Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

66 STORIE/LISPECTOR sta le corna. In lontananza passeggiava lentamente col suo dorso. Era un bufalo nero. Così scuro che, in distanza, il muso non aveva lineamenti. Sopra la nerezza il candore delle corna. Forse la donna se ne sarebbe andata, ma il silenzio era gradevole nell'ora del crepuscolo. E nel silenzio del recinto, i passi lenti, la polvere asciutta sotto gli zoccoli asciutti. In lontananza, nel suo calmo passeggio, il bufalo nero la guardò un istante. L'istante successivo, la donna vide di nuovo solo il duro muscolo del corpo. Forse non l'aveva guardata. Non poteva sapere, poiché delle tenebre della testa lei distingueva soltanto i contorni. Ma di nuovo fu come se il bufalo l'avesse vista o sentita. La donna eresse un po' la testa, la inclinò velocemente all'indietro, diffidente. Mantenendo il corpo immobile, la testa all'indietro, attese. E di nuovo fu come se il bufalo l'avesse notata. Come se lei non sopportasse di sentire ciò che aveva sentito, girò immediatamente la faccia e guardò un albero. Il suo cuore non battè nel petto, il cuore batteva vuoto tra lo stomaco e gli intestini. Il bufalo fece un altro lento giro. La polvere. La donna serrò i denti, l'intero volto le dolse un po'. Il bufalo con dorso nero. Nel luminoso crepuscolo era un corpo annerito di rabbia tranquilla. la donna lentamente sospirò. Una cosa bianca si era diffusa in lei, bianca come carta, fragile come carta, intensa come una bianchezza. La morte le ronzava negli orecchi. Ulteriori passi del bufalo la riportarono a se stessa e, in un nuovo prolungato sospiro, riemerse alla superficie. Non sapeva dove era stata. Stava in piedi, alquanto debole, emersa da quella cosa bianca e remota dove era stata. E da dove guardò nuovamente il bufalo. Il bufalo ora più grande. Il bufalo nero. Ah, disse all'improvviso con un dolore. Il bufalo di spalle e lei, immobile. Il volto sbiancato della donna non sapeva come chiamarlo. Ah!, disse provocandolo. Ah!, disse lei. Il suo viso era coperto di mortale biancore, il viso di colpo affilato in purezza e venerazione. Ah!, lo istigò a denti stretti. Ma dandole le spalle, il bufalo era interamente immobile. Prese un sasso da terra e lo scagliò dentro il recinto. L'immobilità del dorso ancora più nera si acquietò: il sasso rotolò inutile. Ah!, disse scuotendo le sbarre. Quella cosa bianca si diffondeva in lei, vischiosa come una saliva. Il bufalo di spalle. Ah!, disse. Ma questa volta perché in lei scorreva finalmente un primo rivolo di nero sangue. Il primo istante fu di dolore. Come se il mondo, perché questo sangue potesse scorrere, si fosse contratto. Restò ferma, la femmina disprezzata, sentendo gocciolare come in una grotta quel primo siero amaro. La sua forza era ancora prigioniera tra sbarre, ma una cosa incomprensibile e calda, finalmente incomprensibile, accadeva, una cosa come un'allegrezza sentita nella bocca. A quel punto il bufalo si girò verso di l'ei. Il bufalo si girò, si immobilizzò e, in distanza, la guardò fisso. Ti amo, disse lei allora con odio all'uomo la cui grave colpa impunibile era quella di non volerla. Ti odio, disse implorando amore dal bufalo. Infine provocato, il grande bufalo si avvicinò senza premura. Lui si avvicinava, la polvere si sollevava. La donna attese con le braccia penzoloni lungo la giacca. Adagio lui si avvicinava. Lei non indietreggiò di un solo passo. Finché lui arrivò all'inferriata e lì si fermò. Là stavano il bufalo e la donna, faccia a faccia. Lei non guardò il muso, né la bocca, né le corna. Guardò i suoi occhi. E gli occhi del bufalo, gli occhi guardarono gli occhi della donna. E fu lo scambio di un così profondo pallore che la donna s'intorpidì dormiente. In piedi, in profondo sonno. Occhi piccini e rossi la guardavano. Gli occhi del bufalo. La donna vacillò sorpresa, adagio dondolava la testa. Il bufalo calmo. Adagio la donna dondolava la testa, sconcertata dall'odio con cui il bufalo, tranquillo di odio, la guardava. Quasi resa innocente, dondolava una testa incredula, la bocca semiaperta. Innocente, curiosa, entrando sempre più profondamente in quegli occhi che senza premura la fissavano, ingenua, in un sospiro di sonno, senza volere né potere fuggire, prigioniera del mutuo assassinio. Prigioniera come se la sua mano si fosse definitivamente saldata al pugnale che lei stessa aveva conficcato. Prigioniera, mentre scivolava ammaliata lungo l'inferriata. In così lenta vertigine che prima che, soffice, il corpo crollasse la donna vide l'intero cielo e un bufalo. ILDELITTODELPROFESSORE DI MATEMATICA Quando l'uomo raggiunse la collina più alta, nella città sottostante le campane sonavano. Si vedevano solamente i tetti irregolari delle case. Accanto a lui c'era l'unico albero della piana. L'uomo stava in piedi con un pesante sacco in mano. Guardò verso il basso con occhi miopi. I cattolici stavano entrando in chiesa pian pianino e alla spicciolata, ed egli cercava di cogliere le voci sparse dei bambini disseminati nella piazza. Ma nonostante la limpidezza del mattino i suoni raggiungevano a stento il pianoro. Vedeva inoltre il fiume, che di lassù pareva immobile, e pensò: è domenica. Vide in distanza la montagna più alta con le scarpate riarse. Non faceva freddo, eppure si sistemò la giacca per meglio ripararsi. Infine posò con cura il sacco per terra. Si tolse gli occhiali forse per meglio respirare siccome, con gli occhiali in mano, respirò molto profondamente. La luce batteva sulle lenti che inviarono acuti segnali. Senza gli occhiali, i suoi occhi sbatterono chiari, quasi giovani, con scarsa dimestichezza. Si mise di nuovo gli occhiali, ridivenne un signore di mezz'età e prese nuovamente il sacco: pesava come fosse di sasso, pensò. Forzò la vista per distinguere la corrente del fiume, inclinò la testa per udire qualche rumore: il fiume era

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