realtà - il fiume - per se stesso). Come viene spiegato in questo libro il narcisismo richiama allo stadio infantile in cui si è ancora in un rapporto simbiotico con il mondo, con la fonte della vita. Successivamente l'individuo tende a non accettare la dura realtà della separazione, a negarla attraverso una illusione di autosufficienza assoluta (Prometeo, dominio sulla natura) oppure a credere di ricostituirla quasi magicamente attraverso esperienze di tipo mistico (fusione con la natura, con gli altri). L'io minimo o narcisista, protagonista di questo libro, cerca di negare la realtà delle separazione originaria: "aspira a riprodurre il mondo a sua immagine o a fondersi con esso in felice comunione". Gli altri così spariscono, nella loro concretezza e separatezza: ed effettivamente se non prendiamo atto della separazione ci sarà impossibile unirci mai a qualcuno. Lasch esclude pure che Narciso possa diventare il simbolo di una cultura alternativa (la ragione femminile, il desiderio di unione amorevole con il mondo), dal momento che non bisogna mai rinunciare alla individualità, ovvero lottare per ricatturare almeno il senso dell'unione primaria ma riconoscere l'impossibilità di una vera unione. Questo io minimo pensa dunque principalmente a "sopravvivere", e qualche volta prende a modello i veri "sopravvissuti" dei lager, che però si preoccupavano anche di dare un significato alla sopravvivenza oltre che di sopravvivere a qualsiasi costo. Insomma la loro apatia emotiva, la loro indifferenza facevano parte di una "lotta per restare uomini". C'è però un aspetto di questo problema di cui lo studioso americano non sembra avere adeguata consapevolezza. Oggi la cosiddetta "sopravvivenza" non è solo la sovrapposizione abusiva, iperbolica di situazioni-limite alla vita di tutti i giorni. Non è, ahinoi, una metafora, ma rappresenta un problema reale, sentito dalla grande maggioranza delle persone. Occorre probabilmente capire quando diventa una ideologia, quando si fa programma. Quando insomma si ritorce contro di sé. Va criticata non soltanto per il suo basso tasso di moralità, ma per il prezzo che comporta, in termini di esistenza (e di significato dell'esistenza). Una prima obiezione, molto sfumata nel saggio di Lasch, all'etica della sopravvivenza è diciamo così di natura politica. Se oggi l'unità di sopravvivenza è l'ambiente e non più soltanto l'organismo, allora ogni scelta puramente individuale si rivela inadeguata, miope, anche se nasce da una sacrosanta diffidenza per le questioni generali. li Narciso di Caravaggio. Anche Nietzsche faceva l'elogio del vivere "nella prossimità", a contatto cioè con i problemi più vicini, "prossimi" (l'alimentazione, la salute fisica, etc.) però sappiamo come la libertà connessa a questa·condizione sia del tutto illusoria. Gli eventi e i processi che Lasch descrive (corsa agli armamenti, deterioramento dell'ambiente, aumento della criminalità, crisi economica prolungata) non sono scalfiti dalle modificazioni interiori. Così, colui che credeva forse di e'Ssereuno "spirito libero" (secondo la suggestione nietzscheana), un intrepido negatore della morale e di tutto ciò che è "lontano", si scopre rotella programmata di un gigantesco sistema di controllo sociale, lontano ma capillare. Ma, al di là di questa critica forse un po' scontata alle illusioni del "disimpegno", lo studioso americano ci spinge a considerare un altro importante aspetto della questione. Un tipico "sopravvissuto" è per lui incarnato dal protagonista del film Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmuller, sorprendentemente assunta come interlocutrice (seppure negativa) di una discussione così impegnata. Ovvero la pura forza vitale, la sete di vivere nella sua forma più crudamente biologica, che avrebbe la meglio sulle idee e sugli ideali. Lasch se la prende giustamente con chi ha celebrato in questo personaggio quasi il modello di un uomo nuovo, contro ogni "morale dell'eroismo", in nome dei "crudi richiami del corpo". Però anche a questo proposito è opportuno fare una considerazione che nel libro è solo implicita. SCHEDE/SAGGI Il richiamo al biologico, al vitale, al corpo, alle radici bio-sociali dell'esistenza (insomma al "basso") può essere a volte un indispensabile correttivo a certe forme di idealismo. Allontaniamoci per un momento dalla costellazione culturale entro cui si muove Lasch. In Guerra e pace si parla in diversi momenti, e a proposito di diversi personaggi, di "egoismo della felicità", che sembra essere soprattutto un egoismo del corpo. Su un egoismo del genere si fonda la vitalità irresistibile e contagiosa di Natascia, una vitalità quasi animale, non intenzionale, a tratti addirittura spietata. Si esprime essenzialmente come capacità di dimenticare in fretta, di andare avanti. Ed è una disposizione perlopiù ignara di sé, cieca, spontanea. Quando Natascia, dopo la morte di Andrèj, prova un dolore terribile, ma non molto tempo dopo si innamora di nuovo, e si sente avvolgere da "una forza di vita incoercibile", questo sorprende e rattrista la sorella di Andrej, incapace di uscire dal lutto. Eppure Tolstoj, la cui intera opera ruota intorno al problema morale, dell'apertura agli altri, vuole qui dimostrarci come in certe situazioni l'ultima risorsa di cui disponiamo, l'unica possibilià di sopravvivenza emotiva consiste proprio nell'abbandonarsi a questo egoismo (come se fosse una sorta di "risposta" della natura stessa entro di noi). Il fatto è che deve appunto trattarsi di situazioni estreme, non comuni, mentre oggi si tende a far scattare intenzionalmente, programmaticamente e in qualsiasi circostanza, questo egoismo del corpo. Diventa così un mezzo di difesa di cui si abusa, per proteggere il nostro io minimo. Così che una estrema risorsa della natura, adoperata regolarmente e preventivamente, viene ad essere come stravolta e ci riduce infine a pura natura. Uno dei punti di forza della dissertazione di Lasch è la presa di posizione fortemente critica in merito al cosiddetto modernismo, nelle sue varie forme. Una presa di posizione realistica, che nulla concede a nostalgie di epoche preindustriali o di società "organiche". Soltanto non si fa troppe illusioni sulla portata emancipativa della industrializzazione e della cultura di massa. Non è qui possibile riprodurre le sue argomentazioni, spesso puntigliose ( con la loro abbondante mole di esempi), ma ci sembra particolarmente efficace la polemica contro gli allegri apologeti della modernizzazione, che semplicemente rovesciano in positivo tutto ciò che è negativo ( di questi ingegnosi sofisti non si faticherà a trovare l'equivalente italiano). Uno studioso serio e onesto come Giorgio Colli scriveva che "al filoso83
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