Per un attimo ci fu soltanto il-rumore del vino che sgocciolava e di qualcuno che respirava, poi Louellen Potts si alzò, si voltò verso Conrad, e disse, "Le sembra una battuta divertente, questa, Mr. Fastbinder? Davvero le sembra divertente?" Poi si girò verso Michael e disse, "Perché non gli dà un pugno sul naso? Se io fossi in lei, lo stenderei." "Ma lei non è me, Miss Potts," disse Michael. Stava guardando Olivia, che distolse gli occhi. Allora Louellen si girò verso di lei e disse, "Mrs. Penny? Non vuole essere difesa?" Olivia non rispose. Stava guardando il tovagliolo. "Ma insomma, professor Penny," disse Louellen - sempre in piedi - "questa battuta è scandalosa. Se non glielo dà lei, un pugno, ci penserò io!" "Si sieda, Potts." (Michael.) "Non ho nessuna intenzione di sedermi. Questo inconcepibile individuo ha appena detto la più insopportabile delle cose su sua moglie e... " "SI SIEDA!" "Michael..." Questa era Olivia. "Lasciala stare." "Chiedo scusa," disse Michael, spaventato, alzando la voce. "Faccio le mie fottutissime scuse." "L'ha sentita, no?" disse Louellen - a sua volta un po' brilla. "Ha detto di lasciarmi stare." Michael disse, "Brutta puttana dagli occhi verdi, brutta ruffiana!" "Michael!" disse Olivia. "Non parlarmi con quel tono - tu laggiù nel buio! Che cazzo di diritto ha questa stronza di mettersi nei miei panni?" "Sta solo esprimendo i propri sentimenti, Michael, e che siano validi o meno ha tutti i diritti di esprimerli." "Non alla mia tavola, no!" "Questa è la nostra tavola, Michael. Non la tua. La nostra.'' Olivia non aveva nemmeno alzato la voce. Michael scattò. "Be', lei è seduta dalla mia parte!" E Louellen, con grande veemenza, "In piedi, non seduta!" E all'improvviso tutti si misero a ridere. Tutti, cioè, tranne i Powell. I Powell sembravano non sapere come comportarsi davanti alle risate. Louellen Potts si sedette e ci fu una seconda catastrofe, ma di minore entità. La sua mano ricadde sul tavolo, vicinissima a quella di Michael. Senza pensarci, Michael la prese - un semplice gesto di perdono. Solo che non la lasciò andare. Louellen abbassò lo sguardo senza veramente mettere a fuoco le proprie dita girate verso l'alto sotto la mano di Michael. Era acutamente conscia soltanto degli occhi di Olivia. Michael se ne accorse e diventò a sua volta acutamente conscio degli occhi di Olivia. Girò lentamente la mano, laritirò, se la portò alla testa, spinse indietro i capelli. "Conrad," disse. "Sissignore," disse Conrad. "Raccontaci di quella volta che ti sei perso in quell'alSTORIE/FINDLEY bergo e sei finito nella camera da letto della principessa Diana." me! soggiorno, Conrad era sdraiato sul tappeto, fumava una sigaretta e fissava il soffitto. Michael girava per la stanza zoppicando con la maggior discrezione possibile, e riempiva per la seconda volta di brandy i bicchieri alzati verso di lui, compreso quello di Conrad. Dietro di loro, la sala da pranzo risplendeva della luce tremolante delle candele consumate. La tavola era una rovina ordinata, con i suoi otto posti distinti, ciascuno distintamente distrutto da un diverso paio di mani; gli otto piatti deturpati dalle eleganti bucce delle mele e delle pere e dalle croste di formaggio; i bicchieri di vino svuotati a un livello preciso, ciascuno di essi una firma; i tovaglioli, piegati o abbandonati, le sedie spinte indietro, riflessive o violente o semplicemente inutili - la bassa coppa d'argento piena di fresie, con le corolle reclinate, come se fossero state aggredite - e gli specchi che riflettevano specchi che riflettevano specchi - ciascuno con la propria immagine riflessa nella distanza, come cartelli lungo una strada che finiva nell'oscurità. Rodney stava suonando il piano. Per il resto - silenzio. Olivia tornò dall'ingresso, dopo aver aperto la porta per far entrare un po' d'aria. Fuori, c'era la pioggia di primavera e un forte profumo di fiori in boccio. Olivia prese il bicchiere - permise a Michael di riempirlo - lo sfiorò con la propria concentrazione, passando - e si appoggiò allo stipite della porta, né di là né di qua. Faceva caldo - e il polso di Fabiana si muoveva. Lentamente - in modo impercettibile, dapprima - come una farfalla che fosse entrata nella stanza attirando l'attenzione solo per gradi - Fabiana cominciò a parlare. Cominciò nel bel mezzo di un monologo interiore nel quale forse era assorta da un po' - che pure sembrava intonarsi al monologo di ciascuno degli altri; una lunga frase che descriveva l'apprensione generale, sia riguardo al passato che al presente ché al futuro; che nasceva da quella letteratura comune che è la mente, popolata da personaggi comuni, che si muovevano sullo sfondo di un paesaggio comune, come un libro che tutti avevano letto - dal quale ora una voce cominciò a citare: " .. .Io so che è andato laggiù per scappare lontano da me. Eppure non l'ho mai infastidito, o tormentato. Stavo sempre immobile, lasciavo fare. Da principio non lo volevo; mi lasciavo desiderare, semplicemente. Come si lascia desiderare un cane, senza capire perché, tranne che dal desiderio altrui nasce il proprio. E dalla scelta altrui - la propria. E dalla voglia altrui - la propria. Conrad sa cosa voglio dire. Io non ho mai dato il mio amore. Non ho mai osato dare. Non ho mai permesso che succedesse. Sono sempre stata la sorellina minore - nel sedile di fronte, a guardare nello specchietto retrovisore. Fino a quando ho conosciuto lui - Jack2
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