Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

OSSERVAZIONI SULLINGUAGGIO DIUNBAMBINO Lodovico Terzi Da prima parola pronunciata da Pietrino, a circa dieci mesi di età, è cappe, cioè scarpe. Di pronunciare la parola "mamma" non ha bisogno, perché la mamma è lì, e Pietro è un bambino curato e seguito dai genitori. Comunque, impara presto a dire anche "mamma", avendo stabilito in precedenza, con la parola cappe, il principio della nominazione. La sua prima parola è il nome di un oggetto misterioso: non di un oggetto d'amore, che essendo posseduto non ha veramente bisogno di essere nominato, ma di un oggetto del mistero, nei confronti del quale la nominazione è il primo atto di possesso. Le scarpe, questi piedi smontabili che si tolgono e si mettono lì, sono per lui come una chiave enigmatica alla comprensione del corpo umano e del mondo esterno. Inoltre, per un bambino che si muove carponi o strisciando sul pavimento, sono proprio al suo livello, offerte alla sua osservazione. Pietrino ha una passione per le scarpe. Per controllare che, dicendo cappe, Pietrino sappia quale oggetto ha nominato, il padre gli dice di andare a prenderle, e il bimbo parte velocissimo su mani e ginocchia in direzione delle scarpe, le raggiunge e le brandisce. Fra le primissime parole di Pietrino c'è anche cav, le chiavi, un oggetto magico tintinnante che apre le porte e permette di passare da un mondo all'altro, dalla casa a fuori, dal silenzio al rumore, dal nido al cielo, e viceversa. È una parola importante anche perché fornisce il modello alla lingua monosillabica che Pietrino sta inventando e che userà per almeno sei mesi. Molte di queste parole finiscono per "v", e questa lettera messa alla fine del monosillabo indica la continuazione della parola, come dire "eccetera, eccetera". Cav-chiavi diventerà presto chiavo chiev, per distinguersi da altre due accezioni di cav: cav-acqua, e cavcamion. La lingua monosillabica di Pietro acquisisce più oggetti che parole, e la stessa parola deve quindi designare diversi oggetti. Pav, per esempio, significa "palla" e anche "pane". Mav significa "macchina" e anche "mare". Adesso, infatti, Pietrino è al mare e ha compiuto un anno. Oev sono le olive, me le albicocche,fafa le farfalle e anche le formiche (considero fafa un monosillabo, perché nel linguaggio infantile una sillaba ripetuta non è realmente un bisillabo). Il bambino si costruisce la sua lingua monosillabica con un criterio essenzialmente economico. Dopo il brillante esordio bisillabico di cappe-scarpe, Pietro ha bisogno di bruciare le tappe verso un linguaggio funzionale e a suo modo completo, e non può attardarsi nell'imitazione/ storpiatura del linguaggio adulto, complicato e confuso. Deve crearsi una lingua parallela e facile da pronunciare. Questa tendenza è chiarissima in alcune parole, come gna che significa "questo, questa". Gna non è una storpiatura della parola adulta come sarebbe il più comune "chetto, chetta" dei bambini un po' più grandi. Al contrario, gna è un analogo fonetico di "questo", nel senso che ha la stessa forza espressiva, lo stesso suono imperioso che serve a richiamare l'attenzione su un oggetto; ed è anche un analogo del ditino alzato con cui Pietro ha indicato finora e ancora indica gli oggetti che vuole. Gna è un'intuizione linguistica originale. Quella parte del linguaggio che riguarda le persone si sviluppa in stretto rapporto con una serie di tentativi di teorie sociologiche o modelli di società che il bambino va configu- .rando. Mamma è la mamma, ma è anche un termine liberamente usato per chi di volta in volta dà da mangiare a Pietrino. Nel primo caso è un nome proprio e privilegiato, nel secondo un nome comune, quello dei somministratori di cibo. Il rapporto fra il bimbo e i somministratori di cibo (di parole, di sorrisi, di giochi) è il primo modello di società elaborato da Pietrino. Ma già intervengono altre distinzioni. Il nonno arriva al mare e lo prende in braccio. Pietro gli mette una mano nello scollo della camicia, gli tocca un capezzolo, e dice: papà. Il papà, che come somministratore di cibo è chiamato a volte mamma, è però l'essere senza mammelle, il capofila e il modello di tutta una nuova categoria di esseri umani. La parola gnegne-nonna designa un somministratore di cibo particolare, inolto assiduo, autorevole e affettuoso, e merita quindi un nome a sé. Ma ci sono altri nonni e amici e zie, e in questa casa al mare c'è anche una tata che fa parte dell'entourage. Fuori, poi, c'è un mondo e una spiaggia che brulicano di persone sconosciute, che non si fermano a salutarti. La teoria dei somministratori di cibo non è più in grado di spiegare tutto questo. Particolarmente enigmatico è il fatto che il nome "nonno, nonna" si è moltiplicato fino a comprendere almeno quattro persone, e dunque sembra un nome collettivo. Pietrino.sta bevendo cav-acqua dal suo biberon e guarda il nonno, la nonna e la tata. Improvvisamente ha un lampo d'intelligenza negli occhi e indica i tre adulti uno dopo l'altro dicendo a turno: gnegne, gnegne e gnegne. È la sua seconda teoria sociologica, una teoria tribale. Gli gnegne sono i nostri, quelli che vanno, vengono, arrivano per il week-end e spariscono per il resto della settimana, ma quando ci sono si scambiano dei segni di riconoscimento, si abbracciano, ridono, mangiano insieme, fanno giocare Pietrino: sono quelli della nostra tribù. Gli altri sono altri. Pietro ha imparato a camminare, e dopo i primi metri percorsi da solo in stazione eretta i due gnegne presenti hanno esclamato: "Bravo!" La parola "bravo" accompagna tutte le prime fasi di questa esperienza e di altre analoghe, come quella di scalare alti gradini, o di prendere confidenza col mare. Così Pietrino adotta il bisillabo bavo, usandolo per designare il compimento di un'impresa. Pietro non sa cos'è una lode o un rimprovero. A malapena sa cos'è un diniego. Ma ha capito che compiere un'impresa, conseguire un risultato evolutivo e difficile, è qualcosa di più del generico avere un desiderio e soddisfarlo. Così, quando compie un'impresa lo si sente borbottare fra sé: Bavo! che per lui è come dire: "ce l'ho fatta!". Ora è inverno, Pietrino ha un anno e mezzo. Tira al pallone calci straordinari, e il nonno glieli ribatte. Ma è ora di tornare a casa. Il bimbo viene imbacuccato, preso in braccio e portato davanti all'ascensore. A questo punto il labbro co-

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