Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

84 SCHEDE/SAGGI fo si richiede oggi che dia una dignità o almeno giustifichi tutto ciò che esiste concretamente"(e citava il caso opposto di Leopardi). Sembra proprio che i filosofi italiani emergenti, ancorché fautori di pensieri "deboli" pensino di interpretare in modo "forte" la richiesta cui accennava Colli. Come osserva Lasch il principale errore di queste posizioni consiste nel ritenere che la mescolanza dei valori non porta al conflitto, che nessuna scelta ne preclude un'altra, che le invenzioni tecnologiche si assommano tra loro, etc. Mentre nella vita reale, per la maggior parte delle persone, "ogni scelta morale e culturale( ... ) esclude un'altra serie di altre scelte'' e così la conclamata libertà di scelta, intesa come illimitata libertà di scegliere tutto e subito, prefigura una società di consumatori passivi. La personalità proteiforme, flessibile, che qualche volta ha sedotto la nostra immaginazione, è una persona per cui amori, amicizie, lavori, etc. sono tutti intercambiabili. Si può pensarla come si vuole in proposito (viviamo appunto in una società pluralista), ma vorremmo suggerire un'ipotesi: questa persona sembra proprio dotata di un io granitico, immobile, e tutt'altro che esposto al mutamento e capace di vera esperienza. Negli ultimi due capitoli Lasch passa in rassegna le varie posizioni in merito all'eziologia della crisi morale attuale. Prima incontriamo i conservatori, che deplorano il declino del super-io, poi i liberali che parlano di deperimento dell'io razionale, e infine un terzo tipo di analisi costituito da spezzoni di varie riflessioni che formano la complessa nebulosa della new left, e per le quali propende decisamente l'autore. Attraverso un dialogo serrato con queste analisi (ecologisti, femministe) e attraverso una rilettura di alcuni "classici" (da Freud e Jung a Marcuse e Norman Brown), l'autore si sforza di definire una sua parte propositiva. La maturità psichica consisterebbe infine nell'accettare il trauma della separazione originaria e nell'acquistare una coscienza conflittuale, senza l'illusione prometeica di onnipotenza (la tecnologia) e senza inseguire i vari miti romantici della riunione indolore con la madre (sia essa la natura o altro). Insomma né la via solipsistica né la via simbiotica. Una consapevolezza inquieta, "tragica" della nostra posizione contraddittoria nel mondo, del nostro essere anche separati dalla natura. Forse un rischio presunte in questa pars costruens di Lasch è un po' la tentazione della terza via, che in quanto tale appare troppo ragionevole, troppo equilibrata. Comunque Io storico americano rifiuta l'appellativo che qualcuno gli ha affibbiato di "nuovo guru", dal momento che il suo pensiero non può essere ricondotto a una soteriologia, non offre facili ricette. La "rivoluzione culturale" auspicata nelle ultime pagine del libro si può riportare a un laicismo critico (l'autore parla di "tradizione occidentale dell'individualismo"), razionale non nel senso della ragione strumentale, di ispirazione kantiana, capace di formulare una nozione molto ampia di natura umana, disincantato ma non rinunciatario. Anche se proviene da letture e da studi non filosofici Lasch sembra un allievo della Scuola di Francoforte, meno aristocraticamente distaccato dei maestri e meno incline all'astrazione, oppositore tenace di ogni ideologia che giustifica l'esistente ma anche critico inflessibile delle utopie consolatorie. Dei molti temi trattati nel libro, delle molte idee in esso dibattute, ci sembra importante tornare sulla questione centrale dell'io minimo e della sopravvivenza emotiva. Questione su cui intendiamo fare una nostra considerazione. È certamente vero che oggi l'io tende a contrarsi, a risparmiarsi, e non, come poteva essere fino al secolo scorso, allo scopo di ritirarsi orgogliosamente in sé, dal momento che il sé appare sempre più incerto e indefinito. Il fatto è che qualsiasi coinvolgimento emotivo implica una dipendenza, più o meno forte, dagli altri. In un mondo, in una "civiltà" in cui gli altri non solo sono poco disponibili, ma tendono ad usare "male" il potere che gli deriva da un legame affettivo (esercitando un potere su un altro ci si illude di allontanare il vuoto, la morte), questo può effettivamente risultare autodistruttivo. Eppure tale dipendenza dagli altri esiste e il punto è che esiste non in funzione della sopravvivenza (per la quale anzi uno basta tranquillamente a se stesso), ma in funzione di un "in più" dell'esistenza. Un "in più" che dà però il senso a tutto il resto. Andy Warhol, Before and after, 3 (/962). UN'ANTICMAETAFORA Bruno Falcetto Il titolo dell'ultimo libro di Hans Blumenberg apparso in Italia, Naufragio con spettatore (Il Mulino, pp. 136, L. 12.000), non è di quelli che lascino indifferenti. Basta scorgerlo in una vetrina per ricevere la sensazione che lì, in qualche modo, si sta trattando di noi. L'effetto si può senz'altro attribuire alla felicità dell'immagine nell'evocazione di un clima di pensiero nel quale la cultura di cui facciamo parte si muove - con profondità e onestà maggiore o minore - già dall'inizio del secolo. Le figurazioni di pericolo, precarietà, crisi formano una parte importante e ormai costitutiva del nostro orizzonte di comprensione del reale, un patrimonio che merita di essere preservato tanto da unilaterali assolutizzazioni, quanto da riduzioni a semplice e suggestivo décor per turistiche passeggiate fra le rovine. Ma le ragioni dell'intima consonanza che il lettore avverte con la metafora trattata nel libro sono legate anche al carattere fondamentale che, da un punto di vista antropologico e culturale, rivestono i motivi in essa raccolti. Il rapporto teoria/ prassi, le forme di percezione del destino proprio e altrui, l'immagine del mondo naturale e della storia sono alcuni dei temi posti in luce da Blumenberg. Il suo metodo infatti riesce - e questo ne costituisce l'aspetto più interessante ed originale -, ponendo le metafore al centro di un'indagine di taglio propriamente storico, a metterne in risalto tanto il contenuto concettuale, quanto la forma caratteristica in cui questo viene raffigurato e che gli conferisce una capacità sempre nuova di parlare agli uomini che le usano. Il diritto della metafora a essere legittimo punto di vista sul mondo, la sua autonomia gnoseologica vengono dunque affermate sul piano concreto della sua vita nella storia. · "L'uomo conduce la sua vita ed erige le sue istituzioni sulla terraferma. Ma il movimento della propria esistenza cerca di comprenderlo, nella sua totalità, specialmente con la metafora del temerario navigare" (p. 27): il racconto di Blumenberg muove da questo "singolare paradosso" la cui genesi risale alle origini della civiltà classica. L'ansia di Esiodo negli Erga per la sorte di chi, spinto dal desiderio di un'esistenza migliore, abbandona la vita dei campi e si affida a quelle che Orazio chiamerà impiae rates , mostra come nella coscienza dell'epoca il mare - realtà elementare dove la metafora

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