56 Roberto Sturno e Glauco Mauri nel Filottete. • r 1 Glauco Mauri nel Filottete. riva troppo tardi rispetto alla realtà cui si fa riferimento, e diventa concreta quando ormai la realtà che essa traduce non esiste più. E un'arte "ritardataria" diventa sempre commerciale. È la differenza tra successo e effetto di cui ha parlato anche Brecht: si è sempre rapiti dal successo prima che se ne sia sentito l'effetto, prima che le conseguenze siano diventate tangibili. E !"'effetto" ci può essere soltanto quando a teatro il pubblico è diviso. Ma quando non c'è unanimità non c'è mai successo. Successo è quando tutti applaudono, quando non viene çomunicato più nulla. Per questo uno spettacolo può essere condannato a morte con un applauso. Però, in Germania, si comincia a dire che lei scrive sempre le stesse cose, le solite visioni apocalittiche, di sangue e di morte, le rivoluzionijallite, la storia come macello universale. È giusto che si sottolinei talepessimismo storico, ma ripeterlo in continuazione potrebbe essere controproducente: alla fine lo spettatore è "vaccinato", non si può più parlare né di conflitto né di effetto. In realtà, sento semplicemente di dover scrivere così. O meglio, no: vorrei che la gente pensasse: ma è terribile, non devono permettere che a teatro facciano vedere scene così forti, sconcezze così orribili. E già tanto che la gente sia costretta a pensare; o che si chieda: come mi sarei comportato io in una situazione simile? Voglio che Io spettatore capisca che anch'egli, in determinate situazioni, è un fascista potenziale. Bisogna indagare sul fascismo dei desideri; e chi cerca di sottrarsi, con formule morali, al "desiderio" di fascismo, si autoesclude dalla possibilità di comprendere tale fenomeno. Ritornando alla sua domanda, detto tra noi, è anni che vorrei scrivere una commedia, mi sforzo, ma non mi viene in mente niente; inoltre sono sicuro che mi annoierei a scriverla. A quanto pare, invece, scrivere di massacri non l'annoia. Un meccanismo perverso, insomma ... Si può chiamare così. In effetti mi piace scrivere di teatro perché mi permette di affermare una cosa e contemporaneamente il suo contrario. Parlo della storia, ne sono ossessionato, ma al tempo stesso la nego, anzi faccio addirittura vedere come il concetto di storia non esista più. La storia si sta allontanando sempre più dal mondo industrializzato, in particolare dall'Europa occidentale; essa, se esiste ancora, si sta svolgendo non qui, ma altrnve, in altre parti del mondo, in paesi come l'Asia, l'Africa, l'America Latina. La storia come la si intendeva prima non esiste più, come qualcosa, cioè, che era destinato a cambiare le strutture. E un cambiamento politico in Europa avverrà solo se si verificheranno cambiamenti radicali proprio in quei continenti. Per questo oggi è più importante seguire cosa succede tra Washington e il Nicaragua, piuttosto che tra Berlino e Bonn. Tornando al teatro e al suo meccanismo perverso, mi viene in mente che Freud disse una volta, citando Nietzsche, che gli autori drammatici sono persone cattive, pericolose; e che il presupposto del talento drammatico è una personalità particolarmente squilibrata; deviata, insomma. Forse è così (ride). Io so solo che scrivere un dramma mi piace perché mi fa sentire più vivo, per esempio, che quando scrivo un'opera in prosa. Se scrivo un racconto devo starmene seduto tutto il tempo; un'opera teatrale, invece, la posso, anzi la devo scrivere stando in movimento (ride). E mi piace usare il teatro per costruire spazi fantastici; ecco, questo sarebbe un compito politico. Il teatro esprime al meglio la forza del mito; e secondo me il mito, che dà voce alle esperienze collettive, non è altro che un sogno, ed è nostro dovere far sì che diventi realtà. Anche per questo mi hanno sempre interessato le parabole mitologiche. Negli anni cinquanta mi aveva colpito il fatto che i processi, i conflitti riscontrabili nella letteratura drammatica greca avessero tutti a che fare con la nascita della società classista. E in quegli anni, invece, lo scopo principale era di liquidare questo concetto di società; quindi si imponeva un nuovo modo di vedere quelle storie antiche. Oggi non vorrei più rielaborare classici greci. Ma c'erano, allora, motivi validi per farlo: non si poteva scrivere un libro sullo stalinismo, per esempio. Si aveva bisogno di un modello per poter porre determinate domande. La gente, comunque, da noi capisce subito di che cosa in 'realtà si stia parlando, mentre all'Ovest queste mie opere erano guardate con perplessità, le si considerava l'ennesima variazione su un dramma antico. All'Ovest non si è abituati a vedere, a sentire il silenzio tra le parole, tra le frasi: vi si vede solo uno spazio vuoto. Allora si obiettava che le mie opere erano troppo indirette - e anche che il mio linguaggio era troppo colto, artificioso -; ma questo è dovuto in parte alla situazione storica del socialismo, anche della RDT, che tutto sia così mediato. Dal momento in cui la rivoluzione russa - fatta nella speranza che comportasse una rivolta anche
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