68 STORIE/LISPECTOR do un sorriso, "davvero non hai trascurato neppure un sasso ... Questo era il tuo lato infantile. Oppure era il tuo modo autentico di essere cane? e tutto il resto soltanto la farsa di essere mio? Infatti eri irriducibile. E scodinzolando tranquillo parevi rifiutare in silenzio il nome che ti avevo dato. Ah, sì, eri irriducibile: io non volevo che tu mangiassi carne perché non diventassi feroce, e un giorno tuttavia sei balzato sul tavolo e, tra le urla felici dei bambini, hai addentato la carne e, con una ferocia che non deriva da quello che si mangia, mi hai guardato muto e irriducibile con la carne in bocca. Perché, sebbene mio, non mi hai mai ceduto un po' del tuo passato e della tua natura. Inquieto, cominciavo a capire che da me non esigevi che ti cedessi niente della mia per amarti, e questo cominciava a infastidirmi. Era al fulcro della realtà resistente delle due nature che tu aspettavi che ci capissimo. La mia ferocia e la tua non dovevano interscambiarsi per dolcezza: questo era quanto a poco a poco mi insegnavi, ed era questo che si andava facendo pesante. Non chiedendomi nulla, mi chiedevi troppo. Da te stesso esigevi di essere un cane. Da me esigevi che io fossi un uomo. E io, fingevo come potevo. A volte, seduto sulle zampe di fronte a me, come mi tenevi d'occhio! A quel punto io guardavo il soffitto, tossivo, dissimulavo, mi guardavo le unghie. Ma niente ti commoveva: tu mi tenevi d'occhio! A chi lo avresti raccontato? Fingi - dicevo a me stesso, - svelto, fingi di essere un altro, parlagli in modo diverso, fagli una carezza, buttagli un osso - ma nulla ti distraeva: tu mi tenevi d'occhio! Sciocco che ero! Fremevo di orrore, ed eri tu l'innocente: se mi fossi girato e ti avessi all'improvviso mostrato il mio vero volto, ecco che tu te ne saresti andato alla porta col pelo irto, ferito per sempre. Oh, eri un cane che ogni giorno si poteva abbandonare. Era possibile scegliere. Ma tu, fiducioso, scodinzolavi. "A volte, toccato dalla tua perspicacia, riuscivo a vedere in te la tua angoscia. Non l'angoscia di essere cane, che era la tua unica forma possibile. Piuttosto l'angoscia di esistere in un modo così perfetto da diventare una felicità insopportabile: spiccavi allora un salto e venivi a leccarmi la faccia con amore totale, come fossi io colui che, attraverso l'amicizia, e un certo pericolo di odio, ti aveva scoperto. Adesso ho la matematica certezza che non sono stato io ad avere un cane. Sei stato tu che hai avuto una persona. "Ma hai posseduto una persona potente al punto da avere la facoltà di scegliere: e che quindi ti ha abbandonato. Ti ha abbandonato con sollievo. Con sollievo, sì, poiché da me - con l'incomprensione serena e semplice di chi è un cane eroico - tu esigevi che io fossi un uomo. Ti ha abbandonato con una scusa approvata in casa all'unanimità: come avrei potuto trasferirmi con bagagli e famiglia, e con un cane per giunta, con l'adattamento alla nuova scuola e alla nuova città, e con un cane per giunta? 'Che non ci sta da nessuna parte', diceva Maria con senso pratico. 'Che darà fastidio ai compagni di viaggio', spiegava mia suocera senza sapere che mi stava previamente giustificando, e i bambini si erano messi a piangere e io evitavo di guardare sia loro che te, J osé. Ma soltanto tu e io sappiamo che non ti ho abbandonato perché éri la costante possibilità del reato che non avevo mai commesso. La possibilità di commettere quel peccato che, alla maschera dei miei occhi, era già peccato. Ho perciò subito peccato per essere subito incolpato. E questo reato ha sostituito il reato più grave che non avrei mai avuto il coraggio di commettere", pensò l'uomo sempre più lucido. "Vari sono i modi per essere incolpati, perdersi definitivamente, tradirsi e non affrontarsi. lo ho scelto quella di ferire un cane", pensò l'uomo. "Poiché sapevo che quello sarebbe stato un delitto minore e che nessuno è dannato alle pene dell'inferno per avere abbandonato un cane che ha avuto fiducia in un uomo. Poiché sapevo che quel delitto è impunibile." Là seduto nella piana, la sua mente era fredda e intelligente. Solo ora sembrava rendersi conto, in tutta la sua gelida pienezza, di aver fatto al cane qualcosa di realmente impunibile e per sempre. Poiché non era stato ancora inventato un castigo per i grandi delitti dissimulati e per i profondi tradimenti. Un uomo riusciva a essere perfino più abile del Giudizio Universale. Per questo delitto nessuno lo avrebbe condannato. Nemmeno la Chiesa. "Tutti sono miei complici, José. Dovrei andar battendo di porta in porta e mendicare da loro accusa e punizione: ma tutti mi sbatterebbero la porta in faccia con espressione di colpo indurita. Per questo delitto nessuno mi condanna. Neppure tu, José, mi condanneresti. Basterebbe infatti che, da quella persona potente che io sono, scegliessi di chiamarti - e dal tuo abbandono nelle strade tu con un balzo verresti a leccarmi la guancia con gioia e perdono. Ti porgerei l'altra guancia da baciare." L'uomo si tolse gli occhiali, respirò, tornò a metterseli. Guardò la fossa coperta. Là dove aveva seppellito un cane sconosciuto, in omaggio al cane abbandonato. Cercando con un atto di bontà di punirsi e liberarsi del proprio reato. Proprio come chi fa l'elemosina per poter infine mangiare il dolce che ha impedito all'altro di mangiare il pane. Ma come se José, il cane abbandonato, esigesse da lui assai più della menzogna; come se esigesse che lui, in un impeto estremo, fosse un uomo - e come tale assumesse il proprio delitto-, guardava la fossa dove aveva seppellito la propria debolezza e la propria condizione. E adesso, ancor più matematico, faceva di tutto per non essersi punito. Non doveva venir consolato. Cercava freddamente un modo per distruggere la falsa sepoltura del cane sconosciuto. Si chinò e solenne, calmo, con movimenti semplici - disseppellì il cane. Il ca.ne scuro finalmente riapparve, intero, non familiare, la terra sulle ciglia, gli occhi aperti, cristallizzati. Così il professore di matematica aveva definitivamente rinnovato il suo delitto. A quel p:;;;io guardò intorno a sé, e guardò al cielo chiamandolo a testimone di quanto aveva fatto. E come se ancora non bastasse, prese a scendere la collina diretto al seno della sua famiglia. (traduzione di Adelina Aletti) Copyright Eredi Lispector I985.
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