Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

Jordan Radickov (foto di Bruno Murialdo). CAMPAGNEACITTÀ INCONTRCOONJORDANRADICKOV a cura di Danilo Manera Vuoi dirci qualcosa della letteratura bulgara? Quella bulgara è una letteratura che non mi so spiegare: frutto più dell'intuizione che delle scuole, ricorda il corso d'un fiume che vaga qua e là, serpeggia, svolta e ritorna su se stesso, e così, presto o tardi, giungerà alla sua meta. Se i critici potessero decidere il suo tragitto, traccerebbero una linea retta e tanti saluti. Invece la nostra letteratura cerca percorsi intricati per riuscire ad ascoltare la preghiera del musulmano, la triste canzone del greco o gli improperi del rumeno che corre scalzo inseguendo la sua bombetta tascinata dal vento. Da noi i villaggi sono costruiti in fondo alle vallate, non sulla cima delle colline come in Italia. Il bulgaro cerca sempre di nascondersi in mezzo alla natura, di non farsi trovare. Anche quando scrive, fa come i bambini, che nascondono quello che scrivono con la mano. I bulgari sono molto legati alla terra: nel nostro folcklore Mastor Mano!, dopo aver costruito una stupenda moschea, si fabbrica sul tetto splendide ali di legno per tornare a casa. Comparate con Dedalo e Icaro ... Non abbiamo più quasi nessun rapporto con le nostre ricche lettere medievali, le più antiche tra tutte quelle slave, orgoglio e segno distintivo della nazione anche nei secoli del giogo ottomano. Solo Stanev ha tentato di ritessere un legame, nei romanzi La leggenda di Sibin, principe di Preslav e L'Anticristo. C'è continuità invece con lo slancio illuministico-risorgimentale dell'Ottocento, che ha prodotto però uno sviluppo rapido e a volte affrettato, dove in pochi anni si sono bruciate esperienze durate decenni altrove, tanto che la nostra letteratura sembra uno studente in ritardo che faccia le scale della scuola a tre gradini per volta. Accanto ad ottime voci d'opera abbiamo comunque narratori prestigiosi, di livello europeo, specialmente nei generi del racconto e della novella, come i contemporanei E. Stanev, P. Vezinov, I. Petrov, N. Chajtov, G. Stoev. Il bulgaro ama monologare, per questo non ci sono da noi opere drammatiche di grande levatura. Ci piace soprattutto raccontarci storie. In un mondo dove si parla sempre meno, da noi la parola ha ancora una grande dignità. Potrà sembrare ingenuo a popoli più colti, ma il 24 maggio abbiamo una festa importantissima, quella dell'alfabeto. Nella regione da cui provengo si tramandano poche canzoni, ma moltissime maledizioni. Si crede molto al vivo potere magico della parola. Peccato che anche da noi la letteratura si insegni fin dalle prime classi delle scuole in modo così perfetto che, finita l'Università, gli studenti non aprono più un libro. Nei tuoi racconti c'è qualcosa di autobiografico? Cerkazki ha naturalmente qualcosa di Kalimanica, il paesino di montagna in cui sono nato e dove ho trascorso infanzia e adolescenza, che poi è scomparso nel bacino d'una diga e non esiste ormai più se non nel ricordo. E alcune storie rammentano quelle che ho sentito tante volte narrare da mia madre e da mio zio Gavril. Ma poi, scrivendo, ci si muove in mondo immaginario, poco interessato alla verosimiglianza, con i suoi boschi, i suoi animali e i suoi segreti, e solo in questo mondo si crede. Non so se questi vagabondaggi siano a modo loro un'autobiografia ... A Kalimanica c'erano tre cimiteri: quello romano, rimasto da un antico insediamento, quello turco del tempo della dominazione ottomana e quello cristiano ortodosso. Ne venivano fuori tre diversi tipi di vampiri e spiriti, che ingarbugliavano e moltiplicavano eventi e incontri soprannaturali, e non di rado litigavano persino tra loro. Col latte materno ho succhiato leggende. Che rapporto hanno con la demonologia popolare creature fantastiche quali il verbljud e il tenec, che compaiono nei tuoi racconti? Il verb/jud è completamente inventato, rappresenta la forza sconosciuta che ci circonda e stravolge tutto quello che facciamo. Quanto al tenec, è una credenza popolare: il suo nome è connesso ad una radice anticoslava che significa "ombra" e il senso è forse che per quanto lunga sia la vita di un uomo, non gli

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