Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

64 STORIE/LISPECTOR questo è amore, è ancora amore'', si ribellò la donna tentando di ritrovarsi col proprio odio, ma era primavera e due leoni si erano amati. I pugni nelle tasche della giacca, guardò intorno a sé, circondata dalle gabbie, ingabbiata dalle gabbie chiuse. Continuò a camminare. Gli occhi erano a tal punto concentrati nella ricerca che la vista talora si annebbiava in un sonno, e allora si riprendeva come nel refrigerio di una tomba. Ma la giraffa era una vergine dalle trecce appena tagliate. Con la stolida innocenza di ciò che è grande e leggero e senza colpa. La donna dalla giacca marrone distolse lo sguardo, sofferente, sofferente. Senza riuscire - davanti all'aerea giraffa ferma, davanti a quel silenzioso uccello senz'ali -, senza riuscire a trovare dentro di sé il punto più crudo della sua sofferenza, il punto più doloroso, il punto di odio, lei che era andata allo Zoo per stare male. Ma non davanti alla giraffa che era più paesaggio che un essere. Non davanti a quella carne che si era distaccata in altezza e distanza, la giraffa quasi verde. Cercò altri animali, tentava di imparare a odiare da loro. L'ippopotamo, l'ippopotamo umido. Il rotolo cilindrico di carne, carne rotonda e muta in attesa di altra carne cilindrica e muta. No. Per quell'umile amore nel mantenersi solo carne, quel dolce martirio nel non saper pensare·. - Ma era primavera e, serrando il pugno nella tasca della giacca, lei avrebbe ucciso quelle scimmie in levitazione nella gabbia, scimmie felici come erbe, scimmie che saltellavano gaie e vicine, la femmina con sguardo rassegnato d'amore e l'altra scimmia che allattava. Le avrebbe uccise con quindici secche pallottole: i denti della donna si contrassero fino a che la mascella non le fece male. La nudità delle scimmie. Il mondo che non vedeva pericolo nell'essere nudo. Avrebbe ucciso la nudità delle scimmie. Anche una scimmia la guardò tenendosi alla grata, le braccia scarnite aperte a crocefisso, il petto pelato esposto senza vergogna. Ma non al petto avrebbe sparato, in mezzo agli occhi della scimmia avrebbe sparato, in mezzo a quegli occhi che la guardavano senza muovere le palpebre. Improvvisamente la donna girò la faccia: gli occhi della scimmia avevano un bianco velo gelatinoso che copriva la pupilla, negli occhi la dolcezza della malattia, era una maschio vecchio - la donna girò la faccia, imprigionando tra i denti un sentimento che non era venuta a cercare, affrettò il passo, girò ancora una volta la testa sbalordita verso la scimmia a braccia aperte: la scimmia continuava a guardare diritto davanti a sé: "Oh, no, questo no", pensò. E mentre fuggiva, disse: "Dio, insegnami soltanto a odiare." "Ti odio", disse a un uomo la cui sola colpa era quella di non amarla. "Ti odio", disse in tutta fretta. Ma non sapeva neppure come si faceva. Come scavare nella terra fino a trovare la nera acqua, come aprirsi un varco nella dura terra e arrivare a se stessa? Camminò per lo Zoo tra madri e rampolli. Ma l'elefante sopportava il proprio peso. Quel'elefante massiccio cui era stata data la facoltà di schiacciare semplicemente con una zampa. Ma che non schiacciava. Quella potenza che si sarebbe comunque lasciata docilmente condurre a un circo, elefante di bambini. E gli occhi, in una bontà di vecchio, prigionieri nella grande carne ereditata. L'elefante orientale. Orientale anche la primavera, e tutto che nasceva, tutto che scorreva nel ruscello. La donna fece allora un tentativo col cammello. Il cammello in stracci, gibboso, che masticava se stesso, dedito al processo di conoscere il cibo. Si sentì debole e stanca, da due giorni non toccava quasi cibo. Le grandi ciglia impolverate del cammello su occhi che si erano dedicati alla pazienza di un artigianato interno. La pazienza, la pazienza, la pazienza, solo questo lei trovava nella primavera al vento. Lacrime riempirono gli occhi della donna, lacrime che non scorrevano, prigioniere dentro la pazienza della sua carne ereditata. Soltanto l'odore di polvere del cammello corrispondeva a ciò che era venuta a cercare: l'odio asciutto, non le lacrime. Si avvicinò alle sbarre del recinto, aspirò la polvere di quel vecchio tappeto dove grigio sangue si spargeva, cercò il tepore impuro, e il piacere le percorse la schiena fino al malessere, ma non ancora il malessere che lei era venuta a cercare. Nello stomaco si contrasse in uno spasmo di fame la voglia di uccidere. Ma non il cammello di stoppa. "Oh, Dio, chi a questo mondo mi sarà compagno?" E andò da-rola a raggiungere la propria violenza. Nel minuscolo parco divertimenti dello Zoo attese meditabonda nella fila dei fidanzati il suo turno per sedersi nella vetturetta delle montagne russe. E lì stava ora seduta, tranquilla nella giacca marrone. Il sedile ancora fermo, l'ingranaggio delle montagne russe ancora fermo. Separata da tutti sembrava sedesse in una chiesa. Gli occhi abbassati vedevano il terreno in mezzo alle rotaie. Il terreno dove semplicemente per amore - amore, amore, non l'amore! -, dove per puro amore nascevano in mezzo alle rotaie erbe di un tenero verde così stordito da farle distogliere lo sguardo in supplizio di tentazione. La brezza le rizzò i capelli sulla nuca, rabbrividì rifiutando, nella tentazione rifiutando, sempre così più facile amare. Ma di colpo fu quel volo di viscere, quell'arresto di un cuore che si sorprende nell'aria, quello sbigottimento, la furia vittoriosa con cui il sedile la precipitava nel nulla e immediatamente la sollevava come una bambola dalle gonnelle alzate, il risentimento profondo con cui lei divenne meccanica, il corpo automaticamente allegro - il grido delle fidanzate! -, il suo sguardo ferito dalla grande sorpresa, l'offesa, "facevano di lei quello che volevano", la grande offesa - il grido delle fidanzate! -, l'immenso stupore di stare spasmodicamente giocando, facevano di lei quello che volevano, di colpo la sua purezza messa a nudo. Quanti minuti? I minuti di un prolungato urlo di treno in curva, e l'allegria di un nuovo tuffo nell'aria che la insultava con un calcio, lei che danzava sbilanciata al vento, che danzava accelerata, lo volesse o no il corpo si scuoteva come quello di chi ride, quella sensazione di morire dalle risate, morte senza preavviso di chi non ha prima stracciato le carte del cassetto, non la morte degli altri, la sua, sempre la sua. Lei che avrebbe potuto

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==