Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

82 SCHEDE/SAGGI Autoritratto di Joshua Reynolds a 25 anni. dell'indignazione). Ma vediamo come si articola la critica che Lasch muove alla mentalità della sopravvivenza. Occorre tornare per un momento al romanzo di Kundera. Tomas ha una serie di attenuanti, dal momento che vive in un momento molto particolare della storia di un paese (l'invasione della Cecoslovacchia), in cui c'è davvero uno "stato d'assedio", e dunque si impone la dura necessità di essere diffidenti, di pensare unicamente alla propria sopravvivenza psichica (e anche fisica), di fuggire, nascondersi, abbandonare la propria terra, etc. È proprio Lasch a ricordarci quanto sia dannosa l'abitudine di usare disinvoltamente la metafora dello stato d'assedio o del lager per descrivere situazioni quotidiane, stress quasi insignificanti. Ma la storiq raccontata da Kundera va senz'altro al di là della contingenza storica drammatica in cui si svolge. Probabilmente molti di noi hanno avuto qualche volta la tentazione di identificarsi con la teoria difensiva di Tomas in materia di rapporti affettivi. Si potrebbe anche aggiungere che la fatale aggressività connessa all'amore, dalla quale Tomas intende rifuggire, è oggi accresciuta per il fatto che alla sfera dell'amore si tende a chiedere sempre di più, via via che aumentano delusioni e frustrazioni legate ad altre sfere dell'esistenza. Può allora apparire comprensibile, legittimo un atteggiamento di prudenza, di attenuazione, di ragionevole compromesso, proprio al fine di evitare dipendenze o richieste insostenibili. A ben vedere in questi anni c'è stata, sia nella produzione culturale che nella vita quotidiana, una continua oscillazione tra mode neoromantiche e rifiuto di ogni impegno emotivo, tra sentimentalismo (anche disarmato) e resistenza a grossi investimenti affettivi. Eppure lo sviluppo della trama del romanzo ci porta a conclusioni inaspettate, e di segno totalmente opposto. Tomas infatti non ce la fa ad "escludere l'amore dalla propria vita" e anche in ciò stanno le ragioni della sua rovina (il libro è un best-seller senza finale edificante o tranquillizzante). All'inizio si innamora di Tereza, indifesa e fragile. Poi la sposa, vivono insieme. Ma dopo poco tempo sente tutto il "peso" di questo amore: è perseguitato dalle sue gelosie e dalle sue paure, è continuamente costretto a fingere (tra l'altro è costituzionalmente incapace di esserle "fedele"), a tirarle su il morale e a consolarla, si sente sempre in colpa, etc. Desidera così tanto liberarsene che quando lei lo pianta d'improvviso in Svizzera per tornare a Praga lui "sente la dolce leggerezza dell'essere avvicinarglisi dal profondo dell'avvenire". Dopo qualche tempo però si accorge di pensare sempre a lei, così torna in patria e la raggiunge. Rinuncia a tutto e finisce con l'assecondare il suo desiderio di vivere in campagna, in uno sperduto villaggio, dove moriranno insieme in un banale incidente. Anche solo da questo scarno riassunto emergono alcuni interrogativi. Perché questa scelta di Tomas, questa sua specie divocazione o destino? Per puro masochismo? Per solidarietà e compassione verso una "debole"? Il romanzo non vuole dare una risposta univoca; anzi mette l'accento sulla lacerazione del protagonista, sulla sua infelicità. Ma nello stesso tempo fa luce su un aspetto della psiche umana, su un aspetto della struttura stessa del desiderio. L'uomo sembra avere bisogno di un peso, di un "fardello", e "quanto più il fardello è pesante tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica". Tomas, nonostante la sua esplicita strategia di autoconservazione, si sente irresistibilmente legato a Tereza. Non si tratta della contrapposizione tra stadio etico e stadio estetico, tra dovere morale e dispersione casuale dell'esperienza. Il "fardello" non ha a che fare con imperativi categorici. Illumina piuttosto una condizione quanto mai contraddittoria e problematica della felicità stessa. Il problema non è quello di un'opzione tra leggerezza e pesantezza, ma di dare luogo (in questo caso attraverso la narrazione) a un'antropologia non riduttiva, di rappresentare un'immagine non parziale dell'esistenza umana. Con la consapevolezza che il conflitto tra i diversi bisogni è più o meno tragico a seconda delle condizioni storiche, sociali e psicologiche in cui si vive. Un'ispirazione del genere si può riconoscere a Lasch. Abbiamo detto che il termine "narcisismo" è stato quasi abbandonato in quanto ritenuto troppo ambiguo. E infatti nella particolare accezione dello studioso americano non si identificava mai con egoismo o egocentrismo, pur mantenendo una connotazione negativa. Si trattava piuttosto di una confusione tra io e mondo esterno, tra realtà e fantasia, tra cose reali e immagni, di una difficoltà a delimitare la propria identità, che si vede continuamente specchiata negli altri (Narciso scambia la

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