Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

16 DISCUSSIONE/FOFI con maggiore tristezza percorrendo più le province che le metropoli. Ancora nei primi anni Settanta era possibile sperare in qualche cambiamento positivo, prima che i movimenti andassero in vacca. Ma oggi? Il mondo che i racconti di Celati descrivono è di nebbiosa e malinconica piattezza, riscattato, se così si può dire, solo da una persistente ansia metafisica di alcuni personaggi, tuttavia incapaci di progetto, e destinati, spesso, a una pazzia perlopiù dolce, non pericolosa agli altri, anche se sovente suicida. È anche un mondo in cui la tradizione, il radicamento, sono essi stessi scomparsi, o presenti solo in superficie, come "paesaggio". Finiti i tempi di Peppone e don Camillo, quelli dell'affermazione del benessere ben amministrato, o delle passioni giovanilistiche di mutamento culturale, finito il bisogno e "i bisogni", i padani viaggiano, si muovono, ma per trovare altrove (qui Stati Uniti, Africa, Scozia, Francia o che altro) gente simile a loro, ugualmente disorientata e infelice. I bambini scoprono la noia degli adulti e vien loro "il sospetto che la vita possa essere tutta così"; i giovani si trascinano in avventure la cui bizzarria è ormai tutta prevedibile (e il padre di una di loro può solo arrivare a compiangerli affermando: "che Dio perdoni la vostra innocenza", un'innocenza in verità assai balorda) anche se alcuni "continuano a remare" carichi di un fardello mortale nel mortuario racconto che chiude la raccolta, pensando che forse prima o poi "sarebbero arrivati da qualche parte". Un bambino fantasma può in Fantasmi a Borgo/ orte ossessionare le donne che l'hanno incontrato (e le donne sono gli unici personaggi a dare ancora alla propria ansia un significato di ricerca: si veda per es. uno dei racconti più riusciti, Meteorite dal cielo) ma i fantasmi del passato non bastano a consolare l'autore, nella sua ricerca delle origini e non delle cause (in Il ritorno del viaggiatore, uno dei meglio scritti, e in altri racconti a fondo autobiografico). Del passato, e persino degli umori di una cultura sanguigna come quella emilianoromagnola, sembrano restare solo le visionarie e mediocri bizzarrie che normalmente riempiono i centri d'igiene mentale delle nostre ricche province. Anche spunti che potrebbero essere gogoliani (per es. Vivenza di un barbiere dopo la morte, o Sul valore delle apparenze) o quantomeno da commedia di costume cinematografica degli anni Sessanta, si appiattiscono nella coscienza di un "tempo che passa" infinitamente e nulla porta di rottura e di nuovo. Tutto questo - si potrebbero citare altri spunti e racconti - è affrontato da Celati con una partecipazione dolente, che allontana il crepuscolarismo talora affiorante ma non sempre il simbolismo (vedi ancora l'ultimo racconto), ma che è ricca per fortuna di comprensione antropologica, sì che questo Narratori delle pianure è davvero tra i pochi libri che riescono a parlarci del mondo in cui viviamo senza astrarsene o idealizzarlo. Ma è proprio in questa partecipazione dolente anche il limite del libro, nel modo in cui vengono affrontati questi abbozzi di storie (di vite) che non riescono a diventare storie (vite) e a cui sembra definitivamente preclusa anche la volgarità del picaresco, ché sempre e comunque di piccoloborghesi si finisce per trattare perché non ci sono ormai altro che quelli in posti come la Padania e non solo. È questa partecipazione priva di crudeltà ciò che impedisce al libro di Celati di diventare il libro di cui ci sarebbe bisogno. Ci sono a monte scelte e modelli letterari precisi e coscienti (il solitissimo Handke e Wenders, o a tratti, ma con minor concisione, Brautigan) che si trascinano bensì appresso altri modelli, non so quanto coscienti e precisi: un certo Novecentismo minore, e perfino l'humour stantio di uno Zavattini pervicacemente alla ricerca di aneddoti "poetici" (e dispiace per uno che era partito da Keaton). E ne deriva uno stile, che sceglie anch'esso una sorta di mimetica piattezza.fino ad assumere a tratti il linguaggio stereotipo, più neutro che distante, del verbale giudiziario. Se il modello dichiarato è la "novella" orale, bisogna ben dire che i nostri linguaggi sono diventati davvero poveri e monocordi. Questi racconti non si fanno mai "racconti", ma restano ritratti su sfondi, paesaggi con figure. Non ci sono più storie, avventure, vite che si scelgono e si definiscono

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