petute a distanza di giorni e ricevere risposte differenti. Tutto ciò che è stato detto e fatto in reazione agli stimoli costituisce il materiale di base dello spettacolo: poco per volta si precisano nuclei tematici, si operano associazioni, spostamenti, sovrapposizioni, condensazioni. Il passo successivo è la selezione e il montaggio, da parte della regista, di vari "numeri" secondo una logica non intellettuale ma fisica o lirica. Sono evidenti le analogie col metodo di Eugenio Barba, anche se diversissimi ne sono gli approdi: in Barba c'è molto di più un processo di fagocitazione, da parte del -regista, del materiale fornitogli dagli attori e nello stesso tempo (e con contraddizione solo apparente) una tensione maggiore verso la "verità" individuale, l'autenticità dell'interprete. Ciò si traduce in una gestualità forte, a tutto tondo, che tocca lo spettacolo sul piano fisico ed emotivo prima ancora che egli osservi consapevolmente e coordini. Negli spettacoli della Bausch c'è spesso un'apparente tranquillità che solo in seconda istanza, rivelandosi a una più accurata contemplazione, si lacera in ironia o angoscia. Si ha l'impressione che a Wuppertal tutto nasca e proceda in un'atmosfera più "leggera" e più disincantata, meno politica e quindi anche più dolorosa: non sembrano possibili sbocchi all'azione fuori dello spazio teatrale e al gruppo dei teatranti, quasi coatti della scena come unico luogo di un'improbabile esistenza, non resta che insistere caparbiamente nella denuncia di un'impasse epocale. È una denuncia detta sempre in modi fascinosi, mai proclamata ma crudele e affilatissima, sorretta com'è dall'intelligenza e dall'humour. E alla fine di ogni spettacolo ci si accorge che per tre-quattro ore (è questa la durata media di una pièce del Tanztheater) siamo stati come ipnotizzati da un'estesa fenomenologia della desolazione quotidiana. Tutte le opere della Bausch ruotano infatti attorno a pochi temi essenziali: la solitudine; il bisogno d'amore (nel duplice senso d'essere amati e di riuscire ad amare); l'incomprensione tra i due sessi portata fino alla lotta; il narcisismo e l'aggressività maschili e la passività oggettuale delle donne, condannate a esser seducenti; l'irrecuperabile libertà dell'infanzia e le regole che costringono il mondo adulto in una normalità fatalmente votata a irrigidirsi in normatività; il teatro, infine, come esibizione e gioco collettivo, convenzione e isolamento, autenticità e orpello, luogo di relazioni impossibili ma continuamente ritentate. Il sociale è costantemente presente, ma ridotto a gioco di società, a bamboleggiamento sadico, ad attività cieca in cui ogni intenzione si distorce nel suo contrario, con un effetto straniante che aumenta la radicalità della critica: la tenerezza diventa querula o aggressiva, la comunicazione sfasata, la sofferenza spettacolo e la pietà indifferenza. E ogni pièce è una deriva nella banalità del quotidiano, ma anche nelle ossessioni e nei bisogni di oggi. Dei rituali del nostro vivere comune si colgono gli elementi minimali, i tic, gli stereotipi; su questi si fissa l'attenzione: sono come pantografati e così se ne mostra l'impersonale vuotezza. Ma nello stesso tempo si rivelano le crepe di queDISCUSSIONE/PICCIOLI sta esistenza, la nostalgia per una pienezza che forse non c'è mai stata e l'aspirazione a un'implausibile significatività. Questa enciclopedia monumentale della minimalità si distende in storie senza trama apparente: i nuclei narrativi che durante le prove nascono dalle improvvisazioni degli attori, nello spettacolo vengono accuratamente nascosti, decontestualizzati e incapsulati in leit-motive che ricorrono circolarmente, in un processo di gemmazione interna molto vicino a quello di una composizione musicale che continuamente si richiude su di sé. Una sorta di "melodia infinita" dell'immagìne e del gesto, che procede secondo costanti stilistiche inconfondibili nonostante le numerose e a volte anche pregevoli imitazioni. Anzitutto la tecnica del movimento. L'energia e l'espressione si irradiano dal centro del corpo verso gli arti, traducendosi soprattutto in torsioni del busto e delle braccia, flessioni improvvise, in cui il corpo si raccoglie su di sé per poi rilanciarsi verso l'alto ("Come la fronda che flette la cima/ nel transito del vento, e poi si leva / per la propria virtù che la sublima"), tracciati circolari delle braccia nell'aria, divaricazione delle gambe. È un movimento discorsivo (nel senso etimologico sottolineato da Barthes: "Dis-cursus indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i 'passi', gli 'intrighi"'), con continue legature tra una figura e l'altra: anche quando si immobilizza, il gesto è sempre lavorato da Pina Bausch (!010 di Alberto Roveri). 59
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