrebbe costituire anche un invito rivolto ai lettori potenziali che sono tuttora diffidenti o perplessi riguardo alla poesia contemporanea. Ebbene, mi pare che uno scopo del genere - non solo in sé lodevole, ma infine non estraneo alla destinazione originaria di questi scritti (per Io più divulgativa) - sia in qualche misura contraddetta da altri aspetti del libro. Insomma, mi pare di avvertire una certa discrepanza fra la pagina giornalistica da una parte, e dall'altra l'elegante (ancorché semplice) veste editoriale, in tutto affine a un libro di poesie; o l'ordinamento stesso dei saggi nel volume, che colloca in apertura forse il capitolo meno accattivante della raccolta. Forse è solo un'impressione. Ma che fra il pubblico reale degli appassionati di poesia e il pubblico virtuale corra una frontiera importante e difficile, tale da porre seri ostacoli a una sintesi comunicativa, mi sembra fuor di dubbio. E Giudici è uno dei pochissimi poeti veri in grado di valicarla. MUSICA BARILLIEVERDI Giuseppe Armani Con Il paese del melodramma (Torino, Einaudi, 1985) prosegue la pubblicazione degli scritti di Bruno Barilli iniziata in modo ordinato nel 1982, quando apparve (presso lo stesso editore, ma in una diversa collana) Il sorcio nel violino. L'iniziativa, che riporta Barilli in libreria dopo un'assenza ventennale, consente finalmente di disporre di una raccolta organica dei testi di un autore rimasto sempre ai margini della comune conoscenza e, anche per oggettive difficoltà di reperimento dei suoi libri e di confronto tra l'una e l'altra loro versione, più citato e ammirato come personaggio che letto. La simpatia per la straordinaria figura di Barilli (ma quanti erano, in Italia, negli anni trenta, i personaggi che si muovevano più liberamente di quanto avviene oggi nella nostra cultura!), la sua vita di incurante bohémien, le esperienze apparentemente scombinate di scrittore, giornalista, viagBruno Bari/li. SCHEDE/MUSICA giatore delle terze classi, musicista e critico musicale, ha fatto aggio, per lungo tempo, su una valutazione adeguata della sua produzione. Barilli stesso ha contribuito a determinare questa situazione alimentando un suo mito di scrittore privato o non del tutto rivelato, e così a far trascurare le pagine in cui si era già realizzato in modo folgorante per rimandare a opere future e solo progettate la piena esplicazione delle sue capacità creative. L'esempio più significativo di questo atteggiamento è dato dalla raccolta da cui trae il titolo il volume einaudiano (nel quale, accanto a // paese del melodramma, è compreso un altro libro di Barilli, Parigi del 1938, a esso complementare per struttura e somiglianza di scrittura, nonché per il rilievo che vi hanno gli argomenti musicali). Progetto lungamente accarezzato di libro totale in cui dovevano confluire i temi della memoria parmigiana e tardo ottocentesca di Barilli, uniti a quelli dell'esaltazione di Verdi e dell'amore per il melodramma, il Paese non fu mai compiutamente realizzato secondo le intenzioni dell'autore. In esso figurano, certamente, molte delle pagine più belle di Barilli, bastanti a dare la misura delle sue inconfondibili qualità di scrittore pirotecnico (come disse Contini), ma Barilli se ne mostrò sempre insoddisfatto, come se si trattasse di un primo abbozzo o di un semplice saggio del volume di più vasta e concertata mole cui attendeva. Il libro, che raccoglie pezzi degli anni 1926-30, fu pubblicato nel 1930, e poi rimaneggiato in bozze e fatto oggetto di propositi di ampliamento che si susseguirono fino al 1946, quando ancora Barilli pensava di poter rifondere tutti i materiali compresi nel volume e altri sparsi in riviste e giornali in un Verdi, opera conclusiva della sua carriera di scrittore e, secondo speranze non dissimulate, opera che avrebbe dovuto consacrarlo al livello più alto delle sue rese. Questo obiettivo non fu raggiunto, e Barilli ritornò incessantemente sui testi con un complesso non sempre coerente di sostituzioni interne, varianti, riprese, combinazioni diverse. Il Paese risulta anche per questo il libro di tutta la sua vita, più che se gli fosse riuscito di comporne le parti in un insieme ben stratificato. E per la stessa ragione, si è prestato alle esercitazioni filologiche delle curatrici (Luisa Viola e Luisa Avellini) che diligentemente hanno sistemato in appendice un apparato di varianti dalle ·quali si può anche prescindere nella lettura (per la casualità e l'irrilevanza di un buon numero di esse), ma alle quali rimanda con perentorietà la numerazione dei capoversi di 89
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