Annelies R6mer e Hilmar Thate in una messinscena di Canti prussiani. Se non altro è un modo per tornare a parlare della sua tanto discussa eredità. Discussa e discutibile: Brecht secondo me è colpevole di aver troppo razionalizzato i suoi testi, di averli ridotti a formule. Dobbiamo renderci conto che, per i testi che stiamo scrivendo, forse ambigui, scioccanti, ma mai prevedibili, la Storia deve ancora essere inventata. Eppure, lei usa Brecht ... Lo uso ma lo critico; se non lo facessi lo tradirei, e Brecht va tradito perché la sua lezione possa essere recuperata. Dobbiamo tenere presente che, durante gli anni dell'esilio, dal 1933 al 1948, Brecht rimase estraneo alle lotte di classe in Germania. Il risultato è stato una crescente astrazione, e la produzione teatrale del Brecht maturo non va oltre un regolare esercizio del mestiere di drammaturgo operante nella lotta di classe, esercizio collaudato più in teoria che in pratica. Le sue opere "classiche" - Il cerchio di gesso del Caucaso, L'anima buona del Sezuan, Punti/a - vogliono spiegare troppo, tutto. E si basano su una visione del mondo molto semplificata, su una spartizione del mondo (e della storia) in prerivoluzionario e postrivoluzionario. E con questa spartizione, almeno nella RDT, non si può fare teatro politico. Non si può semplicemente far vedere in scena quanto sia orribile il capitalismo e credere che la gente vada a casa contenta e trovi bello il socialismo. Eppure sono convinto che queste opere tarde di Brecht contengano un potenziale politico esplosivo anche per noi dell'Est, ma bisognerebbe farle saltare per aria, mandarle in pezzi, rompere questa canonizzazione. Magari mettendole in scena in modo diverso da come ha fatto Brecht. Occorre accostarsi in modo nuovo a questi testi perché ritornino a funzionare. Per me sono molto più importanti le opere prime di Brecht perché per loro vale ciò che egli disse a proposito dello Sturm und Drang. Disse che c'era ancora tantissimo materiale allo stato grezzo da sfruttare, perché non ancora diventato forma, non ancora elaborato dal punto di vista formale. E questo in realtà può valere anche per le opere tarde di Brecht, di cui l'unica eccezione è per me il Galileo: né troppo astratto né troppo didascalico. E il compito di un dramma è proprio quello di invitare lo spettatore a riflettere su di sé come uomo, a non ignorare i lati bui della propria personalità, a interrogarsi sulla propria connivenza col potere, anzi sul proprio status di assassino potenziale, quale è ognuno di noi. Si possono, anzi si debbono scrivere anche cose inconfessabili, inammissibili. Un po' come fece Brecht nel Fatzer. Ma il Fatzer è rimasto incompiuto ... Esattamente. Ma quest'opera lasciata in incubazione è però importante perché fa da cerniera tra i primi drammi, quelli anarchici, e quelli posteriori, ormai legati al partito. E quindi il Fatzer rispecchia una situazione di passaggio estremamente interessante. Anche la storia lo è. È la vicenda di cinque soldati che durante la prima guerra mondiale decidono di disertare, si nascondono e aspèttano la rivoluzione. Che ovviamente non arriva. E allora cominciano a farsi fuori l'un l'altro, perché hanno capito che per il fine che si sono proposti mancano loro le energie. Ed è una situazione che in Germania si è realmente verificata. È proprio così che le forze di sinistra sono scemate, si sono distrutte da sole ... Ma il Fatzer mi interessa anche per altri motivi. Per esempio, è l'unico testo in cui Brecht - come Goethe col Faust - si sia preso la libertà di sperimentare, si sia sentito esentato dall'obbligo di sfornare un'opera perfetta, ben confezionata, da destinare a un dato pubblico, a un mercato. Il testo del Fatzer è preideologico, il linguaggio non formula risultati di pensiero, ma ne scandisce il ritmo, i processi. Oggi bisogna puntare più sui processi che sugli esiti. Da voi è più difficile, perché si deve vendere qualcosa. E la vendita implica il buon confezionamento di un dato prodotto, mentre un frammento, per esempio, un'opera rimasta incompiuta, è impossibile da impacchettare. Non bisogna far credere agli spettatori che tutto abbia un'inizio e una fine, bisogna che essi rimangano aperti a stimoli, a effetti, che si confrontino con dei problemi, con delle domande; e mai bisogna dare già sul palcoscenico una risposta. Altrimenti si ruba il lavoro al pubblico. E invece occorre dimostrare che un dramma si svolge non sul palcoscenico, ma tra questo e la platea. Tra i due ci deve essere un rapporto conflittuale, sempre. Lei insomma crede ai conflitti, ne è attirato. E se un giorno trovasse la soluzione di questi conflitti? Che noia sarebbe trovare delle soluzioni già pronte per ogni conflitto! Uno non saprebbe più che cosa scrivere. È impossibile scrivere qualcosa partendo già da una soluzione. E anche il pubblico deve venir messo in una situazione conflittuale. Una funzione del teatro è anche quella di dividere il pubblico. Quello che voglio dire è che l'arte arriva sempre "in ritardo": una formulazione artistica ar55
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