ILFASCINODELLADESOLAZIONE E LAMAGIADELTEATRO GianandreaPiccioli D ra maggio e giugno c'è stata a Venezia la grande antologia del Wuppertaler Tanztheater di Pina Bausch, organizzata dalla Biennale Teatro insieme con La Fenice; in luglio il Centre international de créations théatrales di Peter Brook ha presentato al festival di Avignone la prima del Mahabharata (lo spettacolo sarà in Italia, a Prato, in autunno). Ma non è l'occasionale contiguità di questi due momenti teatrali, né l'indiscussa rilevanza culturale di entrambi, il motivo per il quale vengono qui accostati. Il fatto è che nella loro diversità si avvertono elementi che li pongono nella stessa costellazione e pertanto, attraverso di essi, è possibile descrivere due teatri agli antipodi per tecnica e stile, e quindi per poetica, ma insieme lontanissimi dal grigiore della scena ufficiale e dalla restaurazione che ormai vi regna. Entrambi sono internazionali, composti cioè da individui che sradicandosi, senza rinnegarla, dalla propria tradizione cercano nell'ensemble il terreno in cui far attecchire una diversa cultura collettiva. Per questo a Wuppertal come a Parigi il regista riveste innanzi tutto una funzione maieutica e solo secondariamente si pone come tecnico della comunicazione spettacolare. In entrambi, poi, si concepisce il lavoro teatrale quale itinerario conoscitivo, vale a dire quale possibilità di esplorare dietro le apparenze della realtà, al di là dei limiti noti di sé e del sociale; ciò riguarda, conseguentemente, anche lo spettatore, che si trova coinvolto in un processo di trasformazione, stimolato a ripercorrere e ad approfondire un'esperienza di cui è stato fatto partecipe, arricchito dall'incontro con gli attori nella consapevolezza di sé, della propria realtà e dei propri sogni. In entrambi, infine, e non lo considero affatto un risultato secondario, il piacere dello stare insieme e il divertimento del lavoro in comune, nettamente percepibili, mettono in moto delle energie che si comunicano a chi assiste. Per questi motivi, oltre che per le operazioni condotte sui linguaggi adottati e prima ancora che per gli esiti artistici o per i contenuti che passano negli spettacoli, sono due teatri che sfuggono al codice accettato di rapporti ed equilibri. Non si lasciano consumare, nemmeno dal consenso, sono centrifughi rispetto all'omologazione dello spettacolo elettronico, si pongono nella differenza tra il ripetibile e l'indicibile, l'automatico e il personale, il superfluo e il necessario. La loro trasgressività è sottile, ma spiazzante, tutta giocata sull'understatement: rifiutano l'indisciplina, così facilmente elargita nel sistema culturale contemporaneo e sulla cui valenza eversiva troppo si illudono tanti progetti, per rivendicare piuttosto il diritto al disadattamento. È difficile parlare adeguatamente di Pina Bausch in uno spazio per necessità breve e non solo perché a Venezia è stata presentata un'ampia scelta della produzione del Wuppertaler Tanztheater, facendo in qualche modo il punto di un'attività di anni, o perché bisognerebbe soffermarsi su ciascuno dei suoi attori-danzatori, tutti da ricordare per l'apporto insostituibile che recano alle creazioni della loro regista (cito qui almeno Rolf Borzik, scenografo e compagno della Bausch fino all'anno della sua morte, 1980; Anne Marie Benati, Josephine Ann Endicott, Mechtild Grossmann, Kyomi lchida, Silvia Kesselheim, Beatrice Libonati, Anne Martin, Nazareth Panadero; Lutz FOrster, Ed Kortland, Dominique Mercy, Jan Minarik, Jean-Laurent Sasportes, Janusz Subicz ... ). C'è una ragione più sottile e legata alle modalità con cui si offre il lavoro della Bausch: su di esso tutto è stato detto, ma si ha sempre l'impressione che l'essenziale sfugga, che non sia mai definibile se non per approssimazioni successive o per traduzioni personalissime tali da alludere in qualche modo all'oggetto nella soggettività della reazione. Sfuggente, oscillante, inevitabilmente imprecisa la definizione da applicare ai suoi spettacoli. Teatro-danza, dice la coreografa-regista, e lo spettatore professionista tende a sottolineare ora l'uno ora l'altro dei due aspetti, in sintonia con la propria cultura e i propri interessi prevalenti. La formazione della Bausch avviene senz'altro nell'ambito della danza: allieva di Kurt Jooss, come Reinhild Hoffmann e Susanne Linke, e poi un intenso apprendistato negli Stati Uniti con Anthony Tudor. Storicamente però è ormai accertato il suo distacco dalla danza classica e dalla modem dance e l'originalità, anche nei confronti della postmodern, di una ricerca che sfondando i confini linguistici e le limitazioni di genere, in sintonia con tutto il "nuovo teatro", sperimenta inedite possibilità espressive. Come nella danza moderna il movimento non è subordinato a un codice preesistente, non tende al "bello" e all'esibizione tecnica o virtuosa. Ma diversamente dalla danza, almeno negli ultimi lavori, la musica non ha una funzione ordinatrice, né struttura i tempi dell'azione o governa il movimento e il gesto. Emessa da gracchianti altoparlanti, con una sprezzatura che da tratto meramente formale si trasforma subito in allusione a una pienezza estetica rimpianta, è un elemento scenico tra gli altri, usato spesso in chiave parodistica o come controcanto o come pretesto di consumo sentimentale o come stimolo per improvvisazioni. Pienamente teatrale è poi l'uso del corpo, che diventa uno strumento di interrogazione e di conoscenza, e come nel teatro l'analisi linguistica, l'esplorazioneformazione di un lessico e di una grammatica, anche quando svincolata dai significati, è comunque sempre sottodeterminata rispetto alla situazione scenica: può mancare una trama riconoscibile, ma c'é sempre un intreccio di motivi. Del tutto teatrali sono infine l'attenzione per ogni accadimento sensoriale, l'uso della parola (sempre più frequente negli ultimi spettacoli), la ricerca di una più articolata comunicazione col pubblico. • All'universo teatrale può rimandare anche il metodo con cui la Bausch costruisce i propri spettacoli. Punto di partenza sono sempre fitti questionari dove si mescolano domande molto personali, "penitenze" da giochi di salotto, richieste di semplici improvvisazioni. A essi gli attori rispondono immediatamente, talvolta a voce più spesso con azioni individuali o di gruppo. Le stesse domande possono essere poi ri-
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