Linea d'ombra - anno II - n. 11 - settembre 1985

10 DISCUSSIONE/BETTIN NOTIZEIEINVENZIONI SUMAYTA GianfrancoBettin Quando uscì in Italia nell'83, il penultimo romanzo di Mario Vargas Uosa si fece notare soprattutto per una sorta di inattualità che sembrava distinguerlo. La guerra dellafine del mondo (pubblicato da Einaudi) era un romanzo storico-sociale di 600 pagine e usciva in un momento in cui, della produzione letteraria latino-americana, si consumavano più che altro gli abili esercizi di Borges, le stra-annunciate cronachette di Garcia Marquez e le lunghe o brevi canzonette di Amado, più qualche outsider o "minore" ogni tanto. Forse, con l'infatuazione politica (romantica e acritica) degli anni '60 e primi '70 per l'America Latina, si stava allora cercando di dimenticare anche la "moda" culturale e letteraria che vi si era accompagnata. Salvo eccezioni, come quelle sopra dette, del resto funzionali anch'esse a quel passaggio: con Borges ci si sentiva intelligenti e à la F.M.R., con Amado si procedeva dalla Santiago del "pueblo unido" alla Bahia delle diapositive di viaggio e con l'ultimo Marquez (ma un po' anche col primo) ci si cooptava nell'establishment dei consumi culturali. La vicenda di Antonio il Consigliere, narrata nella Guerra della fine del mondo, si muoveva in una direzione diversa; raccontava cose lontane, di fine '800, la storia della fondazione di una città santa nel Nordeste del Brasile a opera di quello strano profeta, millenarista e apocalittico, e del . suo scontro - perdente - col potere. Per capire fino in fondo il lungo romanzo era necessario, probabilmente, aver voglia di interrogarsi un poco sull'itinerario politico e sulle grandi dinamiche storiche, sociali e culturali del continente latinoamericano. Vargas Uosa, infatti, scavava in radice a quella storia, trasfigurando una vicenda "datata" e circoscritta in un grande apologo, dipinto a forti tinte, e scegliendo la chiave letteraria del realismo crudo e visionario (con un effetto che ricordava certi splendidi, terribili affreschi del nostro medioevo). Insomma, il libro si muoveva controcorrente e rivelava lo spessore e l'ambizione della ricerca di Vargas Uosa, il suo tentativo di ridefinire la funzione dell'intellettuale e in particolare dello scrittore nell'America Latina dei nostri anni. Questo tentativo ritorna oggi, in forme più esplicite e comunicative, nell'ultimo romanzo dello scrittore di Arequipa, Storia di Mayta (edito in Italia da Rizzoli nella traduzione di Angelo Morino). Si precisano, in questo libro, soprattutto gli sforzi in due direzioni, nel rapporto con la politica e nella ricerca di una tecnica narrativa. Vi sono due parole chiave, in Vargas Uosa, che sembrano definire la condizione della vita civile e politica in America Latina, entrambe negative: "discordia" e "violenza". Superare la discordia e la violenza, tale sembra l'indicazione che Vargas Uosa sottolinea, per uscire da una storia di sopraffazioni, di cadute, di intolleranze ed elaborare una via originale per il subcontinente, una via che si ponga come méta una civiltà tollerante, concorde tra i diversi che la costituiscono. Nell'utopia di Antonio il Consigliere, Canudos, la città santa, era questa società: "La diversità umana coesisteva a Canudos senza violenza, in una solidarietà fraterna e in un clima di esaltazione che gli eletti non avevano mai conosciuto prima. Si sentivano veramente ricchi di essere poveri, figlioli di Dio, privilegiati, come diceva loro ogni sera l'uomo dal manto zeppo di fori. Nell'amore per lui, inoltre, cessavano le differenze che potevano separarli: quando si trattava del Consigliere, quelle donne e quegli uomini che erano stati cento e cominciavano ad essere migliaia diventavano una sola creatura sottomessa e riverente, disposta a dare tutto per colui che era stato capace di giungere fino alla loro prostrazione, alla loro fame e ai loro pidocchi, per infondere speranze e inorgoglirli del loro destino" (pag. 94). JI./;,, tiJiCertamente Vargas Uosa - come ripete nelle frequenti interviste e negli scritti politico-culturali - professa una visione assai più "laica" e, per così dire, "illuministica" (o "socialdemocratica-radicale", che è forse il modo attuale, del tardo XX secolo, di essere "illuministi"). È altrettanto certo, però, che egli si rende conto benissimo che una tale società non può venir prodotta che dall'interno stesso della vicenda storica latino-americana e non indotta da modelli esogeni, yankees o europei che siano. Una figura come quella di Antonio il Consigliere rappresenta una tappa nel processo di fondazione di un'immaginaria autorità legittima, politica e morale, "saggia", radicata nel popolo - quell'autorità che oggi è assente in quasi tutto il sub-continente e che rappresenta uno dei problemi cruciali di un'America Latina in balia delle discordie e dei poteri assoluti e violenti delle dittature. L'utopia del Consigliere fallisce: intrisa di messianismo, di pauperismo, connotata carismaticamente, cade sotto i colpi della neonata, moderna Repubblica che gli invia contro l'esercito. Ma la grande questione rimane, irrisolta e lacerante, e il "laico" Vargas Uosa la pone nei termini più complessi. Già nella prima pagina di Storia di Mayta la "discordia" ci balza incontro, insieme alla strisciante anarchia che rovina tutti, in ogni livello sociale. Siamo lungo il modo di Barranco a Lima, un "paesaggio bello, a patto di fissare lo sguardo sugli elementi e sugli uccelli. Perché quanto ha fatto l'uomo, invece, è brutto. Sono brutte queste case, imitazioni di imitazioni, che la paura asfissia di grate, di muri, di sirene e di riflettori. Le antenne della televisione formano un bosco spettrale. Sono brutti questi rifiuti che si accumulano dietro il muretto del molo e si spargono lungo la scogliera. Cos'ha fatto sì che che in questo punto della città, che gode della miglior vista, sorgano letamai? La discordia. (... )Lo spettacolo della miseria, un tempo appannaggio delle borgate, poi anche del centro, adesso appartiene a tutta la città, inclusi i quartieri residenziali e privilegiati come Miraflores, Barranco, San !sidro. Se si vive a Lima bisogna abituarsi alla miseria e al sudiciume JJ diventare matti o suicidarsi". "Ma sono sicuro che Mayta non si abituò mai ... " prosegue Vargas Uosa, introducendo il protagonista del romanzo. È ancora, dunque, una storia di rivolta contro l'ingiustizia, ambientata nei nostri anni, ancora un tentativo di fondare - qui, con larivoluzione - un ordine nuovo. Mayta, Alejandro Mayta Avendano, è un vecchio militante trotzkista che, dopo una vita spesa tra

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