Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

80 SCHEDE/STORIE STORIE UNFUNAMBOLO DELLANARRAZIONE Paolo Bertinetti Il successo dei due romanzi di Rushdie tradotti in italiano, / figli della mezzanotte (Garzanti, pp. 514, L. 22.000) e La vergogna (Garzanti, pp. 258, L. 18.000), la mole di recensioni e interviste che hanno accolto in particolare !?uscita di quest'ultimo libro, la familiarità, quindi, del lettore italiano con il mondo narrativo dello scrittore indiano (o anglo-indiano, o indo-britannico che dir si voglia) ci consente di parlarne, come si fa per i Grandi, dando per scontata la conoscenza delle sue opere. Rushdie è innanzitutto un formidabile raccontatore, uno scrittore che ha delle storie da raccontare, che ha un materiale narrativo esuberante e ribollente da incanalare nella propria narrazione. Il materiale gli viene dal suo retroterra indiano, dai miti, dalle tradizioni, dalle vicende storiche e dal patrimonio fantastico delle genti dell'India, da una cultura vecchia di cinquemila anni e dalle lacerazioni che si sono scatenate negli ultimi quarant'anni dopo la fine del secolare dominio britannico. Vale per lui il discorso che vale per gli scrittori sudamericani che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi vent'anni, e per gli altri scrittori di lingua inglese dei paesi dell'ex-impero britannico che stiamo conoscendo adesso. A differenza di quelli della vecchia Europa, questi autori possono fare riferimento a un materiale narrativo ricchissimo e ancora inesplorato (non ancora sfruttato, se vogliamo essere maligni), pieno di storie e di vicende che meritano di essere raccontate senza timore di incorrere nel già detto, e che consente la comunicazione di un'esperienza umana e storica dotata di assoluta originalità. Nel caso di Rushdie, giunto a Londra all'età di quattordici anni, educato nelle migliori scuole inglesi, diventato un raffinato intellettuale di formazione anglosassone, il retroterra indiano ha fornito non soltanto il materiale ma anche una dimensione e una forma narrativa con cui comunicarlo, che poi egli ha saputo fondere con alcuni dei risultati più alti raggiunti dalla forma narrativa nella letteratura occidentale. Gli indiani sono dei fantastici storytellers, ha più volte sottolineato Rushdie, capaci di raccontare storie che durano intere giornate, piene di digressioni e riprese, percorse da una vena fantastica che continuamente ingigantisce il reale pur restando ancorato a esso, che coinvolge l'ascoltatore in una tensione continua tra le sue attese e l'invenzione del narratore. Ed è per quest'ultimo motivo, afferma, che nella seconda stesura dei Figli della mezzanotte aumentò enormemente il ruolo assegnato a Padma, che diventò il pubblico del narratore, come nella tradizione orale, e che servì appunto a conferire al romanzo quel sapore di narrazione orale che è motivo non ultimo del fascino del libro. Ma il narratore, in questo caso, scrive un romanzo e il suo voler essere in contatto continuo con l'ascoltatore, che ovviamente è un lettore, si traduce in un costante intervenire nella narrazione, che ha il suo modello nel Tristram Shandy di Sterne, cioè nel primo romanzo "sperimentale" europeo, passando senza soluzione di continuità dalla narrazione alla metanarrazione, alternando e fondendo il presente della scrittura con il passato del racconto. Il narratore, pur prendendo le mosse dal raccontatore orale, è un narratore che scrive, che si muove all'interno della forma romanzesca rivelandone gli artifici retorici, i trucchi, le trovate, avvertendo il lettore della natura fictional del racconto e coinvolgendolo allo stesso tempo nella sua dimensione fantastica. La maggior conquista di Rushdie sta forse nella sua capacità di scardinare i criteri della verosimiglianza ponendo sullo stesso piano realtà e sogno, narrazione realistica e invenzione mitica: i dati oggettivi, riportati con precisione cronachistica, si mescolano alle irruzioni del fantastico in un gioco che costringe il lettore ad accettare i diversi livelli di realtà presenti nel romanzo senza dover distinguere tra di essi. Sa/man Rushdie (foto di Isolde Ohlbaum). Rushdie è un funambolo della narrazione che stabilisce con il lettore un contatto costante, lo stuzzica, gli strizza l'occhio, lo rende complice dell'invenzione narrativa. È un maestro di suspense, che si diverte ad anticipare particolari di ciò che verrà raccontato in seguito, a seminare indizi dei futuri sviluppi della vicenda, riuscendo a produrre, quando poi si verificano, un atteggiamento di "riconoscimento" da parte del lettore. Ed è un maestro di humor, dotato non soltanto di un gusto per il gioco di parole quasi joyciano, ma anche di un'ironia feroce (valga per tutti l'esempio offerto dall'inizio del capitolo nono della Vergogna) e di una straordinaria capacità di cogliere nel tragico l'aspetto comico-grottesco che costituiscono un motivo non secondario del "divertimento" del lettore nel momento in cui è chiamato a testimoniare di una realtà miserabile e crudele. Per "divertire" il lettore Rushdie ricorre spesso a lunghe digressioni (alla maniera dei raccontatori indiani ma anche e soprattutto nello stile del Tristram Shandy), che egli ritiene assolutamente indispensabili nell'economia dei suoi romanzi: i redattori della casa editrice dei Figli della mezzanotte gli avevano proposto dei tagli, che egli recisamente rifiutò. Mi sembra tuttavia che qui risieda il punto debole, o comunque un aspetto contraddittorio, della forma narrativa adottata da Rushdie. Effettivamente in alcuni casi le disgressioni presenti nei Figli della mezzanotte rappresentano un appesantimento della narrazione, una perdita di tensione, un girare a vuoto anziché un pirotecnico girare intorno al nucleo centrale del racconto. Eppure nella Vergogna, dove le digressioni hanno uno spazio minore, se ne sente quasi la mancanza, in quanto, come ovviamente ben sa l'autore, esse sono parte integrante e non esterna al racconto stesso. Un ultimo aspetto dell'opera Rushdie merita particolare attenzione, quello del rapporto con la Storia: I figli della mezzanotta copre il periodo che va dal 1915 al 1977, dai tempi dell'Impero all'Indipendenza, dalla nascita del Pakistan e dalla guerra del 1965 alla secessione del Pakistan orientale nel 1971; e le vicende della famiglia di Saleem Sinai, il narratore, sono strettamente legate alle vicende storiche del sub-continente indiano. Così le vicende del protagonista della Vergogna sono fittamente intrecciate alla storia del Pakistan. Ma il rapporto tra la vita dei singoli e la storia avviene totalmente al di fuori delle categorie familiari al romanzo occidentale. Per capirlo meglio possiamo prendere le mosse da una dichiarazione di Rushdie su-

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