vo vecchio petit bourgeois non è rimasto lo stesso. Le figure Biedermaier di piccoli artigiani, di proprietari terrieri, di borghesi colti e di notabili non hanno più il ruolo centrale di un tempo. (Uno sguardo al Parlamento tedesco mostra tuttavia che questa specie non è affatto estinta.) Comunque, il ceto medio, apparentemente senza troppe difficoltà, si è rifatto di tutte le sue perdite, e si è addirittura esteso quantitativamente, tenace e inosservato come l'erba cattiva. Ad ogni cambiamento strutturale della società ha, per così dire, gettato nuove radici. La tecnologizzazione della produzione, la crescita di settori terziari dell'economia, la dilatazione delle amministrazioni pubbliche e private, l'espansione dell'industria culturale, le istituzioni pedagogiche e mediche: in tutte queste attività, la piccola borghesia è sempre stata presente. Ed anche dopo ogni riassestamento politico, essa si è subito installata negli apparati di nuova formazione dei partiti e dello Stato, e non solo ha difeso, ma anche ampliato, la sua posizione nella società. (... ) "Oggi, questa classe brulica di uomini d'avanguardia e nessuno è più occupato di loro a cogliere la palla al balzo quando si tratta dell'ultima moda. È sempre al corrente di tutto. Nessuno è più pronto del piccolo borghese a mutare rapidamente ideologie, abiti, comportamenti e abitudini. È un nuovo Proteo, capace di apprendere fino al punto di rischiare la propria identità. Sempre in fuga da ciò che invecchia, rincorre all'infinito se stesso". (Sulla piccola borghesia, li Saggiatore 1983, pp. 6 e 9) Avere stile Queste lunghe citazioni erano necessarie per richiamare più vivamente possibile il rapporto di contiguità e di osmosi che nell'ultimo decennio ha tenuto insieme tre elementi ben visibili del panorama italiano: - La crisi, la sconfitta e la metamorfosi culturale di tutta la Sinistra. - La presenza diffusa e pervasiva di un nuovo "ceto emergente", composto in prevalenza da individui e gruppi che vengono da sinistra ma che tendono ad abbandonare comportamenti e valori "di sinistra" per affermarsi, di fatto, nella società così com'è. - La riscoperta della Letteratura (della "creatività" e in genere dei "valori culturali") come attributo di ceto e come status symbol: mezzo di autoaffermazione e promozione più che veicolo di conoscenza, sintomo di conflitto e immaginazione alternativa. Forse si tratta di una maligna suggestione, ma niente ha fatto pensare recentemente alle descrizioni classiche o a quelle aggionate della Piccola Borghesia quanto l'onnivoro trasformismo dei tipi intellettuali presenti sulla scena. Anche la produzione e il consumo di letteratura sembrano essere anzitutto un modo di esprimersi di questa classe o quasi classe difficilmente definibile. Quelli che nella seconda metà degli anni Settanta venivano chiamati "i nuovi Soggetti Sociali" (soprattutto giovani scolarizzati e donne emarginate dai luoghi di produzione e di potere), politicamente e sindacalmente molto combattivi, hanno visto in seguito frustrate le loro aspettative più ambiziose e, costretti sulla difensiva dalla mutata situazione politica, hanno cambiato pelle. Culturalmente si rifugiano in una Nuova Soggettività pronta a dare fondo all'intera tradizione culturale, opportunamente DISCUSSIONE/BERARDINELLI manipolata e ridotta in briciole, pur di crearsi una confortevole immagine di sé, un'identità attraente e suggestiva. È questo il pubblico più vasto e anche più "avvertito" della cultura. Un pubblico ipersensibile ad ogni richiamo, che si è riconosciuto, contemporaneamente, nei film di Wim Wenders e di Nanni Moretti, che adora New York e la "finis Austriae", che legge e tiene sul comodino Il nome della rosa perché è un libro divertente e istruttivo, che non manca di curiosare ansiosamente fra le pagine di "Alfabeta", che consuma in tutte le forme qualsiasi cosa abbia a che fare con Nietzsche e con la psicanalisi, che si porta sempre dietro un libro Adelphi come si porta un distintivo di riconoscimento, che considera il Beaubourg la più alta manifestazione della cultura contemporanea. In questo pubblico "intelligente" (a cui da sempre si rivolge un settimanale come "L'Espresso") c'è in realtà molto candore, un atteggiamento di fondo essenzialmente acritico e soprattutto una sete inestinguibile di identità, di identificazione, di adeguamento e di appartenenza. La letteratura entra a far parte oggi del suo perpetuo maquillage culturale come un ingrediente. particolarmente ricercato e apprezzato. Così, qualcosa di blandamente letterario, di letterariamente accattivamente, di esteticamente ammiccante si trova ormai, in dosi sempre più consistenti, nella corrente produzione giornalistica, filosofica, filosofico-giornalistica, storiografica e politologica: ma senza che questo comporti un reale miglioramento della qualità della prosa e delle elaborazioni intellettuali che in quella prosa vengono espresse. L'aggiunta di qualche ghirigoro letterario o la forma della story in cui ci vengono servite recensioni televisive, cronache calcistiche e commenti politici (più raramente) sono quote aggiuntive di "letterarietà" la cui funzione è solo di rendere appena commestibili dei contenuti scadenti. Quando "avere stile" diventa una specie di obbligo sociale, si assiste a tutta una serie di improvvisazioni grottesche. I manager culturali filosofeggiano paternamente (Piero Ottone: Le regole del gioco), i teorici dell'immoralismo eversivo esibiscono un background morale (Toni Negri: Pipe-fine), i politici della letteratura si sforzano di avere un'anima (Alberto Asor Rosa: L'ultimo paradosso). Prima ancora che arrivasse qualche libro capace di fornire una rappresentazione critica e un ritratto attendibile della nuova middle class italiana, della sua cultura e posizione sociale, questa classe si è impadronita di nuovo dello "strumento letterario" che tempo fa le era sembrato superfluo e improduttivo: ed ora se ne serve non certo a fini di autoscienza (autodenuncia?) ma, beninteso, a fini di autopromozione spirituale. In poesia, d'altra parte, la situazione è ancora più oscura. Da quando il solo pubblico della poesia sono gli autori, il pubblico in quanto tale, cioè in quanto rappresentante di un "principio di realtà", ha cessato quasi totalmente di esistere. Al suo posto troviamo una folla di produttori potenziali che aspettano con impazienza il loro turno, generalmente sordi ad ogni messaggio che richieda una certa dose 51
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