86 SCHEDE/SAGGI ria del topos, da Euripide a Goethe, sono quelli del rischio e dell'empietà della navigazione ma soprattutto dello stupore destato dal primo apparire di una nave sulle acque. Ma l'attenzione dedicata da Curtius alla metamorfosi del motivo è tutta interna allo spazio letterario, l'analisi storica è volta unicamente a testimoniare la vitalità inesausta dell'istituzione letteraria e la profonda unitarietà di tutte le sue manifestazioni. Anche il passo meno felice di Valerio Fiacco o di Giuseppe da Exeter trova la giustificazione della propria esistenza nell'aver fornito materiale alla poesia di un Dante; la grandezza dei maggiori scrittori sta nella loro capacità di rendere presente l'intera tradizione, in loro "tutta la storia è elevata a contemporaneità" (p. 322). Il fatto che nell'immagine della nave degli Argonauti affiorino alcuni dei modi nei quali l'uomo ha inteso un aspetto della sua vita è secondario, ciò che conta è che "in ogni età c'è una Argo, come aveva predetto Virgilio" (p. 325). Da questo punto di vista l'approccio di Blumenberg non potrebbe essere più lontano, volto com'è a cogliere nelle metafore a cui rivolge la sua attenzione - quelle che definisce "assolute", cioè non scomponibili, né riducibili alla forma del concetto - un atteggiamento fondamentale dell'uomo o di una cultura verso il mondo. Le variazioni non si richiudono su se stesse, ma di volta in volta si aprono verso la storia mostrando un'orizzonte di civiltà diverso, preciso e irripetibile nei suoi connotati. A marcare la distanza del suo metodo dalla Begriffsgeschichte sta invece l'oggetto stesso preso in esame: la metafora. La concezione di Blumenberg - qui espressa nelle pagine dense e non sempre trasparenti dello Sguardo su una teoria dell'inconcettualità posto in appendice al volume - si può accostare in qualche misura a un insieme di ricerche che, muovendo principalmente dalla Filosofia della retorica (1936) di I.A. Richards, tentano di sostrarre la metafora a quel processo che è stato chiamato di "letteraturizzazione" della retorica. Si tratta di correggere l'immagine distorta di un metafora come incarnazione più pura dell'impalpabilità dell'estetico, riconoscendole invece un valore conoscitivo e una funzione non patologica nella comunicazione linguistica. È l'efficacia argomentativa che Perelman individua in questa figura, o la rivendicazione - operante nei lavori di M. Black - di un suo specifico potere cognitivo e informativo, di una capacità cioè di essere "ontologicamente illuminante". La posta in gioco, è con tutta evidenza, la possibilità di fare della metafora uno strumento analitico disponibile all'uso in campi d'indagine anche lontani dalla letteratura. Su questo piano le esigenze espresse dalle ricerche di Blumenberg non si muovono in una direzione molto diversa - fatte salve le specificità delle diverse discipline - da quelle presenti, per esempio, nel dibattito R. Boyd-T.S. Kuhn (cfr. La metafora nella scienza, Feltrinelli, 1983). Tuttavia in Blumenberg il riconoscimento dell'autonomia conoscitiva della metafora più che condurre a un esame dei meccanismi di rappresentazione del mondo in essa operanti, sottolinea il suo carattere di forma di sapere costruita su un rapporto particolarmente intimo, uomo-mondo. Ne viene illuminato il significato esistenziale della metafora, ma se si cerca una descrizione puntuale del suo funzionamento è più opportuno rivolgersi alle limpide pagine di M. Black sull"'internatività", il linguaggio fenomenologico adottato da Blumenberg non pare il più adatto allo scopo. L'interesse va qui innanzi tutto alla genesi della metafora, al nesso che la lega al mondo della vita con la sua funzione di "sostegno motivazionale costante di ogni teoria" (p. 115). Le metafore vengono così presentate come quadri generali di percezione dell'esperienza, tra le ragioni della teoria e della Lebenswelt. Il discorso metaforico, dice Blumenberg in passi ricchi di suggestione, si muove sul difficile discrimine che separa il dicibile dall'indicibile: parlare d'inconcettualità vuol dire aspettaresi che "anche la classe dell'ineffabile non si vuota" (p.123). È dunque in tale spazio intermedio che la metafora definisce in suo statuto: non asserzione su dati di fatto, ma nemmeno "aggiunta soggettivo-fantastica di un osservatore'' (p.117). Riconoscere senza pregiudizi le forme peculiari d'esistenza significa portare un rilevante contributo all'allargamento dell'ambito di una razionalità troppo a lungo confinata nel recinto delle procedure di decisione. Qui il libro di Blumenberg trova il suo fascino, ma soprattutto nella capacità di far rivivere le mille sfaccettature di un'antica costellazione metaforica. ILGUSTODELL'OTTOCENTO Luca Clerici Lo sguardo panoramico viene solitamente portato da un luogo ben preciso, insostituibile e spesso elevato; dal quale è possibile abbracciare un ampio orizzonte paesaggistico. Il punto di vista è quello favorevole - uno dei tanti confortevoli "belvedere" - dal quale i turisti domenicali sono invitati a godere un maestoso spettacolo di bellezze naturali; spettacolo rassicurante che rivela l'implicito riconoscimento di un dominio al quale la natura, pacifica, si svela in tutta la sua maestà, a disposizione dell'occasionale osservatore. È questa l'immagine ·che Dolf Sternberger suggerisce nel titolo di un suo libro presentato solo ora in traduzione italiana (Panorama del XIX secolo, Bologna, il Mulino, 1895, pp. 266, L. 20.000, con un'introduzione di Ezio Raimondi), ma pubblicato in Germania nel lontano 1938, dunque in pieno regime nazista. Intellettuale dai molteplici interessi, allievo di Paul Tillich, filosofo, saggista e studioso di letteratura, docente di Scienza della politica a Heidelberg, Sternberger ebbe modo di ripubblicare piu volte questa singolare opera giovanile, che è in grado di suscitare ancora, in Germania, un costante interesse. "Quando questo libro apparve per la prima volta, l'epoca che in esso si voleva descrivere era oggetto in Germania di profondo disprezzo. Per i suoi aspetti borghesi, il tardo XIX secolo era considerato un periodo di sicurezza e determinazione illusorie, smentito e definitivamente concluso dallo scoppio della prima guerra mondiale. Così, mentre ci si dedicava con passione allo studio di periodi storici più remoti, questo fu quasi completamente ignorato e trascurato" (p. 262). L'esigenza di condurre un'analisi sulla cultura e, soprattutto, sul senso comune ideologico ed estetico degli anni 1860-1900in area tedesca, non è estranea alle convinzioni politiche dell'autore, intellettuale liberal-democratico che ritiene necessario ricostruire la fisionomia culturale della piccola e media borghesia fino al tramonto del secolo scorso. Il criterio adottato è "puramente fisiognomico, sistematico e descrittivo" (p. 260): uno sguardo "panoramico" che vuole "cogliere nel suo complesso il volto immoto di questo passato o perlomeno riprodurne alcuni dei suoi tratti" (p.263). Questa fisionomia viene ricostruita a partire dalla considerazione di documenti, vicende, libri e discorsi volti al grande pubblico:
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