gli "errori" presenti nei Figli de/là mezzanotte. Saleem fa una serie di affermazioni in contrasto con la verità storica. La sua preoccupazione è quella di trovare un senso in ciò che è accaduto, in ciò che gli è accaduto: ma Saleem non è un narratore imparziale, bensì un uomo sconfitto che scrivendo la propria vita vuole trovarne un significato adattando gli avvenimenti, in modo tale che il lettore sia costretto a riconoscergli un ruolo centrale rispetto a essi. Questo, però, non è tanto un processo cosciente, una manipolazione concepita a freddo, quanto il frutto della distorsione della memoria. E tuttavia, afferma Saleem, è la memoria che crea la propria realtà: è la memoria che ricostruisce la storia, e l'uomo, che non è in grado di scriverla oggettivamente, può coglierla soltanto attraverso la distorsione soggettiva del ricordo, che la mescola all'illusione, che la ingigantisce nel mito (o nella letteratura, visto che è di libri che stiamo parlando). Un simile discorso vale per La vergogna, dove di nuovo elementi realistici e fantastici sono fusi insieme, personaggi reali e d'invenzione si sovrappongono, fatti storici e accadimenti surreali concorrono insieme a scrivere la storia del Pakistan. In questo caso è direttamente l'autore, senza più ricorrere al filtro del narratore, che sovrappone ai fatti reali il frutto della fantasia: la "verità" nasce dall'elaborazione fantastica di ciò che è accaduto, così come la storia di Bilquìs viene rielaborata a più riprese dalle donne della famiglia del marito fino a cristallizzarsi in una versione definitiva, in un "testo sacro" da cui nessuno più si discosta e di cui nessuno mette i dubbio la "verità". Se la storia è un dato relativo, ricostruito dalla memoria deformante e dall'invenzione fantastica, così anche i personaggi entrano in rapporto con gli avvenimenti storici attraverso una dimensione magica, governata dalle coincidenze. Gli indiani sono ossessionati dalle coincidenze, dice Saleem; scoprire una coincidenza, un legame tra fatti che non hanno rapporti fra loro, li riempie di gioia. Le vicende dei protagonisti, in entrambi i romanzi, sono punteggiate da clamorose coincidenze tra importanti eventi storici e fatti personali che, nella logica della narrazione, stabiliscono un magico legame con essi e li illuminano di significato (anziché esserne illuminati). E se le coincidenze non sono verosimili esse vengono ritenute vere lo stesso, perché lo sono nella realtà della finzione narrativa. Questo atteggiamento non deve però essere interpretato come un rifiuto della storia, come una fuga dalla realtà nel morido della finzione. Anzi, Rushdie nella storia è profondamente radicato e come pochi altri scrittori contemporanei riesce a trasmetterci il senso della realtà politica e sociale della sua terra d'origine. Ma lo fa in un modo che in quella terra ha (in parte) certe premesse ideologiche e filosofiche e che dall'incontro tra il materiale narrativo da essa offerto e la forma della narrazione adottata dallo scrittore deriva piena originalità (e legittimità) letteraria: è sostanzialmente questo il modo in cui la letteratura contemporanea "extra-europea" riesce a parlare della storia e se non lo fa nei modi in cui lo fece la vecchia Europa (che non casualmente non lo fa quasi più) è perché questa letteratura, come già era evidente nel caso dei sudamericani, trova in un patrimonio culturale altro le coordinate del proprio discorso. Resta infine da dire che tuttavia le pagine più belle dei due romanzi (ma non so se questa è una contraddizione di Rushdie oppure di chi scrive) restano quelle iniziali, dell'innamoramento di Aziz e del concepimento di Omar, quelle collocate in un tempo più lontano e in un mondo ormai mitico, in cui l'invenzione fantastica, il piacere della sorpresa e il gusto del racconto possono dispiegarsi liberamente al di fuori della Storia. SAGGI LASOPRAVVIVENZA DEISENTIMENTI Filippo La Porta In L'insostenibile leggerezza de/l'essere si afferma: "lo indicava con le parole 'amicizia erotica'. Alle proprie amanti dichiarava: soltanto un rapporto non sentimentale, quando un partner non accampa pretese sulla vita e sulla libertà dell'altro, può portare la felicità ad entrambi (... ) l'accordo non scritto dell'amicizia erotica presupponeva che Tomas escludesse l'amore dalla propria vita". li romanzo di Kundera può servire da mediazione narrativa che introduce alla tematica dell'ultimo libro di Christopher Lasch, L'io minimo (Feltrinelli, 1985). Dell'Insostenibile leggerezza dell'essere la rivista ha già parlato. Al di là di certi difetti (la non sempre riuscita fusione tra narrativo e saggistico, o il poeticismo, che ad es. traspare dal titolo stesso, insostenibilmente lirico) lo scrittore ceco ha avuto SCHEDE/SAGGI l'indubbio merito di dare voce ad un "sen-, tire" diffuso ma in larga parte sommerso, tentando anche di riformularlo in modo originale: in particolare la dicotomia centrale pesantezza-leggerezza e il rovesciamento del primato della leggerezza, solitamente indiscusso. La scelta dichiarata del protagonista, Tomas, di una sorta di disimpegno emotivo, anche se fatta in nome della libertà dissimula a malapena un atteggiamento difensivo, di paura, di sfiducia e di fuga. E insomma potrebbe rientrare in quella che Lasch chiama "ideologia della sopravvivenza" e che costiuisce il motivo conduttore del suo libro. Come si caratterizza questa ideologia? Quali sono i comportamenti che induce? Ridurre la prospettiva al momento immediato, prepararsi perennemente al peggio, rifugiarsi nei piccoli piaceri, guardarsi ironicamente dal di fuori, assumere un'identità intercambiabile, evitare scelte impegnative. Quella che Lasch aveva definito come "cultura del narcisismo" ha così cambiato nome e si è ulteriormente precisata (la precedente definizione implicava troppi equivoci). Ed è così diventata "cultura della sopravvivenza". Il moderno eroe di questa sopravvivenza, al pari del personaggio cinematografico di Rambo, ha ridotto il proprio io ad un"nucleo difensivo armato contro le avversità". Si sente continuamente in stato d'assedio. Sa di poter contare solo sulle sue forze. Lo studioso americano descrive e indaga questa ideologia pervasiva nelle sue molteplici manifestazioni: nel campo del costume e dell'etica, in quello dell'arte e della cultura di massa, in quello dei bambini e della pedagogia, in quello della psicologia e delle teorie politiche. E se in alcuni passi si avverte una ripetitività, una semplice riproposizione dei temi già presenti nel libro sul narcisismo (che ha venduto solo in USA 100.000copie, suscitando un dibattito molto animato), si sente anche il tentativo di depurare il proprio discorso da una certa patina moralistica, di pura indignazione o deplorazione. Comunque c'è un approfondimento della riflessione e un confronto serrato con le varie posizioni ed elaborazioni su questi temi apparse negli ultimi anni. Ci riesce difficile immaginare chi in Italia potrebbe scrivere un libro del genere, che unisce rigore metodologico ed estrema libertà nei riferimenti (nella stessa pagina c'è il commento ad un brano di Freud e la considerazione su una lettera al giornale locale), vivacità di scrittura e impressionante apparato di note, curiosità e passione etica (più nel senso della preoccupazione che
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