-. ··\-\_\" _., 1. l I i,, ' ~~ \ U I Amos Tutuola al premio Grinzane - Cavour 1985 (foto di Bruno Murialdo). COMESCRIVERE UNRACCONTOY RUBA Amos Tutuola COME ÈNATO"ILBEVITORE DIVINODIPALMA" Da ragazzo frequentavo la scuola di Abeokuta, mia città natale, mentre i miei genitori vivevano al villaggio. Loro facevano gli agricoltori. Tutte le volte che avevamo vacanza, io andavo a trovare i miei genitori al villaggio. Come ho detto, erano agricoltori e io li seguivo alla fattoria e lavoravo con loro dalla mattina fino verso le sei del pomeriggio, quando facevamo ritorno al villaggio. Dopo cena, noi ragazzini ci fermavamo a giocare sotto la luna. Ogni sera arrivavano gli amici di mio padre, si riposavano, si divertivano, trascorrevano insieme la serata. Mio padre stendeva una stuoia davanti alla casa, e sulla stuoia si accomodavano lui e tutti i suoi amici. Prima commentavano gli avvenimenti della giornata, poi si mettevano a raccontare varie storie yoruba. Appena si mettevano a raccontare, io andavo a sedermi accanto a loro e ascoltavo le loro storie. Così ognuno raccontava le storie che sapeva. Raccontare storie era uno dei loro passatempi preferiti. Con mia grande felicità, c'era tra loro un uomo molto vecchio che raccontava storie bellissime. Storie davvero affascinanti e con una morale più pratica di quella che avevano le storie degli altri. Dopo aver raccontato storie di ogni sorta, se ne tornavano soddisfatti alle loro case a dormire. Così si divertivano tutte le sere. Non passò molto tempo da quando avevo cominciato ad ascoltare storie che mi misi a trascriverle in un grosso quaderno comprato appositamente. E continuai a trascriverle ogni volta che andavo al villaggio. Mi capitava di leggere queste storie come fosse il giornale. Con mia sorpresa, non passò molto che a scuola il mio maestro diede a noi scolari l'incarico di raccontare almeno una volta alla settimana delle storie yoruba. Così cominciammo a raccontare varie storie. Molti di noi raccontavano storie che non avevano né capo né coda, ma molti raccontavano delle buone storie. Dopo un po', le storie che scrivevo nel mio quaderno mi diedero onore e fama. Questo perché tutte le storie che io raccontavo erano affascinanti e avevano una morale più pratica di quelle che raccontavano i miei compagni. Dopo avere ascoltato le storie di ognuno di noi, il maestro decise che io ero il migliore raccontatore di storie; mi diede in premio sei quaderni e mi dichiarò "maestro narratore" della scuola. Allora capii che raccontare storie mi procurava fama e onore e misi maggiore impegno nel raccontare il maggior numero di storie possibile ogni volta che andavo in vacanza al villaggio. In dicembre tornai al villaggio per le vacanze con la speranza di raccogliere altre storie. La sera chiesi ai miei notizie del vecchio che raccontava le storie più belle. Mi dissero che era morto poco dopo la mia ultima visita al villaggio. Questa brutta notizia mi addolorò tanto che senza rendermene conto mi misi a gridare angoscìato: "Ah, il buon vecchio è morto!" Questo significava che se non avessi trascritto sul mio quaderno, insieme con le altre, anche le sue storie meravigliose, lui sarebbe morto e le sue storie sarebbero morte con lui! La morte del vecchio tuttavia mi incoraggiò a moltiplicare gli sforzi per raccogliere quante più storie potevo. La mattina seguente, corsi subito dai vecchi del villaggio vicino, e cominciai a trascrivere tutte le storie che mi raccontavano. E così feci tutte le volte che passavo le vacanze al villaggio. In capo a qualche mese, le storie che avevo raccolto non si contavano quasi più. Mentre raccoglievo queste storie, con grandi difficoltà, non pensavo di usarle per altro scopo che non fosse quello di raccontarle a scuola. Raccontandole ai ragazzi, così pensavo tra me, le storie yoruba avrebbero continuato a vivere. Alla morte di mio padre, lasciai la scuola con mio grande dispiacere perché allora non ero molto avanti negli studi. Andai a Lagos a imparare il mestiere di
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