Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

Mallika Sarabhai nel Mahabharata di Brook e Carrière. Tapa Sudano in un altro momento del Mahabharata. DISCUSSIONE/PICCIOLI tri dal suolo da un largo gradone. Vicino alla roccia un piccolo fiume artificiale scavalcato da una passerella; poi un ampio spiazzo in terra battuta; davanti, vicino alle tribune del pubblico, un laghetto; a un lato, sulla destra, una nicchia sassosa. Questo luogo accordava spazio a uno dei più straordinari eventi teatrali dei nostri anni: uno spettacolo semplicissimo e monumentale, che non rappresenta nulla, nel senso che non imita nulla, non è mai segno di un referente concreto, ma mostra, lascia apparire, rende visibile. Sull'alto gradone compaiono demoni terrificanti (che potranno però trasformarsi in tentanti fanciulle), scolte armate, spiriti misteriosi a stento percepibili tra frasche e sassi. Il fiume diventa di volta in volta confine tra il mondo della popolosa pianura e la foresta o la solitudine dei ghiacciai, oppure tra campi avversi, o tra la terra e il paradiso o gli inferi; ma anche elemento vitale da cui emergono seducenti divinità femminili, o passaggio verso spazi slargantisi su invisibili ma realissime contrade. Attorno allo specchio del lago si adunano pause purificatrici e momenti di raccoglimento o di pacata intensità, e magari dalle sue acque risuona la voce interrogante di un dio. Nella nicchia si sistema un'orchestra di cinque musicisti, che contrappunta coi suoi interventi tutta l'azione, interlocutrice anch'essa in una vicenda che è la storia del mondo. Di questo infatti sostanzialmente si tratta nel poema indiano, il cui titolo stesso potrebbe tradursi, con una certa libertà, come La grande storia dell'umanità. Narrata dalle sue origini archetipiche, quando gli dei, obbedendo anch'essi al destino, si incarnano negli uomini o soggiornano presso di loro, poi attraverso la guerra per l'impero del mondo che oppone due gruppi di cugini, i Panda va e i Kaurava, fino allo sterminio che segna, sorta di GOtterdtimmerung, la fine dei tempi. Questa è anche l'avvio di un nuovo ciclo, quello della presente umanità, pronta a ripetere la vicenda del suo leggendario modello, mentre i vecchi protagonisti, dopo tanta sventura e tanto dolore, dopo l'odio e il peregrinare e l'apprendere, si ritroveranno pacificati nelle "plaghe impensabili", dove con la parola e il sentimento si spegne anche l'illusione. Nei circa 450.000 versi del Mahabharata Brook e il suo drammaturgo Jean-Claude Carrière hanno ovviamente operato una scelta: eliminate le numerose ramificazioni e molte parti dottrinali (ma non la Bhagavadgita, che anzi, con la connessa epifania di Krishna, è il centro segreto dello spettacolo), si sono attenuti alla vicenda principale. Di questa però non tralasciano nulla, limitandosi a un diverso montaggio di alcuni episodi, a qualche spostamento interno (a esempio, per evidenti motivi di ritmo spettacolare, fanno esplodere in un contesto differente l'arma totale di Asvatthaman, quella che - prefigurazione dravidica o aria dello strapotere nucleare che ci sovrasta - rischia di distruggere•iJ mondo) e alla soppressione di alcuni personaggi, distribuendone però i tratti funzionali: così Vidura scompare per essere assorbito da Bhishma e da Yudhishthira. La terza parte, quella della guerra, è strutturata secondo 61 I

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==